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Il movimento pacifista

trangolino.gif (131 byte) Cattolici e guerra: il sondaggio di Famiglia Cristiana

LA "GUERRA" DEI CATTOLICI

Sono d’accordo con l’intervento militare, ma non ammettono l’uccisione di civili inermi. E dalla base sale un invito pressante: la cosa più urgente è rimuovere le cause autentiche del terrorismo.

I cattolici hanno qualche dubbio se infilarsi l’elmetto. Certo, sono preoccupati della piega che possono prendere gli eventi. Il 53 per cento è d’accordo sull’intervento militare, ma con posizioni sfumate tra chi è "del tutto d’accordo" e chi lo è moderatamente. Il 68 per cento non è favorevole se esso dovesse provocare vittime civili, mentre al 26 per cento questa evenienza non pare importante: sì alla guerra a qualunque costo. L’eliminazione fisica dei terroristi è approvata da 68 cattolici su cento, mentre è contro il 24 per cento. Riguardo alla partecipazione italiana, il 57 per cento è favorevole, il 37 è contro. Le risposte sono abbastanza nette, la percentuale di chi non sa o non vuole rispondere è bassa.

Ma le ragioni quali sono? Il dibattito è ampio, soprattutto dopo le parole del cardinale Ruini, che ammetteva «il ricorso alla forza delle armi», ma «da mantenersi sempre il più possibile limitato, senza rappresaglie indiscriminate». Eppure, la discussione si è attorcigliata subito attorno a una falsa polemica, che divide i cattolici tra filoamericani e terzomondisti. La scena è stata rapita all’inizio della settimana da un "manifesto cattolico" contro il terrorismo, redatto da tre giornalisti vicini alla Casa delle Libertà e a Comunione e Liberazione, nel quale ci si appellava al diritto alla legittima difesa e si dissentiva da una sorta di umanitarismo buonista, che chiama in causa i diseredati per non assumersi responsabilità.

Ma questa non è la posizione nemmeno di Cl, che nel suo mensile Tracce scrive: «Lo sgomento e il dolore non possono essere arginati né dall’indifferenza né dalla vendetta, che può solo trasformarli nel sapore amarissimo di una vittoria devastante e provvisoria. Bisogna ricercare la giustizia».

È su questo tema che insistono tutte le voce dei cattolici. Sono migliaia i messaggi che girano su Internet, che intasano le chat e i forum di discussione, decine gli articoli sui settimanali diocesani. E il filo che li tiene insieme è uno solo: nessuna rappresaglia, nessuna confusione tra "ideologia della violenza e religione musulmana" e lotta "senza frontiere al terrorismo e alle cause delle povertà", come dicono le Acli.

È la stessa posizione del cardinale Ruini, che risulta più chiara se si legge tutto il discorso: «Adoperarsi per rimuovere le motivazioni e i focolai che alimentano il terrorismo». Altrimenti, scrive Pax Christi, «aggiungiamo morte a morte, sofferenza a sofferenza, senza risolvere nulla: non lasciamoci travolgere da un’onda di odio pericolosa e distruttiva». Abbiamo bisogno di «spazi di riflessione», chiede don Elio Bromuri, direttore del settimanale cattolico La voce di Perugia, «per trovare strade di riconciliazione e fare un salto di civiltà evitando di precipitare nel caos globale».

Ezio Gosgnach, direttore della Vita Cattolica di Udine, teme «una sorta di delirio di onnipotenza» nella posizione americana: «Quella militare deve essere l’opzione estrema». E contro «il ricorso a risposte emotive» si schiera la Caritas italiana, che ricorda «il primato della giustizia e del diritto sulla rappresaglia e sulla vendetta» e la necessità per ogni uomo di «mantenere capacità critica di ogni ordine esistente».

«Troppa superficialità nel parlare di guerra», denuncia don Giulio Albanesi, direttore dell’agenzia missionaria Misna. «Pericolo mortale di lasciarsi risucchiare nella spirale della ritorsione adeguata», incalza il vescovo Diego Bona sul Corriere di Saluzzo. Un «nuovo ordine mondiale», nel quale «la democrazia sia in grado di scardinare le logiche della sopraffazione e della violenza», è invocato dall’Azione cattolica su Segno Sette: «I governanti e i generali non vogliono capire che non è con le armi che si sradicherà il terrorismo: ci sarà sempre qualche disperato o fanatico che deciderà di diventare una bomba umana».

