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L'epurazione

di Claudio Li Gotti

La notte del 25 luglio 1943, quindici giorni dopo lo sbarco delle truppe Alleate in Sicilia (10 luglio), il Gran Consiglio del fascismo si riunì per l’ultima volta nella sua storia; Dino Grandi, presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, firmò l’ordine del giorno che provocò la caduta del fascismo e la liquidazione di Mussolini, il quale fu arrestato per ordine del Re Vittorio Emanuele III (e poi liberato dai tedeschi). Le operazioni degli Alleati angloamericani in Sicilia avevano così raggiunto il loro più importante obiettivo, che era quello di liberare il popolo italiano dal regime fascista e di costringere l’Italia ad uscire dalla guerra, condotta a fianco della Germania di Hitler. In seguito al crollo del regime, il Governo militare d’occupazione (l’AMGOT, Allied Military Government of Occupied Territory) diede il via all’azione epurativa nell’isola, rivolta in un primo momento alla persecuzione dei fascisti più pericolosi per l’ordine pubblico.

L’epurazione iniziò in Sicilia senza che fossero previste adeguate iniziative d’organizzazione in materia e, all’inizio, fu mantenuta entro margini abbastanza ristretti. Gli Alleati preferirono risolvere i problemi d’emergenza nelle zone liberate, in altre parole si misero all’opera per dar da mangiare alle popolazioni stremate dalla fame e nel provvedere alle necessità d’ordine igienico (seppellimento dei cadaveri, raccolta dei rifiuti, sistemazione delle strade ecc.). Il personale da rimuovere dalle proprie funzioni fu circoscritto dall’AMGOT ad una limitata “lista nera”, composta di alcune migliaia di fascisti “pericolosi”, che nel giro di pochi mesi furono arrestati o sottoposti a provvedimenti d’epurazione dagli organi giudiziari ed amministrativi a ciò preposti. Tutti i nove Prefetti dell’isola furono rimossi dal loro incarico e, nell’attesa delle nuove nomine di parte alleata, i loro vice ottennero le funzioni superiori in modo provvisorio, da esercitarsi sotto la vigilanza dell’AMGOT. Inglesi ed americani avevano deciso che l’amministrazione militare sarebbe stata indiretta: l’apparato provinciale e municipale dell’isola avrebbe continuato ad operare, sotto uno stretto controllo da parte degli Ufficiali degli Affari Civili (Civil Affairs Officiers) del Governo Alleato, presenti nei capoluoghi di provincia e nelle altre città siciliane. Anche i podestà locali (gli attuali sindaci) subirono i provvedimenti epurativi ma soltanto quelli delle città più importanti, perché più compromessi con il regime fascista, a differenza dei podestà dei centri minori che, in certi casi, continuarono a collaborare con l’amministrazione Alleata. I funzionari comunali, al livello di tecnici, professionisti e dei gradi più bassi dell’amministrazione locale, furono in larga parte mantenuti ed ebbero il permesso di continuare ad esercitare le loro funzioni.

Questa sorta di via “leggera” all’epurazione fu sperimentata soprattutto dagli americani nella Sicilia occidentale, a differenza degli inglesi (che esercitavano il controllo nella parte orientale) i quali furono più rigidi negli arresti e nelle deportazioni in Africa settentrionale, dove furono approntati dei campi di concentramento per i gerarchi fascisti ed i soldati catturati dagli Alleati. Dopo la conquista della Sicilia (17 agosto), le truppe angloamericane continuarono la loro avanzata nel resto del Paese, nell’ambito della Campagna d’Italia. Il maresciallo Badoglio, nuovo Capo di Governo, ebbe però un atteggiamento attendista circa l’epurazione dei fascisti, perché la situazione lo richiedeva (l’Italia continentale era ancora nelle mani dei Tedeschi) ed agì soltanto quando fu sicuro dell’alleanza con gli angloamericani, dopo l’Armistizio di Cassibile (3 settembre 1943 ma reso pubblico solo l’otto) che dichiarava la “resa incondizionata” dell’Italia e ne faceva una nazione cobelligerante; tuttavia, anche quando la politica delle sanzioni passò dalle mani degli Alleati a quelle del governo italiano, la “defascistizzazione” non fu mai profonda.

La vera differenza, rispetto alla fase iniziale in Sicilia, stava nel punire i fascisti non più in merito alla loro pericolosità, poiché l’ipotesi di un ritorno al potere di Mussolini era ormai da scartare, bensì rispetto alle qualifiche che avevano rivestito durante la dittatura (squadristi, sansepolcristi, Ufficiali della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale ecc.); dopo i membri del Governo fascista e l’intera direzione del Partito (che sarebbero stati condannati all’ergastolo e, nei casi più gravi, alla pena di morte), andavano perseguiti e sottoposti al giudizio d’epurazione pure coloro che avevano ottenuto posti nelle amministrazioni civili e militari, anche se con ordinamento autonomo, negli Enti locali e negli altri Istituti pubblici. Il primo decreto in questione fu emanato nel dicembre del 1943, dal titolo: “Defascistizzazione delle amministrazioni dello Stato, degli enti locali e parastatali, degli enti sottoposti a vigilanza o tutela dello Stato e delle aziende private esercenti pubblici servizi o d’interesse nazionale”. I soggetti che erano allontanati dalle loro cariche e dichiarati temporaneamente sospesi, dovevano compilare appositi questionari che contenevano informazioni dettagliate sul conto della persona, della sua attività svolta nel campo fascista e della sua condotta in genere. Sulla base dei suddetti questionari e di altre informazioni, essi sarebbero stati in seguito giudicati dalle apposite Commissioni d’Epurazione.

