testatausa.gif (33145 byte)

www.resistenzaitaliana.it  

   

    

Terza Guerra Mondiale?

Pakistan, ultimatum ai taliban
"Consegnate Bin Laden"

ISLAMABAD - Secondo fonti dell'opposizione afgana, gli arabi di Bin Laden hanno abbandonato in massa Kandahar, la capitale spirituale dei Taliban, dov'erano diventati presenze abituali e temute. Sommavano a diverse centinaia ed erano acquartierati nei pressi dell'aeroporto. Sono spariti alla spicciolata, in apparenza scortati o seguiti da molti Taliban sui furgoni gentilmente offerti nel ‘96 ai mullah afgani dall'Arabia Saudita. Ora sarebbero nascosti nelle montagne basse della zona, o forse più a nord, comunque al riparo da un eventuale attacco dell'aviazione americana. Si suppone siano acquartierati nelle caverne che i mujahiddin trasformarono in basi imprendibili durante la guerra santa contro i sovietici.
Se questo è vero, possiamo immaginare che in quegli antri la prospettiva di misurarsi sul terreno contro il Grande Satana americano ora provochi più eccitazione che sgomento: la nuova guerra santa, la Jihad contro gli Stati Uniti e i loro alleati che il Gran consiglio dei mullah afgani si appresta a proclamare solennemente da Kabul, è l'avverarsi del sogno visionario coltivato in questi anni da Bin Laden e dai suoi guerrieri.
Se Bin Laden non ha preso il volo verso le uniche nazioni che oserebbero ancora ospitarlo, l'Iraq e la diroccata Somalia, sarà il condottiero della nuova guerra santa, l'ennesima Spada dell'Islam attesa ovunque dal fondamentalismo. Avendo combattuto contro i sovietici, conosce bene l'impervio territorio afgano, i sentieri di montagna, le piste del deserto, i nascondigli. E avendo all'epoca combattuto a fianco della Cia, conosce bene anche il nemico. Potrebbe essere già con i suoi arabi scappati da Kandahar. In città non vedono da tempo il corteo di quattroruote con i vetri oscurati che saltuariamente lo portava ai suoi incontri notturni con l'alleato fraterno, il mullah Omar, gran capo dei Taliban. Ma ovunque si trovi, mantiene ancora un canale di comunicazione con l'esterno: ieri un'agenzia di stampa pakistana, a lui vicina, ha battuto una dichiarazione in cui il saudita ribadisce di non essere coinvolto nello sterminio di Manhattan.
Queste reiterate professioni d'innocenza avrebbero suggerito ai generali pakistani di inviare a Kabul una delegazione con una proposta ultimativa che suonerebbe così: Bin Laden sia consegnato al Pakistan e una corte islamica valuterà se gli indizi di cui parla Washington siano consistenti. Questa almeno è la supposizione di giornalisti vicini al regime pakistano, che però non ha voluto precisare né il mandato né la composizione della delegazione. Potrebbe farne parte il generale Ahmad, capo del servizio segreto pakistano, l'Isi, assai influente in Afghanistan. Ahmad è rimpatriato ieri da Washington, e potrebbe garantire ai Taliban che gli americani hanno indizi solidi. Ieri varie tv e agenzie di stampa occidentali raccontavano che oggi a Kabul gli emissari pakistani intimeranno ai Taliban di arrestare Bin Laden entro tre giorni. Questo forse risulta a Washington: non a Islamabd, che ieri ha smentito. Ma anche se fosse vero, le probabilità che l'emiro Omar scarichi il confratello saudita, e che per catturare Bin Laden i Taliban attacchino i compagni d'arme arabi, sono praticamente zero. Non sembrano più alte le probabilità che Bin Laden si costituisca spontaneamente al Pakistan. Dunque starà agli americani snidarlo, e anche con l'aiuto indispensabile dei servizi segreti pakistani e della tecnologia più sofisticata, l'impresa non si annuncia affatto facile.
