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I temi della globalizzazione
di Pietro Greco e Eva Benelli
Ambiente
Temperatura e gas i rischi per il Pianeta
Viviamo tutti su un unico, grande pianeta. E davvero non c'è dimensione più globale
di quella dell'ambiente. Da qualche anno sappiamo che vi sono almeno due cambiamenti
dell'ambiente planetario che sono accelerati dall'uomo. Uno è il cambiamento del clima
globale, che l'uomo sta accelerando con lo sversamento nell'atmosfera di una quantità
crescente di anidride carbonica e di altri gas serra (metano, protossido di azoto,
clorofluorocarburi). L'altro riguarda l'erosione della biodiversità, che l'uomo sta
accelerando con l'abbattimento delle foreste e l'occupazione degli ecosistemi.
L'accelerazione del cambiamento del clima globale ha avuto come effetto l'aumento della
temperatura media del pianeta, salita di 0,6 °C nell'ultimo secolo. Se continueremo a
versare in atmosfera gas serra, entro il prossimo secolo la temperatura media aumenterà
di un valore compreso tra 2 e 6 gradi. Raggiungendo una soglia mai più sperimentata nelle
ultime migliaia di anni. Il cambiamento del clima globale sarà accompagnato da un rapido
e, a volte, disastroso cambiamento del clima locale, oltre che da un aumento del livello
dei mari. L'accelerazione nell'erosione della biodiversità è tale da rendere l'attuale
estinzione delle specie la più rapida mai conosciuta nel mondo biologico. In pratica,
stiamo vivendo la sesta grande estinzione di massa nella storia della vita animale. La
moria delle specie è un evento negativo in sé. Ma è anche un evento che determinerà
conseguenze negative per l'uomo e per la sua economia. In entrambi i casi, il cambiamento
del clima e l'erosione della biodiversità, gli effetti più indesiderabili si
manifesteranno ai tropici e interesserà per lo più i paesi poveri. In entrambi i casi le
responsabilità primarie, riconosciute, sono da ascriversi ai paesi ricchi e al loro
modello economico. Questi paesi hanno sottoscritto, negli anni scorsi, due convenzioni con
cui si sono moralmente impegnati a cercare di minimizzare l'impatto delle loro attività
sugli equilibri climatici e biologici. In nessuno dei due casi, finora, all'impegno morale
ha fatto seguito un significativo impegno concreto.
Farmaci
Le multinazionali e la lotta allAids
Si chiama Trips, l'acronimo diventato tristemente famoso perché sinonimo di farmaci
troppo costosi per le povere tasche dei malati del Terzo Mondo. Sono le iniziali del Trade
Related Intellectual Property Rights, il trattato internazionale sulla proprietà
intellettuale che protegge i diritti delle compagnie farmaceutiche su un farmaco di loro
produzione per vent'anni, impedendo che venga copiato e permettendo all'azienda di avere
il monopolio sul preparato e, quindi sui prezzi. E chi sgarra, viene portato davanti al
grande tribunale del mondo globalizzato, la WTO (la World Trade Organization), cosa che
stanno cercando di fare gli Stati Uniti con il Brasile. Ma si può anche arrivare al
paradosso sudafricano, quando una legge emanata da uno Stato sovrano è stata oggetto di
un'azione legale, in quanto violava un trattato internazionale, il Trips appunto. E a
nulla sembrava valere il fatto che lo faceva per consentire ai quattro milioni di malati
di Aids del paese australe di avere accesso ai farmaci generici anti Aids, farmaci uguali
a quelli prodotti dalle multinazionali farmaceutiche, solo meno costosi e made in India o
Brasile. Ma vedere le multinazionali come entità votate al profitto e indifferenti al
destino dei malati di Aids è un errore o quantomeno una semplificazione. Hanno
sponsorizzato numerosi programmi di aiuto nei paesi del Terzo Mondo, distribuendo
medicinali gratuitamente per combattere malattie come la lebbra e il tracoma e dopo una
forte mobilitazione internazionale e la pressione dell'Onu e di altre organizzazioni
internazionali hanno abbassato il prezzo dei farmaci antiretrovirali destinati ai paesi
del Terzo Mondo di percentuali oscillanti tra il 50 e il 90 per cento. In realtà, quello
che non possono accettare è la fine dei diritti di proprietà intellettuale, anche
perché - sostengono - altrimenti non riuscirebbero a rifarsi delle spese sostenute per la
ricerca e lo sviluppo dei farmaci, spese generalmente molto alte. Ma questa tesi non è
accolta da tutti. Secondo John Le Carrè, il famoso romanziere, impegnato in una crociata
personale contro i «signori del farmaco», le multinazionali non hanno inventato la gran
parte delle medicine che hanno brevettato. Queste sono state scoperte da progetti di
ricerca finanziati con i fondi pubblici e solo successivamente sono stati dati alle
società perché li sfruttassero commercialmente.