Nel 1944 entrò in scena l’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo, guidato dal conte Carlo Sforza, repubblicano, che si avvalse di un Commissariato aggiunto per l’epurazione (la cui direzione spettò al comunista Mauro Scoccimarro) e delle varie Delegazioni Provinciali, che lo rappresentavano in tutto il territorio liberato dagli Alleati. Il 27 luglio 1944 il nuovo Governo guidato da Ivanoe Bonomi emanò il decreto legislativo luogotenenziale n. 159, dal titolo: “Sanzioni contro il fascismo”, che disciplinava l’epurazione dell’amministrazione pubblica ed il ruolo dell’Alto Commissariato. Questo, secondo l’art. 41 del decreto, avrebbe dovuto dirigere e vigilare sull’operato di tutti gli organi che irrogavano le sanzioni contro i fascisti.

Sarebbero stati dispensati dal servizio tutti coloro che avevano partecipato attivamente alla vita politica del fascismo, conseguendo nomine od avanzamenti per il favore del partito (anche nei gradi minori); sarebbero altresì stati allontanati i dipendenti delle amministrazioni che durante il ventennio fascista avevano rivestito cariche importanti o che, dopo l’otto settembre 1943, erano rimasti fedeli al Governo della R.S.I.; qualora i dipendenti con qualifiche fasciste non avessero fornito alcuna prova di settarietà, intemperanza o di mal costume, durante il loro incarico, avrebbero subito misure disciplinari di minore gravità. Inoltre, sarebbero state inflitte pene minori a tutti quegli impiegati che avessero dimostrato di essersi trovati esposti a gravi minacce e pericoli per la persona propria o dei congiunti; chi, dopo l’8 settembre 1943, si fosse distinto nella lotta contro i tedeschi, poteva invece essere esentato dalla dispensa e da ogni misura punitiva. Il giudizio d’epurazione era affidato in primo grado alle apposite Commissioni, costituite presso ogni Ministero o Amministrazione pubblica. Per le Province, la Commissione doveva essere nominata dal Prefetto e composta di un magistrato in servizio o a riposo, di un funzionario di Prefettura e di un membro designato dall’Alto Commissario.

Il dipendente sottoposto al procedimento d’epurazione poteva essere sospeso dalle sue funzioni; in tal caso, nell’attesa che fosse definita la sua posizione, gli era concesso l’assegno alimentare a titolo di stipendio, escludendo ogni altra indennità. La dispensa dal servizio e gli altri provvedimenti disciplinari erano emanati dalle autorità competenti: i Tribunali popolari, i Tribunali militari e le Corti d’Assise straordinarie per i reati di collaborazione con i tedeschi, emettevano le loro sentenze contro i fascisti a completamento delle indagini e conformemente alle conclusioni delle Commissioni.

Nonostante il gran numero di procedimenti aperti a carico dei funzionari, il processo di defascistizzazione fu poco incisivo; sulla base di un rapporto sull’epurazione, su 143.781 dipendenti pubblici esaminati, solo 13.737 furono processati e, di questi ultimi, appena 1.476 furono rimossi dal loro incarico. L’epurazione riguardò dunque solo pochi funzionari, tra l’altro colpì quelli più piccoli poiché i fascisti più importanti riuscirono a fuggire all’estero e solo in pochi furono sottoposti ai processi contro i criminali del regime, giudicati dall’Alta Corte di Giustizia. L’Alto Commissariato fu eliminato nel febbraio del 1946 e le sue attribuzioni furono devolute alla Presidenza del Consiglio dei ministri; nello stesso anno, il ministro della Giustizia e leader del Partito comunista Palmiro Togliatti concesse l’amnistia generale che graziò molti fascisti, compresi quelli che avevano commesso gravi crimini, e permise a molti funzionari del passato regime di rimanere al loro posto nelle varie amministrazioni dello Stato, non permettendo così quel rinnovamento dell’apparato amministrativo che doveva essere la diretta conseguenza dell’epurazione.

 

Documentazione

Decreto legislativo luogotenenziale n. 159 del 27 luglio 1944

Roy Palmer Domenico, Processo ai fascisti, Milano 1996

Francesco Renda, Dall’occupazione militare alleata al centrosinistra, in Storia della Sicilia, III vol., Palermo 1987

Elena Aga-Rossi, La politica degli Alleati verso l’Italia nel 1943, in L’Italia fra tedeschi e Alleati, a cura di Renzo De Felice, Bologna 1973

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