Gli emissari pakistani non avranno Bin Laden ma potrebbero ugualmente tornare a Islamabad con qualche risultato. Hanno i mezzi per farsi ascoltare. I Taliban dipendono fortemente dall'aiuto militare e logistico del Pakistan, grazie al quale hanno conquistato quasi tutto l'Afghanistan. Se ora il Pakistan chiude il confine, bloccando le forniture di carburante, la fanteria Taliban è appiedata. E' una fanteria a suo modo meccanizzata, nel senso che si sposta su una flotta di furgoni scoperti, e alla mobilità deve i suoi successi. Ma senza benzina, cioè senza furgoni, senza tank e senza alcuni Mig tuttora in funzione, le milizie Taliban, numericamente esigue, dovrebbero combattere alla pari con i coriacei guerrieri tagichi, pronti a calare in massa dalle valli del nord per risalire i settanta chilometri che li separano da Kabul, riprendersi la capitale, e vendicare con un massacro di nemici l'assassinio del loro condottiero, Massud.
Inoltre le Forze armate pakistane hanno un discreto controllo sull'apparato militare afgano, cui più volte avrebbero fornito quadri alti e strategie. Infine il servizio segreto di Islamabad ha una tale consuetudine con il gruppo dirigente dei Taliban che sembra in grado di manovrarne almeno alcuni settori, o di comprarli. Dunque i generali pakistani, decidendo ieri di congelare i beni afgani, potrebbero aver avviato un'escalation di pressioni per piegare Kabul.
Il problema è che per il Pakistan i Taliban, per quanto divenuti all'improvviso un alleato ingombrante e minaccioso, restano indispensabili a mantenere l'Afghanistan nell'orbita di Islamabad. Inoltre i mullah hanno un potere di ricatto enorme, perché possono aizzare il fondamentalismo pakistano, e soprattutto quelle frange radicali che in questi anni hanno combattuto al loro fianco in Afghanistan. Questo fondamentalismo finora si è limitato a organizzare micromanifestazioni antiamericane, a beneficio delle tv occidentali. Ma avverte che riterrebbe tradimento dell'Islam e della patria un'eventuale collaborazione del Pakistan con gli Stati Uniti. E' fermamente convinto che il saudita sia innocente, e applicando il nefasto cui prodest?, conclude che la carneficina di Manhattan è opera di Israele. La sempiterna cospirazione giudea. Parrà incredibile ma l'identica tesi ieri era proposta anche da un noto quotidiano pakistano in lingua inglese, The Nation. Comprensibile che il presidente pakistano, il generale Musharraf, abbia convocato i direttori dei giornali per raccomandare, verosimilmente, lucidità. Ma questo non fermerà il tamtam del fondamentalismo che oggi rimbomba cospirazioni planetarie ben oltre i recinti delle scuole coraniche.
Mille notabili Taliban convergono in queste ore verso Kabul per tenere una riunione straordinaria del Gran consiglio islamico, la Sura. All'ordine del giorno, la proclamazione della guerra santa in caso di attacco americano. Il radicalismo pakistano potrebbe negare ai confratelli Taliban le proprie milizie? E i generali oserebbero mitragliarle alla frontiera? Uno scenario più ottimista prevede che il movimento Taliban si spaccherà lungo la linea di frattura "patrioti" contro "filoarabi". Se i primi riuscissero a ribaltare un equilibrio interno che ora li vede minoritari, si schiuderebbero nuove possibilità. Anche e soprattutto per l'unica figura che ancora simboleggia l'identità nazionale, il vecchio re Zahir Shah, da venticinque anni in silenzioso esilio a Roma.
Il ritorno di Zahir Shah, scriveva un giornale pakistano, ha l'assenso di Washington. In realtà si sta parlando di una prospettiva ancora remota: però l'unica praticabile per rimettere in piedi l'Afghanistan. Nel progetto cui da tempo lavora la diplomazia italiana, il re non ripristinerebbe la monarchia, ma sarebbe il garante della transizione e dell'unità nazionale. Un lavorìo segreto avrebbe guadagnato a questa posizione anche il favore di una parte dell'apparato militare Taliban, quello professionale, che proviene dai ranghi del regime filosovietico lasciato a Kabul dall'Armata Rossa. Se l'operazione andasse in porto, l'Afghanistan potrebbe avviarsi ad uscire dai suoi 22 anni di guerra ininterrotta. Con grande merito per quei diplomatici italiani che hanno creduto in questa via d'uscita.

(la Repubblica, 16 settembre 2001)

 

home         ricerca        

anpi

        

dibattito

        scrivici

 

.