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Saggi sul fascismo
Storia della fotografia dell'Istituto
Luce
di Stefano Mannucci
Nascita e ruolo dellIstituto
Luce.
LIstituto Nazionale Luce fu
istituito da Mussolini, con qualità dEnte morale di diritto pubblico, con il Regio
Decreto legge n. 1985 del 5 novembre 1925,
pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale il 25 del corrente mese, a sostituire la precedente
società anonima L.U.C.E. (LUnione Cinematografica Educativa), sorta nel 1924 da unidea
di Mussolini, Paulucci De Calboli e De Feo, a raccogliere il progetto del precedente
Sindacato Istruzione Cinematografica. Il riconoscimento ufficiale della società anonima
Luce era precedente al Regio Decreto, in quanto, già nel luglio del 1925, la Presidenza
del Consiglio dei Ministri aveva diramato una circolare ai Ministri della Pubblica
Istruzione, dellEconomia Nazionale, delle Colonie e degli Interni, invitandoli a
servirsi esclusivamente dellorganizzazione tecnica del Luce, per fini educativi e
propagandistici.
Il Luce
rappresentò in Italia il primo esempio di organizzazione pubblica e sistematica di
educazione, informazione e propaganda attraverso le immagini, rivolte ad una popolazione
ancora fortemente colpita dallanalfabetismo (con un tasso del 31% nel 1919, cui
andrebbe sommato il dato non quantificabile del semi-analfabetismo di ritorno),
e quindi, per certi versi, più facile da plasmare.
LIstituto
Luce rappresentava lorgano tecnico cinematografico dei singoli Ministeri e degli
Enti posti sotto il controllo e lautorità dello Stato, con lo scopo essenziale
della diffusione della cultura popolare e della istruzione generale per mezzo
delle visioni cinematografiche, messe in commercio alle minime condizioni di vendita
possibile, e distribuite a scopo di beneficenza e propaganda nazionale e patriottica (art.
1).
Il Regio
Decreto approvava la convenzione costitutiva, stipulata a Roma il 5 ottobre 1925, firmata
fra Mussolini ed una serie di enti, qualificati come fondatori, che
erano: il Commissariato generale dellemigrazione, la Cassa nazionale per le
assicurazioni sociali, lIstituto nazionale per le assicurazioni degli infortuni, lIstituto
nazionale assicurazioni, lOpera Nazionale Combattenti, la Società anonima Le
assicurazioni dItalia, lOpera Nazionale per il Dopolavoro, la
Società italiana Dante Alighieri. Gli enti fondatori erano elencati
sotto la categoria A se la loro partecipazione finanziaria raggiungeva
la somma di £.300.000, e sotto la categoria B se la loro
partecipazione era invece inferiore a tale somma.
Inizialmente,
lIstituto dipendeva direttamente da Mussolini. Lart.17 del R.D. sanciva,
infatti, che lIstituto era sottoposto al controllo ed allautorità
del Ministro per gli Affari Esteri, al quale dovevano essere sottoposti per lapprovazione
i regolamenti generali e tecnici.
Lo
statuto, inoltre, prevedeva la supervisione diretta di Mussolini sui materiali realizzati,
conferendogli anche il potere di annullare qualunque delibera del consiglio di
amministrazione, oltre che ratificare lapprovazione riguardo lingresso di
nuovi enti od istituti allinterno del Luce.
Nel
marzo del 1927, contestualmente alla produzione dei primi cinegiornali, proiettati per
obbligo in tutti i cinema del paese prima di ogni spettacolo,
il Luce istituì il Servizio Fotografico, che avrebbe avuto contemporaneamente il compito
di ordinare, conservare e completare un Archivio Fotografico Nazionale, e di forgiare e
diffondere limmagine di Mussolini, arrivando a detenere, in pratica, il completo
monopolio della ripresa fotografica degli avvenimenti ufficiali.
