Il 25 aprile di Alessandro
Galante Garrone
Scendevamo in bicicletta verso Torino, nelle prime ore di quel mattino: io e mio fratello
Carlo.
Eravamo partiti dal Canavese: ansiosi, perché ancora non sapevamo come sarebbero andate
le cose. E soltanto a Rivarolo - dove ci incrociammo con una fila sempre più fitta di
persone che si allontanavano in gran fretta, ciclisti in fuga dalla città - capimmo che
l'insurrezione generale era scattata all'ora stabilita. E Torino sarebbe stata liberata.
Ma quel che ci diede la certezza del buon inizio fu la vista di un anziano gerarca,
notissimo a Torino, il senatore B, che in quella torma di ciclisti pedalava faticosamente
in salita, curvo sul manubrio.
Ecco, se mi chiedi come fu il mio 25 aprile, ti devo dunque rispondere che cominciò in
bicicletta, lumgo la strada che dolcemente scendeva da Castellamonte in città. E hai
ragione a voler partire da lì. E' giusto che dovendo parlare del "nuovo che
avanza", io cominci proprio da quel momento, da quell'altra crisi di regime di
cinquant'anni fa; dal nuovo di allora, diventato vecchio prima del previsto.
Per la verità la data fissata per l'insurrezione e la seguente liberazione di Torino e
del Piemonte non era il 25, ma il 26 di aprile. L'ordine era stato emanato dal Comando
militare regionale piemontese [Cmrp] il 24 aprile secondo la formula prestabilita :
"Aldo dice 26 x 1"; cioè le operazioni, per tutte le formazioni partigiane,
dovevano cominciare di notte, alla prima ora del 26 aprile.
Le forze militari alleate erano, anche se in movimento, lontane. Nel pomeriggio del 24 ero
partito da Torino, con l'ordine d'insurrezione, e all'alba del 26 vi tornavo, per
raggiungere al più presto la sede del Comitato di liberazione nazionale, mentre Carlo da
Torino avrebbe dovuto proseguire per Cuneo.
Arrivati, sempre in bici, alle porte di Torino, verso la barriera di Milano, ci rendemmo
conto che una parte della città era già stata liberata. Alle finestre e sui tetti delle
prime cascine, fuori porta Milano, sventolavano le bandiere tricolori. C'era già un'aria
di festa. Giunti in città la situazione era ancora incerta: si sparava per le strade e
dai tetti. Carlo si separò da me per trovare la via più diretta per Cuneo, mentre io
cercavo di raggiungere la conceria Fiorio, fissata come sede del Cln durante
l'insurrezione. [...]
Il brano è tratto dal libro-intervista "Il mite giacobino", Donzelli 1994 .