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Fascismo in Giappone
di Giorgio Tosi
E esistito il fascismo in Giappone?
Probabilmente è una questione che interessa solo gli storici. Tuttavia io ritengo che lopinione
pubblica debba essere informata, non solo perché il ventre che partorisce il fascismo è
sempre fertile, ma perché quello più pericoloso è il fascismo che si manifesta non in
modo traumatico e violento, ma in modo subdolo, strisciante, come sarebbe possibile con i
moderni mezzi mass-mediatici e con il fascino di un Grande Fratello, magari unto dal
Signore.
Lopinione pubblica nella sua grande maggioranza è
convinta, secondo la tesi dominante della storiografia statunitense, che il regime
giapponese prima e durante la seconda guerra mondiale sia stato ultra nazionalista e ultra
militarista, ma non fascista.
Sulla base di nuovi studi gli storici europei sono
arrivati alla conclusione che il Giappone conobbe un fascismo "strisciante",
nella specificità e diversità della cultura sociale e politica autoctone, ma non diverso
nella sostanza dal fascismo italiano e tedesco.
Noto qui di passaggio che il fascismo come movimento ebbe
una diffusione mondiale, arrivando perfino in Cina con le camicie azzurre, ma
come regime statale si affermò in Italia, in Germania, nei Paesi satelliti dellAsse,
e in Giappone. Lo riconobbe già nel 1946 lo studioso giapponese Maruyama Masao, che in
una famosa conferenza introdusse la distinzione "fascismo dal basso"
(movimento) e "fascismo dallalto" (regime, tipico del Giappone), e
indicò i tratti comuni col fascismo italiano e col nazismo: negazione del liberalismo e
del Parlamento, antimarxismo e anticomunismo, militarismo, nazionalismo e razzismo.
Da Muruyama Masao nacque una scuola di storici che, pur
evidenziando le differenze fenomenologiche, teorizzò il compimento del "tennòsei
fashizumu" (fascismo del sistema imperiale) nel periodo tra le due guerre
mondiali.
Nellambito di un articolo di giornale non è
possibile entrare nei dettagli. Basterà ricordare che la burocrazia di origine samuraica
fu il collante del blocco di potere fin dallinizio della industrializzazione del
Giappone, e contribuì nel tempo, a partire dalla fine del 1800, a dare corpo non già a
uno Stato di diritto, ma uno Stato che aveva come base "la lealtà e lobbedienza"
allimperatore (tenno), considerato di origine divina.
Quando la prima e la seconda rivoluzione
industriale determinarono le prime scosse sociali, e gli intellettuali rivendicarono
maggiori libertà e diritti civili e politici, il Giappone avrebbe potuto avviarsi verso
una moderna democrazia e un vero Stato di diritto. Invece si ebbe la svolta autoritaria
che rafforzò il sistema imperiale, connotato da uno specifico blocco di potere e dal
largo consenso dei sudditi. Potremmo far cominciare il fascismo giapponese nel 1925 con la
famigerata legge "Chian ijiho" per il mantenimento dellordine pubblico,
contenente norme, inimmaginabili in uno Stato di diritto, che consentivano ampi poteri
alla Polizia, alla Magistratura e perfino alla burocrazia in materia di controllo del
consenso.
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2 settembre 1945: il Giappone si arrende. |
La legge in questione imponeva a tutti i Giapponesi
il dovere di difendere il "kokutai", cioè il sistema nazionale (norma
che nella sua genericità consentiva ogni arbitrio), e introduceva il "crimine di
pensiero" che praticamente trasformava ogni suddito in potenziale imputato.
Tra il 1925 e il 1941 furono infatti colpiti e condannati
gli individui e le organizzazioni pericolose per il "kokutai", in
particolare il nascente movimento operaio e gli intellettuali dissidenti. Le componenti
del blocco di potere, intrecciando i loro interessi, diedero vita silenziosamente a un
regime fascista, strumento della politica di espansione imperiale.
Scrive Francesco Gatti: "La Corte imperiale, lalta
burocrazia, la polizia, la magistratura, lesercito e la marina, gli zaibatsu
(monopoli) rivendicarono da un lato lampliamento e la difesa dei mercati di
importazione e di esportazione, dallaltro lespansione militare sul continente
asiatico e nei mari, percorrendo allinterno la strada della conservazione ad ogni
costo". (F. Gatti, Una grande rimozione: il fascismo giapponese, pag.202,
in Fascismo e Antifascismo, a cura di Enzo Collotti, Laterza, 2000).
a seconda guerra mondiale cominciò per il
Giappone nel 1931 con linvasione della Manciuria, cui seguirono il ritiro dalla
Società delle Nazioni, la guerra alla Cina, loccupazione del Vietnam, lattacco
a tradimento di Pearl Harbour, dando vita sul piano politico e militare allalleanza
col regime nazista e con quello fascista italiano: patto anticomintern e patto tripartito.
Il fascismo giapponese fu sempre connotato da una forte
valenza razzista e nazionalista, come è provato fra laltro da tre esempi
paradigmatici: il massacro di Nanchino nel 1937, quando i Giapponesi uccisero 200.000
civili inermi solo perché cinesi; lattività della cosiddetta unità 731 in
Manciuria, consistente in esperimenti chimici e biologici su cavie umane; infine la
coercizione sugli abitanti di Okinawa.
Un tratto caratteristico del fascismo giapponese fu che
mancò qualunque fenomeno di resistenza attiva, nulla che sia anche lontanamente
paragonabile alle Resistenze europee, o allattentato a Hitler del 20 luglio 1944 in
Germania. La mancanza di un partito unico non deve indurre in errore: la divinità
carismatica dellimperatore e il pensiero unico del blocco di potere supplirono
benissimo, anche organizzativamente attraverso le numerose organizzazioni patriottiche,
occupando lo Stato dallinterno e permeandolo in modo capillare.
Sulla base delle acquisizioni degli storici europei credo non sia più
possibile negare la tesi che il "tennòsei fashizumu" fu un regime
fascista che si espresse in forme proprie e originali, radicate nella storia del Giappone.
(in "Questo Trentino", n° 10 del 19.5.2001)
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