di Massimo Lomonaco
Avagliano ha messo insieme un'opera
encomiabile: i diari e le lettere, dal 1943 al
1945, di quella gioventu' italiana che scelse la Resistenza e divento' volutamente 'la
generazione ribelle'. Lo ha fatto scegliendo
non le testimonianze 'davanti alla morte -
come fece, altrettanto encomiabilmente, il volume 'Lettere dei condannati a morte della
Resistenza italiana' di Malvezzi e Pirelli -
bensi' gli scritti della loro militanza. Nel
momento in cui, cioe', scelsero - a partire dall'8 settembre
- di stare da una parte. Ne scaturisce alla fine un diario collettivo, seppur
originariamente personale, non viziato dal
''clima del dopoguerra e dalle varie interpretazioni storiografiche sul movimento di
liberazione''. Avagliano fa dunque parlare i
protagonisti - alcuni famosi, altri assolutamente sconosciuti - offrendo al lettore un
viaggio emotivo: quello che va dall'illusione
del 25 aprile con la caduta del fascismo e dei suoi simboli fino all'aprile del 1945 e ai festeggiamenti con il tricolore per la
liberazione di MIlano. Due anni fondamentali per la storia italiana d'allora e di quella futura: un periodo - e un fenomeno
militare-storico-politico - per il quale Avagliano fa suo il giudizio del presidente Ciampi: ''non mori', anzi rinacque
l'amor di patria in senso risorgimentale arricchendosi, dopo un ventennio di buio delle liberta', di un nuovo spirito fondativo
'costituente' che fu alla base della stagione del Cln e della nascita della Carta costituzionale''.
Ne' - spiega l'autore - fu
''indifferente'' - come oggi si tende ad
accreditare - aderire alla Resistenza o alla Repubblica di Salo' e ne' quella indifferenza
puo' essere ridotta o annullata o far
modificare il giudizio su quel periodo storico da ''argomenti veritieri come le foibe o
'le vendette' partigiane del dopoguerra''.
Come ha sostenuto lo storico Claudio Pavone - e Avagliano
sottoscrive - la guerra di
Liberazione fu anche una guerra civile: ricordarlo vuol dire rafforzare - al di la' di
certa dannosa epica resistenziale - un ''carattere fondativo'' dell'identita'
nazionale. Leggere le motivazioni, i pensieri, le decisioni,
della Gioventu' ribelle - cosi' come furono concepiti e trasferiti sulle pagine private di
diari e lettere - serve a smitizzare quegli
eroi distanti e a farne uomini concreti e molto legati a quella che, sempre da Pavone, e'
stata definita ''la moralita' della
Resistenza''.
Nella
parole che compongono questo diario collettivo c'e' di tutto:
lo sbandamento dell'esercito italiano all'annuncio dell'armistizio; la lotta contro i
tedeschi negli avamposti all'estero; la fatica
della lotta in montagna e nelle citta'; il carcere, le torture, gli eccidi, la
deportazione nei lager; la scelta dei militari
italiani prigionieri di non aderire alla Rsi. Ma anche le divisioni all'interno del mondo
partigiano: e basterebbe leggere le lettere di
Francesco De Gregori (zio del cantautore romano) ucciso nell'eccidio di Porzus. Ma da questo 'diario' - nota nell'introduzione
Alessandro Portelli - emerge con forza un messaggio: mantenere la dignita'. ''La grande dignita' di tante persone - scrive
Portelli - che riprendono il dominio sulle proprie vite e che in questo modo restituiscono dignita' alla parte migliore del
nostro paese''.
|