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Il
movimento pacifista
Le tentazioni
dei pacifisti
di LUCIO CARACCIOLO
STA per scoccare la grande ora del pacifismo. Nei primi giorni di shock e di orrore,
era un robusto mormorìo di fondo. Oggi, dopo che il mullah Omar e lo sceicco Bin Laden
hanno solennemente dichiarato la "guerra santa agli ebrei e ai crociati"- dunque
all'intero Occidente - i pacifisti si apprestano a diventare un fattore politico. Sarà
bene esserne consapevoli. Perché fra le molte asimmetrie di questo conflitto, la più
importante e la meno discussa è che noi abbiamo un'opinione pubblica e i nostri nemici
no. Per fortuna. Se questa guerra ha un senso ultimo, ebbene questo senso è di continuare
a vivere in un paese in cui le opinioni si dividono.
I terroristi sanno di non avere la minima chance di batterci militarmente.
Ma con i loro attacchi sperano di diffondere insicurezza nelle nostre società. Così
creando un ambiente ideale per spaccare l'Occidente e per minare dall'interno le nostre
democrazie. Le quali rivelerebbero la loro intrinseca debolezza di fronte all'auspicata
sollevazione delle masse musulmane.
La difficoltà di questo scontro sta per noi nell'equilibrare la più rigorosa lotta ai
signori del terrore con la difesa dei caratteri fondamentali della nostra vita associata.
Nello stato di eccezione in cui versa la nostra democrazia alcune provvisorie limitazioni
sono necessarie. Qualche grado di autocensura anche per noi giornalisti è
inevitabile e sarebbe ipocrita negarlo. Ma sarebbe fatale incrinare, per qualsiasi ragione
o con qualsiasi pretesto, il diritto di ciascuno di esprimere anche il più assoluto
dissenso nei confronti dei nostri governi. E di manifestare liberamente per la pace. Come
accade in America, nel paese che è il principale bersaglio di Bin Laden e della sua
holding del terrore.
Quali sono le ragioni del pacifismo, quali le sue forme? Ci sono almeno tre
correnti nel vasto oceano dei pacifisti italiani ma il panorama non cambia
troppo negli altri paesi europei. C'è chi la pace la invoca per principio, chi per paura,
chi per politica. Di quest'ultima anima del movimento vale discutere le ragioni. Degli
anacoreti come definire altrimenti i fondamentalisti del pacifismo? - si può avere
rispetto, ma non si dà circolazione di idee fra chi sceglie di vivere nel proprio deserto
immaginario e chi, bene o male, nuota nella società umana. Dei timorosi e in
questo momento lo siamo un po' tutti, salvo gli incoscienti si comprende il
sentimento. Di chi esprime un pacifismo politico, determinato a orientare le strategie del
paese, si devono conoscere le argomentazioni. Per aderirvi o per confutarle.
A un esame il più sereno possibile, le tesi del movimento contro la guerra, destinato a
culminare nella marcia PerugiaAssisi del 14 ottobre, appaiono piuttosto deboli. Diamo per
scontato, naturalmente, che il loro obiettivo sia identico a quello proclamato da Bush a
nome del mondo civile: difendere la (nostra) libertà e sconfiggere il (loro) terrorismo.
E sgombriamo il terreno da ogni maliziosa lettura ideologica: che molti pacifisti siano
mossi da antiamericanismo è senz'altro vero, ma non interessa ai fini della nostra
questione - se sia possibile sconfiggere i terroristi senza fare loro la guerra. La
risposta è sì in un solo caso: che l'attacco al cuore dell'America sia opera di
un'organizzazione criminale ormai moribonda. Nulla lascia purtroppo prevedere che il
massacro delle Torri Gemelle sia l'ultima raffica di Bin Laden. O meglio, potrà rivelarsi
tale solo se stroncheremo rapidamente le cellule terroristiche non importa di quale
matrice capaci di uccidere migliaia di innocenti.
E siccome è risibile concepire una trattativa con organizzazioni terroristiche tanto
fanatizzate, non resta che annientarle.
Molti, soprattutto in Europa, obiettano al termine "guerra". Questa critica
nasce da un teorema in tre parti. Primo: lo scontro con il terrorismo è affare degli
americani, i quali "se la sono cercata" e ora reagiscono da sceriffi mondiali.
Secondo: la guerra in corso è assimilabile ai grandi conflitti mondiali del Novecento.
Terzo: la guerra è la negazione della politica.
Tesi che non convincono. È stata proclamata una "guerra santa" al "regno
di Satana", che non è solo l'America, né solo l'Occidente, ma anche la Russia, la
Cina, l'India per tacere dei loro complici arabi o "falsamente
musulmani". Insomma, il mondo meno i terroristi, o quasi. Non per caso è stato
scelto a bersaglio il Centro Mondiale del Commercio, dove lavoravano migliaia di
nonamericani e diversi musulmani. Tra le vittime ci sono centinaia di giapponesi, inglesi
e altri occidentali, tra cui decine di italiani fatto di cui curiosamente poco si
parla. Sappiamo che Bin Laden programmava un attacco analogo su Genova, in occasione del
G8. E anche a non credere alle voci su possibili attentati al Vaticano o a obiettivi dei
kamikaze sul territorio nazionale, cos'altro ci vuole per capire che siamo anche noi nel
mirino della rete terroristica? Quanto ai paradossi della geopolitica americana -
Washington si trova a combattere i suoi ex amici (Bin Laden e i taliban, già celebrati da
Reagan come «guerrieri della libertà") con i suoi ex nemici (Russia anzitutto, ma
anche Cina) - non basterebbe un'enciclopedia per contenerli. Ma perché perseverare
nell'errore? Suicidarsi per dimostrare di aver avuto ragione sarebbe bizzarro.
Quanto al secondo punto, è stato ripetuto fino alla nausea che questa è una guerra molto
particolare. L'aggressione agli Usa è stata scatenata in modo non convenzionale, dunque
la risposta della coalizione è inedita. Si compone di misure politicodiplomatiche,
economicofinanziarie, di polizia e di intelligence. La replica militare è largamente
affidata a covert operations di cui per definizione non sapremo nulla. Se però gli
americani dovessero farsi tentare dallo spirito di vendetta, cominciando a sparare missili
all'impazzata in giro per l'Oriente islamico, i rischi sarebbero enormi. E la coalizione
si spezzerebbe all'istante, lasciando gli Usa dov'erano prima dell'attacco: piuttosto
soli, dunque vulnerabili.
È compito degli alleati, a cominciare da noi italiani ed europei, richiamare gli Stati
Uniti al principio di utilità, se mai perdessero il controllo dei nervi. La
reazione deve battere il terrorismo di sterminio, non moltiplicarlo né eccitare
"guerre sante". Dunque lo scopo prioritario della campagna è di
rovesciare il regime dei taliban, uccidere o catturare Bin Laden e impedire ulteriori
devastanti attentati da parte di alQa'ida e affini.
Questo ci conduce al punto finale. La guerra è l'estrema risorsa della politica. Oppure
è follia. È un mezzo, non un fine. Dev'essere ben chiaro ed esplicito qual è
l'obiettivo della mobilitazione mondiale. La guerra si fa per difendersi e per
restaurare la pace. In un ambiente geopolitico possibilmente più stabile.
Quanto meno americana e più globale sarà questa guerra, tanto più utile sarà,
per gli americani e per il resto del mondo. Altrimenti i pacifisti avranno avuto ragione,
malgrado se stessi. Ma i vincitori non permetteranno loro di celebrare.
(la Repubblica, 26 settembre 2001)
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