Nellaffermare
che non esiste un documento oggettivo, innocuo, primario, Jacques Le
Goff ha aggiunto che un documento è sempre e comunque il risultato dello sforzo
compiuto dalle società storiche per imporre al futuro consapevolmente od
inconsapevolmente quella data immagine di se stesse.
Se
accettiamo tale affermazione, possiamo sicuramente sostenere come lIstituto Luce
fosse lente del regime fascista a cui era stato demandato il compito di effettuare
la documentazione storica delle imprese e delle opere della Nazione e del Regime,
per costruire così il monumento visivo dellera fascista.
Se larchitettura
doveva lasciare opere e segni evidenti dellera fascista nelle città, da resistere
nel tempo anche dopo uneventuale caduta del regime, lIstituto Luce, attraverso
le sue fotografie, doveva altresì innalzare monumenti visivi nella memoria collettiva e
simultaneamente edificare limmaginario popolare della nazione.
Per
realizzare larchivio, il Luce iniziò a raccogliere, così, tutto il materiale
esistente allepoca, acquisendo archivi di fotografi dopere darte come il
Lombardi Siena o lintero gabinetto fotografico del ministero della Pubblica
Istruzione, rastrellando gli archivi dei fotografi di cronaca, tra cui quello dAdolfo
Porry Pastorel. LIstituto perpetuava, almeno nelle intenzioni, una tradizione
catalografica che era nata con lunificazione del paese; ma contemporaneamente,
effettuò delle scelte selettive, come se si avesse timore di cosa la fotografia potesse
rivelare, che influirono sulla raccolta fotografica.
Proprio
perché incaricato di visualizzare la storia ufficiale dellItalia fascista, il Luce,
daltronde, nel corso della sua esistenza, non testimoniò molti avvenimenti
attraverso le sue fotografie, per raffigurare il presente ed il passato secondo i dettami
del regime, e conseguentemente archiviando e documentando soltanto quegli avvenimenti che
fossero stati reputati, appunto, degni dal regime di appartenere alla storia.
La
fotografia era così una portatrice indiretta di verità sociali. Tale significato
indiretto era causato dallopera di una censura, per certi versi, positiva, nel senso
che vietando il regime la riproduzione fotografica di determinati avvenimenti, si cercava
di negare anche lesistenza degli stessi avvenimenti allinterno della società.
Così, dopo lintervento della censura, non esistendo fotografie di determinate
situazioni, si voleva lasciar credere che non esistessero nemmeno tali situazioni.
Attraverso
la negazione delle fotografie, dunque, sintendeva affermare lesistenza di
determinate realtà e verità sociali, consoni alla propria volontà ed alla propria
ideologia. Anche in altri casi, il ruolo della fotografia era indiretto, essendo essa
chiamata a testimoniare visivamente una didascalia che era il principale messaggio
politico.
Intanto,
nel corso degli anni, lIstituto Luce era passato sempre più sotto la vigilanza dellUfficio
Stampa del Capo del Governo, trasformato prima in Sottosegretariato di Stato per la Stampa
e la Propaganda, innalzato poi al rango di Ministero per la Stampa e la Propaganda,
da cui sarebbe sorto infine il successivo Ministero della Cultura Popolare (Minculpop).
Nel
1933, tale ruolo venne presieduto da Galeazzo Ciano, che iniziò ad allargare gradualmente
le sfere di competenza dellallora Ufficio Stampa, creando così i presupposti per le
trasformazioni precedentemente delineate, ed attuando unestensione ed una
proliferazione dei controlli di dimensioni considerevoli su tutti i campi della vita
culturale.
Cultura
e propaganda finirono, dunque, per essere due aspetti di una principale politica unica,
volta ad accrescere lefficacia della dittatura di massa, inserendola nella
profondità della vita del paese.
Tali
istituti effettuavano una duplice forma di azione, sia effettuando delle vere e proprie
commissioni al Luce, affinché venissero realizzati servizi fotografici su determinati
argomenti; sia agendo, in secondo tempo, sugli organi di stampa, incidendo direttamente
sulla gestione, sulla scelta, sulla collocazione della fotografia, attraverso varie
disposizioni o note di servizio.
