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Terza
Guerra Mondiale?
Pakistan, ultimatum ai taliban
"Consegnate Bin Laden"
ISLAMABAD - Secondo fonti dell'opposizione afgana, gli arabi di Bin Laden
hanno abbandonato in massa Kandahar, la capitale spirituale dei Taliban, dov'erano
diventati presenze abituali e temute. Sommavano a diverse centinaia ed erano acquartierati
nei pressi dell'aeroporto. Sono spariti alla spicciolata, in apparenza scortati o seguiti
da molti Taliban sui furgoni gentilmente offerti nel 96 ai mullah afgani dall'Arabia
Saudita. Ora sarebbero nascosti nelle montagne basse della zona, o forse più a nord,
comunque al riparo da un eventuale attacco dell'aviazione americana. Si suppone siano
acquartierati nelle caverne che i mujahiddin trasformarono in basi imprendibili durante la
guerra santa contro i sovietici.
Se questo è vero, possiamo immaginare che in quegli antri la prospettiva di misurarsi sul
terreno contro il Grande Satana americano ora provochi più eccitazione che sgomento: la
nuova guerra santa, la Jihad contro gli Stati Uniti e i loro alleati che il Gran consiglio
dei mullah afgani si appresta a proclamare solennemente da Kabul, è l'avverarsi del sogno
visionario coltivato in questi anni da Bin Laden e dai suoi guerrieri.
Se Bin Laden non ha preso il volo verso le uniche nazioni che oserebbero ancora ospitarlo,
l'Iraq e la diroccata Somalia, sarà il condottiero della nuova guerra santa, l'ennesima
Spada dell'Islam attesa ovunque dal fondamentalismo. Avendo combattuto contro i sovietici,
conosce bene l'impervio territorio afgano, i sentieri di montagna, le piste del deserto, i
nascondigli. E avendo all'epoca combattuto a fianco della Cia, conosce bene anche il
nemico. Potrebbe essere già con i suoi arabi scappati da Kandahar. In città non vedono
da tempo il corteo di quattroruote con i vetri oscurati che saltuariamente lo portava ai
suoi incontri notturni con l'alleato fraterno, il mullah Omar, gran capo dei Taliban. Ma
ovunque si trovi, mantiene ancora un canale di comunicazione con l'esterno: ieri
un'agenzia di stampa pakistana, a lui vicina, ha battuto una dichiarazione in cui il
saudita ribadisce di non essere coinvolto nello sterminio di Manhattan.
Queste reiterate professioni d'innocenza avrebbero suggerito ai generali pakistani di
inviare a Kabul una delegazione con una proposta ultimativa che suonerebbe così: Bin
Laden sia consegnato al Pakistan e una corte islamica valuterà se gli indizi di cui parla
Washington siano consistenti. Questa almeno è la supposizione di giornalisti vicini al
regime pakistano, che però non ha voluto precisare né il mandato né la composizione
della delegazione. Potrebbe farne parte il generale Ahmad, capo del servizio segreto
pakistano, l'Isi, assai influente in Afghanistan. Ahmad è rimpatriato ieri da Washington,
e potrebbe garantire ai Taliban che gli americani hanno indizi solidi. Ieri varie tv e
agenzie di stampa occidentali raccontavano che oggi a Kabul gli emissari pakistani
intimeranno ai Taliban di arrestare Bin Laden entro tre giorni. Questo forse risulta a
Washington: non a Islamabd, che ieri ha smentito. Ma anche se fosse vero, le probabilità
che l'emiro Omar scarichi il confratello saudita, e che per catturare Bin Laden i Taliban
attacchino i compagni d'arme arabi, sono praticamente zero. Non sembrano più alte le
probabilità che Bin Laden si costituisca spontaneamente al Pakistan. Dunque starà agli
americani snidarlo, e anche con l'aiuto indispensabile dei servizi segreti pakistani e
della tecnologia più sofisticata, l'impresa non si annuncia affatto facile.
