Il 25 aprile di Osvaldo Valerio Negarville
Le giornate della preparazione dellinsurrezione, lepurazione dei gerarchi fascisti e dei dirigenti dindustria nel ricordo di un dirigente comunista del Cln piemontese. Le ore della vigilia del 25 aprile - con lo sciopero nelle fabbriche - e quelle del dopo-liberazione, quando il nuovo potere del Cln tenta di imporsi, ma deve fare i conti e scontrarsi con le regole delle istituzioni: quelle più evidenti delle classi dirigenti e quelle più minuscole dei loro "servi"
"Alla
vigilia dello sciopero del 18 aprile 45 - che mostrò la possibilità
dellinsurrezione armata - ci trovammo in una riunione di pochi compagni per
esaminare la portata delle notizie, su discordanze manifestatesi in alcuni settori delle
grandi fabbriche, che indicavano anche qualche esitazione in compagni dirigenti di settore
e delle fabbriche. Si diceva che fra gli operai circolava la tesi di non aderire a quello
sciopero. Sapevamo che non molto distante dal luogo della nostra riunione, diversi
responsabili di settori e rappresentanti di grandi fabbriche erano riuniti per un ultimo
scambio di idee.
Fu Amendola a decidere di mandare qualcuno di noi per far presente le direttive date dal
Cln e dal partito sullo sciopero. Andare e ritornare subito per riferire lopinione
di quei compagni: andai io e lopinione riportata fu che si poteva contare che lo
sciopero sarebbe riuscito. Ci lasciammo con la raccomandazione da parte di Amendola di non
uscire di casa al mattino prima di aver precise notizie sullo sciopero, mediante le
staffette che ci collegavano ai vari settori. Scotti venne a dormire a casa mia: dormire
è un modo di dire, perché in realtà quella notte trascorse insonne per me e per lui. E
certamente per molti altri compagni. Al mattino Scotti se ne andò di casa molto presto.
Un po più tardi il compagno Amendola passato di lì "per caso" mi propone
di fare due passi assieme; ci dirigemmo verso la stazione Dora, nelle cui adiacenze
sorgono grandi fabbriche. Le vie erano, come al solito, semi-deserte; nessun movimento
sospetto in vista. Mancavano pochi minuti alle dieci, lora in cui doveva cominciare
lo sciopero: noi eravamo quasi vicino alle fabbriche. I primi operai, isolati, uscivano
alla spicciolata, poi gruppi sempre più folti ed infine una marea, da sembrare un corteo
di lavoratori, che se ne tornavano a casa. Si Fermarono i primi tram, i manovratori con la
maniglia in mano abbandonavano le vetture, fischiettando. Noi ci avvicinammo al portone
delle officine Savigliano. Gli operai, senza mostrare alcun timore, commentavano
compiaciuti la riuscita dello sciopero. Amendola insisteva perché io chiedessi loro, in
dialetto, cosa stava succedendo. La risposta fu pronta e bellissima : "Stiamo
preparando la fine della gente come voi!" Ci avevano scambiati per sbirri oppure
degli sfaccendati borghesucci borsaneristi? [
] Quando Torino venne liberata, Solaro,
il segretario del Fascio della città, membro del direttivo nazionale fascista, venne
arrestato da una pattuglia partigiana. Il tribunale di guerra della VIII zona lo
processò. Solaro ebbe lassistenza religiosa dal suo arresto allesecuzione
della condanna. Nessuno lo torturò o lo minacciò. "lUnità" del 30
aprile 1945 pubblicò la sentenza ed anche un nostro colloquio, sotto il titolo
"Prima della sentenza". E questo: "In una stanza della caserma
Podgora il criminale è sdraiato su un letto, non contesta la sua identità. E stato
preso da una pattuglia di volontari della libertà con due valigie piene di documenti.
Quando parla dice di essere un compagno, lui è sempre stato amico dei comunisti. Il suo
contegno è di un uomo isterico, di tanto in tanto si mette a fare delle lunghe concioni
per dire che non è risponsabile di tutti i misfatti che ha ordinato fino a qualche minuto
prima che venisse preso.