Il
contenuto delle disposizioni del Minculpop assume così una notevole importanza per
comprendere il ruolo della fotografia nellapparato propagandistico del regime
fascista, essendo il Minculpop non soltanto il censore di tali immagini fotografiche, ma
un vero e proprio committente dei temi ufficiali e dei messaggi visivi che lIstituto
Luce doveva tradurre attraverso la sua rappresentazione fotografica.
E
gradualmente che la fascistizzazione delle istituzioni e della stampa si accentuava, la
fotografia si vide assegnato limportante ruolo di costruire il consenso e
convogliare ladesione civile alle scelte politiche di Mussolini ed alloperato
del regime fascista, divenendo in molti casi la visualizzazione della politica del PNF.
La
fotografia, dunque, fu elevata ad uno strumento diretto di persuasione politica, avendo
essa limportante funzione, attraverso la sua elaborazione e diffusione, di agire
sulle coscienze degli individui, cercando di eliminare ogni riserva e capacità critica,
per stimolare unadesione spontanea negli italiani alle tematiche fasciste.
A tal
punto, la fotografia doveva racchiudere la realtà dentro un sistema visivo che era
ordinato e costruito a priori, attraverso appunto le direttive del Minculpop,
le quali rappresentavano la premessa ideologica e la finalità operativa appartenenti alle
singole fotografie.
La
fotografia, inoltre, ampliava il bacino dutenza del messaggio politico, rendendo
universale levento riportato ed il conseguente contenuto implicito, che diveniva,
tramite la stampa, oggetto di contemplazione collettiva, travalicando i limiti geografici.
Il
Servizio Fotografico del Luce, a tal fine, organizzò un sistema di distribuzione delle
immagini che fosse il più possibilmente funzionale alle esigenze del regime. Tutte le
fotografie di propaganda o di interesse nazionale venivano
inviate gratuitamente a tutta la stampa nazionale, la quale, però, doveva pagare un
canone o sottoscrivere un abbonamento per ricevere le immagini cosiddette di varietà.
Alla stampa estera, invece, veniva recapitata senza alcuna spesa ogni genere di immagine.
In tale
scansione temporale, essenziale fu il ruolo svolto dalla Mostra della Rivoluzione
Fascista. La mostra era costituita da innumerevoli testimonianze, anche a volte diverse
fra loro, ma rilegate dal regime in un continuo, che seguiva e spiegava la propria
rilettura ideologica della storia nazionale, effettuando così un processo di
fascistizzazione della fotografia sociale. Ma la mostra non rappresentò soltanto il
culmine raggiunto dalla fotografia come strumento dappropriazione del passato, e
mezzo per costruire una storia secondo la propria concezione ideologica. La mostra cercò,
soprattutto, di oggettivare la fotografia nel suo rapporto con la storia medesima.
Infatti, nel momento in cui la fotografia era posta accanto ad oggetti reali del passato,
quali le cinghie, gli zaini, le lettere, le armi, essa stessa diveniva un oggetto reale ed
obiettivo, un prodotto materiale della storia, e non leffimera visione del mondo da
parte di una determinata intenzionalità, donandole così una maggiore forza nel suo
rapporto doggettività con la storia stessa.
Una volta
assunta e legittimata ad essere specchio della realtà, la fotografia poteva
tranquillamente essere utilizzata per un processo di defattualizzazione della realtà
stessa. La fotografia avrebbe permesso, così, di ricostruire una realtà confacente ai
propri propositi, ma sarebbe stata assunta dalla popolazione, non come luogo di una
rappresentazione fittizia, ma come documento oggettivo di una verità sociale esistente.
Una realtà ricostruita che rappresentasse un operato del regime fascista impermeabile a
critiche ed influenze indesiderate. E non fu un caso che, proprio dopo la Mostra della
Rivoluzione Fascista, e con il fiorire della stampa illustrata periodica, iniziarono ad
essere emesse disposizioni su come la fotografia dovesse rappresentare i vari avvenimenti
del momento, con un andamento ed una sistematicità sempre più gradualmente consistente.