Gli emissari pakistani non avranno Bin Laden ma potrebbero ugualmente tornare a Islamabad
con qualche risultato. Hanno i mezzi per farsi ascoltare. I Taliban dipendono fortemente
dall'aiuto militare e logistico del Pakistan, grazie al quale hanno conquistato quasi
tutto l'Afghanistan. Se ora il Pakistan chiude il confine, bloccando le forniture di
carburante, la fanteria Taliban è appiedata. E' una fanteria a suo modo meccanizzata, nel
senso che si sposta su una flotta di furgoni scoperti, e alla mobilità deve i suoi
successi. Ma senza benzina, cioè senza furgoni, senza tank e senza alcuni Mig tuttora in
funzione, le milizie Taliban, numericamente esigue, dovrebbero combattere alla pari con i
coriacei guerrieri tagichi, pronti a calare in massa dalle valli del nord per risalire i
settanta chilometri che li separano da Kabul, riprendersi la capitale, e vendicare con un
massacro di nemici l'assassinio del loro condottiero, Massud.
Inoltre le Forze armate pakistane hanno un discreto controllo sull'apparato militare
afgano, cui più volte avrebbero fornito quadri alti e strategie. Infine il servizio
segreto di Islamabad ha una tale consuetudine con il gruppo dirigente dei Taliban che
sembra in grado di manovrarne almeno alcuni settori, o di comprarli. Dunque i generali
pakistani, decidendo ieri di congelare i beni afgani, potrebbero aver avviato
un'escalation di pressioni per piegare Kabul.
Il problema è che per il Pakistan i Taliban, per quanto divenuti all'improvviso un
alleato ingombrante e minaccioso, restano indispensabili a mantenere l'Afghanistan
nell'orbita di Islamabad. Inoltre i mullah hanno un potere di ricatto enorme, perché
possono aizzare il fondamentalismo pakistano, e soprattutto quelle frange radicali che in
questi anni hanno combattuto al loro fianco in Afghanistan. Questo fondamentalismo finora
si è limitato a organizzare micromanifestazioni antiamericane, a beneficio delle tv
occidentali. Ma avverte che riterrebbe tradimento dell'Islam e della patria un'eventuale
collaborazione del Pakistan con gli Stati Uniti. E' fermamente convinto che il saudita sia
innocente, e applicando il nefasto cui prodest?, conclude che la carneficina di Manhattan
è opera di Israele. La sempiterna cospirazione giudea. Parrà incredibile ma l'identica
tesi ieri era proposta anche da un noto quotidiano pakistano in lingua inglese, The
Nation. Comprensibile che il presidente pakistano, il generale Musharraf, abbia convocato
i direttori dei giornali per raccomandare, verosimilmente, lucidità. Ma questo non
fermerà il tamtam del fondamentalismo che oggi rimbomba cospirazioni planetarie ben oltre
i recinti delle scuole coraniche.
Mille notabili Taliban convergono in queste ore verso Kabul per tenere una riunione
straordinaria del Gran consiglio islamico, la Sura. All'ordine del giorno, la
proclamazione della guerra santa in caso di attacco americano. Il radicalismo pakistano
potrebbe negare ai confratelli Taliban le proprie milizie? E i generali oserebbero
mitragliarle alla frontiera? Uno scenario più ottimista prevede che il movimento Taliban
si spaccherà lungo la linea di frattura "patrioti" contro
"filoarabi". Se i primi riuscissero a ribaltare un equilibrio interno che ora li
vede minoritari, si schiuderebbero nuove possibilità. Anche e soprattutto per l'unica
figura che ancora simboleggia l'identità nazionale, il vecchio re Zahir Shah, da
venticinque anni in silenzioso esilio a Roma.
Il ritorno di Zahir Shah, scriveva un giornale pakistano, ha l'assenso di Washington. In
realtà si sta parlando di una prospettiva ancora remota: però l'unica praticabile per
rimettere in piedi l'Afghanistan. Nel progetto cui da tempo lavora la diplomazia italiana,
il re non ripristinerebbe la monarchia, ma sarebbe il garante della transizione e
dell'unità nazionale. Un lavorìo segreto avrebbe guadagnato a questa posizione anche il
favore di una parte dell'apparato militare Taliban, quello professionale, che proviene dai
ranghi del regime filosovietico lasciato a Kabul dall'Armata Rossa. Se l'operazione
andasse in porto, l'Afghanistan potrebbe avviarsi ad uscire dai suoi 22 anni di guerra
ininterrotta. Con grande merito per quei diplomatici italiani che hanno creduto in questa
via d'uscita.
(la Repubblica, 16 settembre 2001)
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