ORIENTAMENTI STORICI a cura
di Andrea Rossi
Vite normali di vittime designate
Mario Avagliano Marco Palmieri, Gli ebrei sotto la persecuzione
in Italia, Torino, Einaudi, 2011
Proseguendo la felice intuizione avuta con il precedente Generazione ribelle,
Mario Avagliano, in collaborazione con Marco Palmieri, ci offre, tramite lo strumento dei
diari e delle lettere, lo specchio delle riflessioni, dei giudizi e dei pensieri che
scrissero di getto, in tempo reale i componenti delle comunità ebraiche
italiane dallintroduzione delle leggi razziali nel 1938, sino ad arrivare al tragico
biennio 1943-45.
A leggere questo interessante e largamente inedito materiale, emerge con chiarezza un
sentimento dominante che percorre le varie fasi dalla persecuzione dei diritti e dei
beni fino alla stagione catastrofica della persecuzione delle vite: lo
stupore e lincredulità, prima ancora che la rabbia o il timore.
La spiegazione, espressa in decine di scritti, è sostanzialmente la stessa, ossia lincapacità
di comprendere labisso in cui lEuropa stava per entrare. Agli occhi di questi
uomini e donne, in genere di cultura media o elevata, con attività commerciali e
industriali fiorenti, risulta pressoché impossibile da comprendere la barbarie elevata a
sistema che si stava impadronendo dellintero continente. Addirittura, da parte della
non marginale minoranza che aveva apertamente appoggiato il fascismo e che ne condivideva
lideologia nazionalista, ci sono almeno allinizio forme di
larvata giustificazione delle scelte mussoliniane del 1938 (cosa che avevamo anche
ampiamente incontrato nella biografia di Renzo Ravenna Il podestà ebreo
redatta da Ilaria Pavan). Il legame nazione-identità ebraica, specie nella sua
declinazione più patriottica (e forse addirittura patriottarda) emerge con
chiarezza negli scritti di chi aveva partecipato alla prima guerra mondiale, o che
addirittura era stato fervente interventista. Tanti si rifiutano di accettare che la
stessa patria in cui si sentivano integrati ora li respingeva come una entità estranea
(un rifiuto che porta anche ad alcuni suicidi).
Nonostante lo scoppio della seconda guerra mondiale e la progressiva discriminazione dalla
vita nazionale, gli ebrei italiani, in maggioranza, non si ribellano ai soprusi, compresi
quelli più gratuiti e violenti (come la devastazione della Sinagoga di Ferrara nel 1941),
cercando piuttosto un modus vivendi con la nuova realtà. Le prime frammentarie
notizie sullavvio del programma nazista di sterminio, vengono anchesse
commentate con sostanziale incredulità, almeno fino a quando, con loccupazione
nazista, i treni piombati iniziano a partire anche dal nostro paese.
Solo nel momento più atroce e irrimediabile, nel viaggio verso i campi della morte,
tramite biglietti, lettere e messaggi letteralmente gettati nelle stazioni di mezza
Italia, si avvertono i congiunti e gli amici che lunica salvezza è la fuga: quasi
come se per centinaia di uomini, donne, vecchi e bambini, la catastrofe finale fosse
arrivata come un temporale in mezzo allirreale calma creata per dare una parvenza di
serenità alle famiglie colpite dalla follia delle ideologie omicide.
Questo è forse laspetto più toccante e tragico dellintera vicenda, che porta
a chiedere a ciascuno di noi quale reazione potremmo avere di fronte alla persecuzione
immotivata (e crediamo che questo sia il nodo centrale) della propria vita e dei propri
affetti. Una domanda che deve restare ben presente nella coscienza civile del paese.
Siamo grati a Mario Avagliano per averci condotto, con rispetto e delicatezza per chi ha
lasciato quelle strazianti note, a riflettere ancora una volta su quella terribile
stagione.
(27 giugno 2011)
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