Il
culto del duce
La
fotografia del Luce, inizialmente, aveva il ruolo di forgiare limmagine di Mussolini
ed alimentare il culto del duce allinterno della popolazione, rappresentandolo come
un prototipo di speciali virtù, che tutti gli italiani dovevano emulare e possedere.
Un
Mussolini solitamente fotografato con inquadrature dal basso, conferendogli così una
statura eroica, elevandolo al di sopra degli uomini comuni. Nei ritratti in primo piano,
inoltre, si prediligevano le inquadrature che facessero risaltare, sul viso di Mussolini,
uno sguardo pensieroso, rivolto quasi verso il futuro, a cercare di conferirgli un senso dacutezza
e profondità, cercando di identificare il suo volto con il progresso e la vittoria.
La
fotografia era così uno strumento di socializzazione politica e dacculturazione
monolitica, costituendo inoltre la sintesi visiva di tali processi, con lintento di
effettuare un processo dinteriorizzazione negli italiani dei modelli di
comportamento e degli ideali propugnati dal regime fascista ed incarnati nel corpo di
Mussolini.
Ma limmagine
che Mussolini ed il regime fascista volevano dare di se, in Italia ed allestero,
subiva cambiamenti ed evoluzioni continue, direttamente conseguenti alle scelte politiche,
e destinate a tradursi in altrettante sollecitazioni visive sullopinione e sulla
percezione delle masse.
La
polisemia insita nella fotografia era il riflesso diretto della mutabilità della politica
del regime fascista, dei diversi messaggi politici che esso voleva edificare nelle
coscienze degli italiani. La fotografia doveva adeguarsi a questestrema e continua
variazione della propaganda, essendo il principale supporto e rappresentante visivo.
Non fu
certo un caso se, allevolversi del sistema da autoritario a totalitario, e
soprattutto allavvicinarsi e al prepararsi del conflitto italo-etiopico, corrispose
unevoluzione della politica iconografica del duce, che sostituì gradualmente il
proprio abbigliamento borghese con limmagine cesarea in divisa militare.
Significative, nellanalizzare la militarizzazione delliconografia
mussoliniana, sono ad esempio le fotografie dei matrimoni dei figli di Mussolini. Se nelle
fotografie del matrimonio della figlia Edda, nel 1930, compare un Mussolini in tight e
cilindro, durante le cerimonie dei matrimoni dei figli Bruno e Vittorio, rispettivamente
avvenuti nellottobre del 1936 e nel febbraio del 1937, abbiamo un Mussolini
fotografato sempre in divisa, sia mentre assiste allo svolgersi della cerimonia, assieme
alla moglie, sia mentre accompagna la sposa nellingresso in chiesa.
Liconografia
militare, dopo lo stringersi dellalleanza italo-tedesca, e soprattutto durante la
Seconda Guerra Mondiale, divenne obbligatoria per tutti gli esponenti del regime, a tal
punto che spesso il Minculpop vietò la pubblicazione di fotografie di gerarchi
in abito borghese.
LIstituto,
inoltre, doveva cercare di diffondere unimmagine di Mussolini rassicurante ma forte
allo stesso tempo. La fotografia ha così testimoniato la molteplicità semantica dellimmagine
di Mussolini, non soltanto fra essere dinamico e statuario, ma anche edificandolo nellicona
del condottiero militare della nazione, e contemporaneamente divulgandolo come il paterno
protettore della nazione, sempre prodigo a dispensare affetto ed interessamento verso la
popolazione.
La
fotografia dellIstituto Luce fu, inoltre, testimonianza ed agente del mussolinismo.
Riprendendo le folle e le donne che si stringevano attorno a Mussolini, si voleva spingere
anche il resto della popolazione a provare tali sentimenti nei suoi confronti. E proprio
le immagini testimoni del mussolinismo, ci portano dentro laltro settore importante
in cui operò lIstituto Luce, cioè la rappresentazione e la costruzione del
consenso.