Alla
fine racconta la storia delle ultime ore dei criminali fascisti alla casa littoria. In
parte sono fuggiti, in parte sono nascosti, ma un gruppo è attivo. Vi sono coloro che
organizzano il cecchinaggio, coloro che hanno avuto le direttive di trasformarsi in falsi
patrioti per gettare discredito e provocare disordine. La loro sede, Solaro la denuncia
immediatamente e ci dice chi organizza qua e là la lotta assassina. I cecchini sono
divisi a gruppi di dieci, diretti da un responsabile. Devono sparare sulle donne e sui
bambini, perché così si potrà dire che cè disordine a Torino. Devono sparare
sulle automobili, devono aggredire ed uccidere i dirigenti del governo e dei vari
organismi responsabili della città. Queste direttive Solaro dice che le diede il nuovo
segretario, Pavia, assieme a Cabras e a Del Rosso. Quando gli si contesta che se egli sa
tutto è perché fa parte del gruppo dirigente, allora fa un lungo discorso per dire
che lui è un comunista
Arriva Andrea, uno dei comandanti delle formazioni del canavese che non vedevamo da quando
i fascisti lhanno torturato per farlo parlare. Quando ci alziamo per abbracciarlo,
Solaro, a sentire il nome di Andrea, rimane stupito e comincia a dire che lui non ha mai
dato ordine di torturarlo. Ha il coraggio di porgergli la mano e poi continua a fare
grandi discorsi che è innocente
Quando gli abbiamo detto che egli era uno dei responsabili per aver ridotto il paese nelle condizioni in cui lo troviamo, Solaro ha sostenuto che ha fatto tutto quanto poteva per il suo bene e che la colpa era di chi dirigeva il paese. Quando gli abbiamo rammentato che egli, alla radio, faceva discorsi chiamandoci "banditi", "assassini", quando gli abbiamo detto che sui giornali, scriveva che i patrioti andavano impiccati, lui ha risposto di non ricordare tali cose, che non sapeva nulla, che era un poveruomo". [ ] Dopo la Liberazione credavamo che fra i compiti più importanti del Cln regionale vi fosse quello di estendere nei piccoli centri i Cln, di sviluppare lunità ed il potere dei consigli di gestione nascenti e di applicare sino in fondo lepurazione dei responsabili industriali che avevano collaborato con il fascismo.
Questo
era lobiettivo politico ed il mio compito nel Cln era di perseguirlo. Il Cln del
Piemonte aveva sede a palazzo della Cisterna e con un compagno socialista dividevo la
famosa "sala rossa". Non ho mai capito, né allora né dopo, perché gli usceri
continuassero ad essere quelli di prima, in perfetto abito blu con guanti bianchi, cabaret
dargento, solleciti ad inchinarsi e a chiamare tutti "dottore". Nessuno si
serviva di questi usceri per farsi annunciare. Normalmente chi veniva da noi entrava senza
bussare, magari per chiedere una sigaretta, senza preliminari, prima di iniziare il
colloquio.
Un giorno si presentò il prof. Valletta per parlare con me. Il suo biglietto da visita me
lo portò luscere con il piatto dargento. Venne avanti, mi spiegò che lui,
fino a ieri grande capo della Fiat, voleva sapere che cosa avrebbero detto i comunisti
nella discussione con gli altri rappresentanti di partito, quando si sarebbero riuniti per
decidere sulla sua epurazione dalla direzione Fiat. Non avevo mai letto
lincartamento del "caso Valletta", che si trovava nella segreteria del
Cln. Lo chiesi e mi furono portati 75 centimetri daltezza di documenti. Il
professore mi illustrò i suoi meriti in difesa dei partiti antifascisti, dei dipendenti
Fiat e dei partigiani; al che io gli esposi freddamente i suoi demeriti verso la nazione.
Ci lasciammo cortesemente, ma era evidente in lui un certo disappunto, temeva
lepurazione. In seguito vi furono una serie di riunioni del Cln in cui non si giunse
mai a definire il "caso Valletta" [che potè ritornare al suo posto di direzione
alla Fiat, ndr]. Ma la cosa buffa avvenne qualche tempo dopo. Avevo accompagnato
allaeroporto mio fratello Celeste, allora sottosegretario agli esteri del ministero
De Gasperi. Un poliziotto disse che sul suo stesso aeroplano sarebbe salito anche il
professor Valletta. Lincontro diede luogo ad un vigoroso scambio di saluti, che
dimostrava chiaramente come si conoscessero da tempo. Mio fratello volle farmi conoscere
un uomo così grande [era alto un metro e sessanta]. Mi presentò con le dovute regole. Ma
leminente professore, forse a ragione, volse lo sguardo altrove e finse di non
capire e di non vedermi, malgrado fossi più alto di lui [ma ben si sa che
"alto" non vuol dire "grande"].
[da "La pazienza e lironia" inedito conservato presso listituto Gramsci di Torino]