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Lettere
dallItalia. Caro Adolfo ti scrivo...
Si è sempre scritto ai potenti. Con letà contemporanea la
lettera spedita per posta ha sostituito la supplica consegnata agli ufficiali del sovrano,
ma la sostanza non è cambiata. Hanno scritto i grafomani e gli squilibrati, ma anche
persone del tutto normali. Durante il fascismo, la segreteria di Mussolini era sommersa da
lettere che arrivavano da ogni parte dItalia e una piccola parte di esse è stata
pubblicata ( Caro Duce, lettere di donne italiane a Mussolini. 1922-1943, prefazione
di Camilla Cederna, Rizzoli, Milano 1989). Ma già prima gli italiani avevano inviato a
Vittorio Emanuele III lettere che sono state studiate da Renato Monteleone ( Lettere al
re. 1914-1918, Editori Riuniti, Roma 1973). Manca ancora però unindagine
scientifica a vasto raggio che utilizzi a fondo questa preziosa documentazione, che offre
unimmagine molto interessante degli atteggiamenti mentali e dei sentimenti degli
italiani. Non sorprende che un certo numero di italiani scrivesse a Vittorio Emanuele III
o a Mussolini per chiedere un aiuto o anche soltanto per esprimere il proprio entusiasmo.
Ma molti si rivolgevano, per gli stessi motivi, anche a Hitler e le loro lettere sono
conservate, grazie alla censura postale che le intercettava, allArchivio centrale di
Stato.
Negli ultimi tempi soprattutto sul piano della rievocazione pubblicistica e televisiva
(non su quello della ricerca storica scientificamente più valida), si è andata sempre
più diffondendo la rappresentazione di Hitler come simbolo del Male storico. Ma in quegli
anni se ne ebbe spesso, anche in Italia, una visone del tutto diversa.
Durante la visita che Hitler fece a Roma, Napoli e Firenze nel 1938, Ranuccio Bianchi
Bandinelli, che - come ha ricordato nelle pagine del suo diario, ripubblicate nel 1995
dalleditore E/O -, lo accompagnò in giro per i musei fiorentini, lo descrisse
«composto, ordinato, quasi modesto» e gli sentì dire: «qualche volta mi rincresce di
essermi dato alla politica». Unimmagine quasi familiare, che, a leggere le lettere
che gli italiani gli scrivevano, sembra fosse abbastanza diffusa. Hitler era visto come un
uomo potentissimo, ma al quale, come a Mussolini, ci si poteva rivolgere per chiedergli
qualcosa o anche solo per fargli gli auguri di buon compleanno.
Gli scrivevano per i motivi più vari. Di solito, si trattava di richieste di aiuti,
favori o raccomandazioni. Scegliamo qualche lettera inviata nel 1941. Il 2 marzo una donna
abbandonata dal marito scrisse a Hitler da un piccolo paese della Campania per chiedergli
unoccupazione per sua figlia e lo informò che in Italia «la legge dava
provvedimenti soltanto per chi aveva raccomandazioni»: prima di rivolgersi a lui, si
erano rivolte anche al Padreterno. Il 24 settembre un pensionato di Pistoia chiese all«Illustrissimo
Signore Adolfo Hitler, Cancelliere dellImpero Germanico» di cambiargli dei marchi
acquistati nel 1923, prima che la spaventosa inflazione ne annullasse il valore. Il 19
ottobre un «legionario» addetto alla difesa antiaerea di Roma gli chiese un binocolo,
magari uno dei tanti che aveva «catturato» al nemico. Lanno seguente un ragazzo
gli domandò di autorizzare linvio di una medicina dalla Germania al padre
diabetico. Un anziano ammalato lo pregò dintervenire presso i ministeri italiani
della Guerra e della Finanza, per fargli ottenere una visita collegiale, che gli avrebbe
permesso di avere una pensione. Un forlivese, pittore e incisore incompreso, dopo avere
letto il «Mein Kampf», gli chiese, da artista ad artista, di prenderlo sotto la sua
protezione.
Ma cera anche chi scriveva disinteressatamente. Nel 1941 Franco A. gli mandò una
cartolina solo per fargli sapere «che fino nella lontana Sicilia la sua marziale figura e
la sua parola erano molto apprezzate». Due sorelle genovesi, dopo avere conosciuto un
gruppo di «affabili dopolavoristi tedeschi», che avevano parlato con entusiasmo della
bontà di Hitler, gli chiesero una fotografia. La bolognese Maria R. gli scrisse per
esprimergli tutta la sua «grande ammirazione per lopera di redenzione e
ricostruzione» che stava compiendo per lEuropa. Come accertò la polizia, non era
iscritta al Partito Nazionale Fascista ed era «di buona condotta politica e morale». Gli
otto figli di un milite addetto alla protezione antiaerea (il maggiore era imbarcato su
una nave da guerra) gli parteciparono la nascita di due fratellini gemelli, ai quali erano
stati dati i nomi di Benito e Rodolfo.
Non era proprio la stessa cosa di Adolfo e un errore lo commise anche il maresciallo della
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale che fece notare a Hitler come, sommando la
data di nascita di Mussolini, la sua età, lanno dell«avvento del fascismo»
e gli anni di durata del regime si ottenesse la cifra 3886, la stessa che risultava
compiendo la stessa operazione per Hitler e che, divisa per due, dava il 1943, lanno
della vittoria. Ma aveva sbagliato, perché credeva che Hitler avesse conquistato il
potere nel 1934, non nel 1933. Una lettera così può far sorridere, ma non quella scritta
il 4 marzo 1943 da un bergamasco che, avendo letto su un giornale la notizia della
fucilazione di quaranta francesi, colpevoli di avere commesso «bestialità» contro i
«valorosi soldati germanici», gli comunicò tutto il suo apprezzamento e lo invitò a
colpire ancora più duramente quella «razza bastarda».
Le lettere conservate nellArchivio Centrale di Stato sono solo una parte di quelle
che furono inviate al dittatore tedesco. Ma bastano a mostrare come, se non si scava a
fondo nelle fonti, utilizzando ogni genere di documentazione, e soprattutto quella
lasciata dalla gente comune, non si può capire qual era limmagine che si aveva
allora di Hitler. E che spesso non corrisponde a quella ricostruita dagli storici.
(Corriere
della Sera, 22 aprile 2002)
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