Lestetizzazione del consenso.
La fotografia dellIstituto
Luce, per tutto il corso del Ventennio, fu incaricata di essere contemporaneamente
testimone ed agente del consenso. Essa, infatti, diffondendo costantemente le immagini di
una piena adesione fra la società civile ed il regime fascista, cercava appunto di
edificare nellopinione pubblica un sentimento analogo, e di conseguenza, di ampliare
il consenso stesso.
Gli
operatori del Luce rappresentarono e documentarono la realtà sociale o quotidiana, a
tessere limmagine di unItalia i cui ritmi di vita erano scanditi dalla
liturgia del partito fascista. Lattenzione dei fotografi era incentrata
essenzialmente sugli avvenimenti ufficiali del regime e delle sue organizzazioni, come i
sabati fascisti, le manifestazioni ginniche e le esercitazioni premilitari, la befana
fascista e le colonie dellOND, le adunate di piazza e le città in giubilo per le
visite di Mussolini.
Fin dallinizio,
il fascismo cercava di alimentare in continuazione la fede nel partito e nel duce
attraverso linvenzione di nuovi segni visivi dappartenenza, quali il fascio
littorio, la camicia nera, il manganello; ma soprattutto attraverso listituzione di
rituali patriottici, commemorazioni ufficiali, celebrazioni della propria storia e delle
proprie principali ricorrenze, marce e cerimonie politiche.
La
diffusione delle fotografie riguardanti tali eventi aveva lo scopo di dare espressione e
rappresentare questa nuova religione dello stato, affinché entrasse sempre più
progressivamente a far parte della vita e delle abitudini degli italiani.
Gli
operatori del Luce, fotografando le varie parate militari, i discorsi di Mussolini, le
adunate oceaniche, da un lato raccontavano levidenza del consenso, e dallaltro,
come nota con sagacia Bertelli, suggerivano lassurdità dogni eventuale
dissenso,
partecipando così, con le proprie immagini, alla missione della formazione del nuovo
popolo.
La
fotografia del Luce racchiuse così nel suo universo semantico i temi della propaganda dintegrazione
che Ellul e Cannistraro,
insieme alla propaganda dagitazione, hanno individuato come fasi della politica
fascista. LIstituto, infatti, doveva cercare di ottenere ladesione totale e
permanente della maggioranza della popolazione a quelle particolari verità sociali che
esso rappresentava visivamente.
Proprio
per render il più possibile efficiente tale propaganda di immagini, nel 1931 vennero
diramate le Direttive per la stampa di Polverelli,che oltre a diminuire le ultime residue libertà del
giornalismo, costituirono la base di tutte le note di servizio che si sarebbero susseguite
negli anni successivi.
Polverelli,
fra le varie direttive, sosteneva anche lesigenza che le fotografie di avvenimenti e
panorami italiani dovessero essere sempre esaminate dal punto di vista delleffetto
politico. Così se si tratta di folle, scartare le fotografie con spazi vuoti; se si tratta
di nuove strade, zone monumentali, ecc., scartare quelle che non danno una buona
impressione di ordine, di attività, di traffico, ecc.
Nel
rappresentare e edificare il consenso della popolazione al regime, così, i fotografi del
Luce spesso cercarono di ricercare ed effettuare determinate scelte formalistiche, che
portarono ad un processo destetizzazione delle masse e del consenso stesso.
Le folle
oceaniche delle adunate erano solitamente riprese con inquadrature dallalto, con
posizioni che potevano essere sia laterali sia frontali, cercando appunto di evitare quegli spazi allinterno della
folla che erano sgraditi al Minculpop, per costruire la percezione di ununità
indissolubile nel legame di essa col regime.
Losservatore
della fotografia era così collocato in una prospettiva da cui la massa umana inquadrata
riceveva una sorta di effetto di moltiplicazione allinfinito a gremire ogni spazio
della piazza.
