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I Black Bloc
l'internazionale del caos
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I servizi
segreti di tutto il mondo sono già al lavoro. Perché i gruppi anarchici più violenti
stanno organizzando i prossimi raid. E il pericolo più grave è che qualcuno possa
armarli per davvero. |
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di Pino Buongiorno
(Panorama, 27 luglio 2001)
Gli anarchici, per definizione, non dovrebbero
essere organizzati. Ma l'operazione J20, 20 luglio, è stata un esempio
di perfetta pianificazione militare e politica per portare il caos al vertice del G8
di Genova e costringere la polizia a mostrare il volto violento in modo da aumentare i
proseliti fra i movimenti più moderati. Obiettivi tutti raggiunti. «La campagna di
Genova è stata un successo e ha sicuramente rubato la scena ai governanti del G8»
proclama a Panorama Chuck Munson, 36 anni, anarchico da 15, originario di
Kansas City, bibliotecario e web designer, uno dei
pochissimi leader riconosciuti del Black bloc, l'ala violenta del
movimento antiglobal.
Usando le chat-line di Internet e gli stessi siti dei gruppi anarchici, spedendo messaggi
crittati almeno due volte se non addirittura quattro, per evitare di essere intercettati,
le tute nere hanno innanzitutto programmato già un anno fa la presenza a Genova, come
risulta a Panorama. Dall'America, dalla Nuova Zelanda, dal Canada, dai Paesi baschi, dalla
Germania e dalla Gran Bretagna hanno chiesto ai loro simpatizzanti in Italia di poter
affittare diversi appartamenti in pieno centro, nella «zona rossa», quella off-limits
attorno al Palazzo Ducale e al porto. In molti casi sono stati accontentati. Sembrava
fatta. Senonché gli informatori del Sisde, uno dei due servizi segreti, piazzati nei
gruppi italiani hanno messo in allarme la questura di Genova. E gli affitti o i subaffitti
sono stati bloccati giusto in tempo.
È andata meglio la seconda infiltrazione dei «casseur». Ne sono arrivati a centinaia da
11 paesi, perfino dalla Lituania, a cominciare dalla metà di giugno. Si sono divisi in
varie città italiane e sono riusciti a sfuggire a tutti i controlli diversamente dai loro
compagni che si sono presentati alle frontiere del Brennero, di Ventimiglia e di Ancona
dopo il 14 luglio, giorno in cui è stato sospeso il trattato di Schengen, e sono stati
respinti.
Quelli più esperti e determinati si sono diretti a Genova per prendere contatto con gli
ultrà locali ingaggiati come guide della città, un altro modo per avvantaggiarsi sui
comandanti dei reparti della polizia e dei carabinieri, provenienti da altri capoluoghi. A
tavolino hanno studiato dove e quando attaccare, quali strumenti usare, che cosa bruciare,
come infiltrare e dividere i cortei organizzati dal Genoa Social Forum.
Due giorni prima del J20, la data fatidica della prima fase della
guerriglia urbana, un centinaio di giovani sono riusciti a occupare a Quarto, nei pressi
di Genova, il maxicomplesso dell'amministrazione provinciale messo a disposizione dei
Cobas e dei centri sociali. E poi, venerdì 20, all'improvviso hanno scatenato l'inferno
dopo aver indossato maschere e felpe nere e nascosto negli zaini le innocenti T-shirt
bianche che avevano fino a quel momento. Come da copione. «Il black bloc non è
un'organizzazione, ma una tattica» precisa Munson. «Anarchici
e marxisti antiautoritari la usano in occasioni particolari, come appunto a Genova, per
opporsi a un determinato summit politico o a una situazione particolare. In genere la
chiamata alle armi prevede anche la spiegazione dei motivi per i quali il Black bloc viene
organizzato oltre al giorno, all'ora e al posto dell'appuntamento. Nella maggioranza dei
casi la discussione avviene via Internet. Qualche volta, per evitare la polizia, la
preparazione è tenuta segreta».Professionisti della guerriglia, le tute nere,
compartimentate in cellule per rendere più difficile l'infiltrazione della polizia,
lasciano poco, o niente, al caso. Lo conferma Josu Egireun, 47 anni,
bancario di Bilbao, membro di Hemen eta Munduan (in basco Qui e nel
Mondo), l'unico collettivo «non global» conosciuto nei Paesi Baschi, presente a Genova:
«Se si guardano bene gli obiettivi attaccati dai black bloc durante il G8 si capisce che
erano stati tutti scelti prima: per esempio, i negozi che vendevano i cibi transgenici».
Ma anche le banche, le concessionarie di auto, le filiali di alcune multinazionali: tutti
simboli della «tavola del capitalismo» e dunque della globalizzazione,
tutti da distruggere secondo gli insegnamenti del citatissimo Pierre-Joseph Proudhon («La
proprietà è un furto»). «I black bloc in futuro diventeranno più diffusi e
attrarranno un numero crescente di rivoluzionari» prevede sempre Munson ( purtroppo è
anche l'analisi, dopo Genova, dei servizi segreti italiani, ndr). «Il loro stesso
radicalismo sta aumentando e questo poiché l'intervento della polizia finisce per creare
più radicali di quanti ne dissuada».