Nella discussione interviene anche una suora di clausura, madre Canopi, badessa del monastero benedettino dell’isola di San Giulio, sul lago d’Orta: «Del male siamo tutti responsabili se, dominati dall’orgoglio e dall’egoismo, teniamo nel cuore pensieri e sentimenti non benevoli verso gli altri». A Berlusconi hanno scritto anche 164 organizzazioni non governative italiane, molte cristiane, contrarie alla guerra a causa del rischio «di colpire intere popolazioni civili»; e molti religiosi hanno chiesto «moderazione e cautela», come il saveriano Marcello Storgato.

Il maestro generale dei domenicani Carlos Costa ha detto: «Non dobbiamo restare paralizzati. Piuttosto bisogna lavorare più intensamente per una pace negoziata, più che per la vendetta, per i diritti umani e la dignità». Altrimenti, fa osservare Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, «si troverà sempre disperazione a basso costo da sfruttare per la violenza».

Alberto Bobbio

  IL SONDAGGIO

NIENTE VITTIME INNOCENTI

Giustificano una reazione militare contro i terroristi responsabili degli attentati a New York e a Washington, e ritengono che la "guerra" debba essere condotta dagli Usa nell’ambito di un’alleanza più vasta. I 400 cattolici praticanti intervistati dalla Swg per questo sondaggio di Famiglia Cristiana esprimono una posizione netta soprattutto sul possibile coinvolgimento delle popolazioni civili: il 68 per cento è contrario all’intervento armato se questo dovesse provocare vittime innocenti. E, comunque, il 57 per cento è favorevole a un impegno diretto del nostro Paese.
 


OLMI: EVITIAMO REAZIONI SCONSIDERATE

Guerra su scala mondiale, operazioni del tipo "Giustizia infinita" o "Libertà duratura"? «Mi sembrano reazioni sconsiderate, per certi versi patetiche, di un mondo, quello occidentale, che non s’accorge che il male l’ha covato nel suo seno».

Il regista Ermanno Olmi, che proprio nel suo ultimo film, Il mestiere delle armi, affronta il tema della guerra, è convinto che la vera partita contro il terrorismo non si giochi sul piano degli interventi militari, ma anzitutto su quello delle coscienze.

«Il terrorismo», spiega Olmi, «pestilenza che va certo combattuta, non è la causa dei nostri mali, ma semmai la conseguenza più violenta e purulenta di una malattia che sta dentro di noi e che nasce dall’illusione della società occidentale in decadenza di essere invincibile, eterna, e per certi nostri politici superiore alle altre. Salvo, poi, renderci conto dolorosamente che la nostra onnipotenza è una mera illusione».

«Se pensiamo di guarire accanendoci sui sintomi, non ci salveremo», continua con calore il regista. «Per un credente, il nostro male ha un altro nome: si chiama irreligiosità. E proprio il mondo islamico è lì a ricordarcelo. Pertanto, il ruolo dei cattolici, adesso più che mai, non è quello di appoggiare crociate, bensì di interpretare i segni dei tempi in modo "religioso", confrontandosi e non scontrandosi con l’Islam».

Anche Pupi Avati, regista del film I cavalieri che fecero l’impresa, ambientato ai tempi della settima crociata, ritiene insensata qualsiasi crociata, passata o futura: «La mia idea delle guerre sante e delle crociate traspare netta da un paio di scene del mio film, quando la cinepresa inquadra uno sterminato campo seminato di croci. Una fede contro un’altra fede, una civiltà contro un’altra civiltà sono soltanto dei deliri. Temo, però, che questo conflitto si trasformerà in guerra di religioni; anzi, in parte lo è già diventato, almeno dal punto di vista di chi organizza il terrorismo islamico».

Sulla vulnerabilità di fronte agli attentati terroristici, Avati aggiunge: «Penso che le azioni terroristiche, purtroppo, e ancora per lungo tempo, saranno vincenti, proprio perché l’Occidente, e soprattutto gli Usa, non sono abituati a difendersi da nemici che operano in casa loro. Ma come sono stati sconfitti dai nostri padri mostri ben più pericolosi, come per esempio quello del nazismo, anche i "Bin Laden" prima o poi soccomberanno. E noi, oggi, abbiamo il dovere di dirlo ai nostri figli».

Alberto Laggia

(3 ottobre 2001)

 

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