In altre
occasioni, per ampliare visivamente il numero delle persone partecipanti alla
manifestazione, la ripresa dallalto era sostituita da una ripresa dal centro stesso
dellavvenimento, immergendo così totalmente losservatore al centro stesso
della folla e dellavvenimento rappresentato.
Durante
le manifestazioni ginniche, a volte, gli operatori del Luce si limitavano a fotografare, e
per certi versi a testimoniare, le coreografie predisposte dalle varie organizzazioni, che
tendevano ad effettuare una politicizzazione dei corpi.
Gli
operatori, infatti, fotografavano dallalto i corpi dei partecipanti alla
manifestazione, che attraverso la loro disposizione sul terreno, assumevano solitamente le
sembianze di immensi fasci littori o di gigantesche M o DUX.
La
fotografia del Luce doveva solennizzare le manifestazioni del regime, celebrandole appunto
come momenti culminanti della vita sociale italiana, in cui le determinate organizzazioni
affermavano la propria unità e la propria potenza.
La
fotografia del Luce, inoltre, fu uno strumento attraverso cui perpetuare la
simbolizzazione di una gioventù che, marciando allineata nel passo romano, cresceva
poderosa nel fisico e spartana nellanimo, preparandosi fisicamente, militarmente e
spiritualmente per essere pronta a servire la nazione in guerra.
Una
gioventù rappresentata dunque agile, tonica, ma soprattutto, attraverso le fotografie
degli allineamenti impeccabili e delle coreografie corporali, una gioventù conquistata
non solo dagli ideali del regime ma anche dalla sua disciplina e senso dellordine.
Anche la
fotografia, così, entrò a far parte del disegno pedagogico del regime fascista, volto
alla creazione dellitaliano nuovo, cercando di edificare, attraverso le proprie
immagini, lo stile di vita fascista nelle mentalità e nelle abitudini comportamentali
degli italiani.
La
fotografia doveva influenzare gli uomini, visualizzando quali fossero i costumi ed i
modelli di comportamento degni di appartenere al nuovo italiano, per conseguire il
risultato di produrre un progressivo adattamento degli italiani a tali stili di vita. La
fotografia del Luce diveniva così una sorta di pupilla che insegnasse e consentisse agli
italiani ad osservare il paese e la realtà quotidiana non con i propri occhi, ma con
quelli dello stesso regime fascista.
La
fotografia del Luce, soprattutto durante il conflitto etiopico e la Seconda Guerra
Mondiale, cercò di rappresentare la mobilitazione di unintera nazione che, senza
alcuna differenza di ceto o classe, accorreva a sostegno del regime e dei suoi programmi
bellicisti, cercando così, soprattutto nei momenti di difficoltà operative dellesercito,
di spostare lattenzione della popolazione dagli eventuali insuccessi militari che si
andavano conseguendo.
Ma la
fotografia ci consente anche di analizzare la disposizione delle persone allinterno
delle manifestazioni indette dal regime. Risalta spesso agli occhi, sia nelle adunate di
piazza sia nelle accoglienze ai vari politici, come le prime file della folla fossero
sempre costituite dagli schieramenti dellOND o di altre organizzazioni del PNF, i
cui aderenti erano solitamente coloro che innalzavano cartelli o striscioni con sopra
impresse scritte di appoggio e di giubilo nei confronti di Mussolini e del regime
fascista.
E la
stessa metodologia fotografica, che per anni aveva rappresentato il consenso della
popolazione al regime, fu utilizzata dagli operatori dellIstituto Luce, il 26 luglio
del 1943, per rappresentare la felicità della popolazione alla fine del regime fascista.