Il guerriero antiglobal non riposa mai. Dopo Genova tocca a Washington,
il 28 settembre prossimo, data di inizio dell'assemblea d'autunno del Fondo monetario
internazionale e della Banca mondiale. Le discussioni nelle chat room sono già iniziate
per stabilire la tecnica migliore soprattutto per aggirare le trappole della polizia
cittadina e dell'Fbi. La rete mondiale del caos, che pure non ha ancora
capi riconosciuti, ma solo «compagni con più battaglie alle spalle», ha sempre un
programma e scadenze da rispettare. È così da quando gli «sfasciatutto»
sono entrati in azione la prima volta a Seattle, al vertice dell'Organizzazione mondiale
del commercio (Wto), alla fine del novembre 1999 nell'operazione N30
(30 novembre). Vengono però ancora più da lontano, dai primi anni 80, quando gli
squatter tedeschi occuparono migliaia di palazzi abbandonati a Francoforte, Amburgo,
Berlino e riuscirono a respingere la polizia, che diede loro per la prima volta il nome di
«Schwarzer bloc», blocco nero. Un movimento eterogeneo, ma efficiente,
nato negli ambienti degli «Autonomen» e poi allargatosi fino a
comprendere anche i Naziskin della Germania orientale, le teste rasate dei Blood and
Honour, SSS, gruppo 88 (dalle iniziali di Heil Hitler, ottava lettera
dell'alfabeto): anche se su fronti ideologici opposti rispetto agli anarchici, i Naziskin
sono oppositori della globalizzazione, in questo caso per difendere la razza ariana, come
sostiene il loro ideologo Horst Mahler, ex terrorista della Raf e ora
capo del partito di estrema destra, Npd. Fra i diversi black bloc del mondo, quelli
tedeschi sono temuti soprattutto per la loro violenza nichilista. Hanno basi logistiche
nelle ex case occupate, trasformate in centri sociali e culturali, spesso sovvenzionati
generosamente dai comuni e dotati di computer collegati in rete, giornali, sale concerto e
con conti correnti propri, avvocati e medici sempre a disposizione. Secondo un rapporto
confidenziale del Verfassungsschutz, il reparto della polizia tedesca per
la difesa della costituzione, sono attualmente 8 mila i militanti del blocco nero
teutonico. Nello stesso documento si legge che, in base agli accertamenti fatti, i centri
anarchici e autonomi sono finanziati dalla cosiddetta Piattaforma comunista, l'ala estrema
del Pds (ex partito comunista della Ddr), guidata dalla combattiva Sara Wagenknecht.
Tutti abbastanza giovani, fra i 18 e i 25 anni, gli ayatollah tedeschi dell'anarchia si
possono considerare davvero i perdenti della globalizzazione: sono disoccupati, squatter,
punk, barboni per scelta, ex tossicomani, alcolizzati, ma anche hooligan da stadio. Hanno
però fatto scuola prima in Europa (Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Grecia, Spagna e
Italia) e poi nel resto del mondo, negli Stati Uniti, perfino in Australia e Nuova
Zelanda. Da Seattle a Washington, da Praga a Gòteborg e
ora a Genova le tute nere in questi due anni non hanno mai perso un solo vertice per
bruciare auto e cassonetti, distruggere negozi e banche, provocare la polizia e poi
scomparire nel nulla («Off, off» urlano prima del tradizionale «We won») lasciando il
resto del movimento a subire le conseguenze, come è capitato ai pacifisti di Lilliput
durante i cortei genovesi.
Che cosa fare con loro? Come evitare l'accerchiamento? I leader antimondializzazione non
hanno ancora deciso il modo migliore per affrontarli anche perché non hanno sciolto
l'annoso dubbio se sono «provocatori al servizio del capitale», «lacchè della
polizia», oppure «compagni che sbagliano». Per la verità non è questo il punto. È
che occorrerebbe isolarli fin dalla prossima protesta a Washington. Anche perché i danni
subiti dal movimento nel suo complesso sono sempre più gravi. La violenza prende il
sopravvento su qualsiasi messaggio sociale. L'emulazione porta alle prime vittime come è
successo a Genova e prima ancora in Papua Nuova Guinea (quattro manifestanti uccisi). Ma
soprattutto i più saggi fra i guru del movimento, gli ambientalisti, gli inglesi di Drop
the Debt, Amnesty e Greenpeace, dopo Genova dovranno evitare un pericolo messo in evidenza
dai rapporti dell'intelligence canadese che si accinge ad affrontare i «neri»
l'anno prossimo: i gruppi affini ai Black bloc potrebbero presto armarsi non di spranghe e
di molotov, ma di pistole, fucili e bombe. Allora sarebbe davvero la fine di tutto.
(hanno collaborato Gian Antonio Orighi, Paolo Pontoniere e Walter Rahue)
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