Biotecnologie
Unopportunità da verificare
Biotech e globalizzazione: un matrimonio difficile, che vede su schieramenti opposti,
chi non pensa che l'ingegneria genetica sarà in grado di sopperire ai bisogni dei paesi
in via di sviluppo, e chi, invece, ritiene che potrebbe essere una via per combattere la
piaga della malnutrizione che ancora colpisce circa 800 milioni di persone nel mondo e in
modo particolarmente drammatico in Africa e in Asia. Coloro che appoggiano il biotech
ritengono che gli ogm (organismi geneticamente modificati) porterebbero un tale aumento
della produzione alimentare da far pensare a una seconda «rivoluzione verde», dopo
quella degli anni '60. Non solo, quindi, cibo per tutti, ma anche più nutriente e meno
tossico. E accanto alle sementi geneticamente modificate per resistere agli infestanti, si
stanno mettendo a punto varietà ricche di vitamine, che assicurano una maggiore resa per
ettaro. D'altra parte c'è chi vede nell'immissione di geni estranei in una pianta
ripercussioni a lungo termine sulla nostra salute, oggi difficili da predire. Ma anche
rischi per l'ambiente, per le interazioni delle piante modificate con quelle selvatiche da
cui si potrebbero originare a nuove specie infestanti resistenti ai pesticidi, con grossi
rischi per il futuro dell'agricoltura. E poi c'è la salvaguardia della biodiversità,
perché potremmo avere un futuro abitato solo da poche specie vegetali selezionate
geneticamente, con una enorme perdita, non solo dal punto di vista ecologico, ma anche
sanitario, soprattutto per i paesi più poveri. «Pro» e «contro» a parte , per avere
ogm «globali» sono fondamentali maggiori investimenti pubblici nella ricerca per
assicurare che davvero le biotecnologie lavorino per soddisfare i bisogni di tutti,
compresi i paesi più poveri, e produrre, per esempio, semi in grado di crescere anche nei
terreni più aridi e meno fertili. Perché stando a quanto si afferma nell'ultimo rapporto
sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite, sulle biotecnologie la voce dei più poveri non
è ancora stata ascoltata. E mentre le discussioni nei paesi industrializzati si
focalizzano maggiormente sui rischi potenziali degli «ogm», nei paesi in via di sviluppo
la cosa più importante è la resa dei raccolti e il loro valore nutritivo.
Salute
Più diseguaglianze tra ricchi e poveri
Nel mondo globalizzato le diseguaglianze di fronte alla salute aumentano invece di
diminuire e il traguardo dell'Organizzazione mondiale della sanità: «salute per tutti
entro il 2000» si allontana. Di più: ad aumentare sono proprio «le differenze in salute
prevedibili, prevenibili e correggibili, e perciò moralmente ingiuste», come ha
affermato il presidente del Comitato nazionale di bioetica, Giovanni Berlinguer. La
sorpresa sta nel fatto che le diseguglianze non si distribuiscono tutte al di qua o tutte
al di là della linea che divide i Paesi ricchi da quelli poveri, ma al contrario, li
attraversa. Così si possono trovare gruppi di popolazione delle ricche e salutiste
democrazie occidentali che stanno peggio di altri che appartengono alle classi
privilegiate dei paesi poveri. Per esempio, ci ricorda Michael Marmot dell'University
College di Londra, in un articolo recentissimo pubblicato sull'autorevole New England
Journal of Medicine: «I maschi bianchi delle dieci contee americane più all'avanguardia
sotto il profilo della salute, hanno un'aspettativa di vita di 76,4 anni. I maschi neri
che vivono nelle aree peggiori da questo punto di vista, non arrivano ai 60 anni». Una
distanza di 15 anni tra popolazioni che vivono nella stessa nazione è dello stesso ordine
di grandezza che separa molte nazioni ricche da quelle più povere. Se globalizzazione
significa che i fenomeni sociali ed economici che riguardano alcuni paesi si estendono
fino a comprendere la maggioranza delle nazioni del pianeta, allora ci siamo già:
l'accesso alla salute è già globalizzato. I poveri dei paesi ricchi condividono con i
poveri dei paesi poveri lo stesso tipo di ineguaglianze. E ci siamo dentro tutti. In
Italia, per esempio l'aspettativa di vita per un uomo di 35 anni privo di istruzione è,
oggi, circa la metà di quella di un laureato. Ma, attenzione, non è la povertà intesa
solo come basso reddito, a fare la differenza. Nello stato indiano del Kerala,
l'aspettativa di vita supera i 70 anni, anche se la popolazione sopravvive con meno di
1.000 dollari l'anno. Per un americano nero che vive ad Harlem (reddito medio 25.000
dollari l'anno) ci sono solo 37 probabilità su 100 di sopravvivere fino a 65 anni.
(l'Unità, 31 luglio 2001)
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