Gli
operatori del Luce perpetuarono gli stessi metodi stilistici dellestetizzazione
delle masse per rappresentare le persone che accorrevano per le strade, a gremire le
piazze delle città e bruciare i ritratti mussoliniani, fotografandole con riprese dallalto
e dal centro, per edificare limponenza delle manifestazioni. E se nel 1936, a Addis
Abeba, gli operatori del Luce ripresero una camicia nera salire su una scala per
distruggere dalle mura di un edificio il leone imperiale, a simbolizzare così la vittoria
ed il culmine del consenso al regime fascista, identica metodologia visiva fu utilizzata
per simbolizzare la caduta del regime, fotografando le persone che salivano sulle scale a
distruggere i fasci littori dagli edifici di Roma e Venezia.
Pur
essendo lo strumento per edificare il monumento visivo dellItalia fascista, la
fotografia del Luce porta più volte in se, in nome di quella dicotomia fra propaganda e
sociale propria di ogni immagine fotografica, e della distinzione fra studium
e punctum che Barthes
intravede in ogni singola immagine, alcuni indizi che, oltre laspetto patinato della
propaganda, ci lasciano intravedere la realtà sociale di quegli anni.
La
fotografia del Luce, ad esempio, ha seguito e testimoniato levolversi del ruolo e
dellimmagine della donna secondo le esigenze che il regime fascista, e
successivamente il conflitto mondiale, le affidava.
Ma nella
sua polisemia, la fotografia del Luce ci ha lasciato spesso intravedere gli spiragli di
una realtà testimoniata più o meno consciamente dai fotografi.
Una
realtà che drammaticamente si ergeva tangibile oltre ed al di fuori della simbologia e
dellintenzionalità della propaganda. Ed ecco così apparire nelle fotografie le
divise dellesercito sporche o rotte, i visi tristi e stanchi dei soldati e dei
civili, le città distrutte sullo sfondo delle scritte della propaganda, la tenerezza dei
bambini ostentati a vittime della criminalità anglo-americana negli ospedali colpiti, lassenza
di risorse alimentari che non potevano essere compensate dalla proliferazione degli orti
di guerra.
Ma ancor
di più, la fotografia ha documentato la rottura fra lintenzionalità del messaggio
e la sua ricezione da parte della popolazione.
Tale
testimonianza è vivida nelle fotografie scattate dopo la Conferenza di Monaco, che
ritraevano la popolazione sorridente per la pace salutare Mussolini, identificandolo come
il salvatore della pace ed il garante della sicurezza internazionale, negando e rifiutando
così, per certi versi, la ricezione della coreografia fotografica che tendeva ad
edificare Mussolini come il condottiero cesareo pronto a guidare la nazione in guerra, e
la rappresentazione che per anni il Luce aveva effettuato degli italiani, edificando limmagine
di un popolo che marciando allineato era stato conquistato dagli intenti e dagli ideali
bellicisti del regime fascista.
Tuttavia,
questi sono discorsi ed analisi che possiamo affrontare noi, a molti anni di distanza da
quando quelle fotografie furono prodotte, rileggendo appunto la polisemia della fotografia
nella piena conoscenza della differenza fra reale e rappresentato, ed avendo la
possibilità di visionare anche ciò che allora fu censurato ed occultato. Per molti
italiani di allora, invece, la fotografia del Luce era lunica immagine diffusa e
disponibile sui giornali, e quindi lunica rappresentazione della realtà che essi
potessero percepire al di fuori della realtà stessa. A questo punto, la fotografia dellIstituto Luce rimane senzaltro
una fonte essenziale nello studio della propaganda visiva del fascismo, essendo essa stata
un suo principale supporto.
Attraverso
la fotografia dellIstituto Luce, ci possiamo trasferire negli occhi di chi ha
prodotto quella data immagine, svelandone così lintenzionalità soggiacente alla
modulazione creativa, ma ancor più importante, noi possiamo entrare negli occhi di chi
quellimmagine lha vista poi, riprodotta sui giornali, cercando di percepire la
stimolazione di pensiero che la fotografia ha suscitato in lui.
A tal
punto, la fotografia si eleva a divenire il trascrittore della percezione visiva, oltre
che attestare la valutazione della realtà italiana che il Luce, secondo le direttive del
regime, effettuò nel corso della sua esistenza.
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