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Il
movimento pacifista
La marcia dei duecentomila
PerugiaAssisi, dieci chilometri in fila per la pace

Galleria fotografica della marcia
(repubblica.it)
Diario di
un pacifista: Quei ventitré chilometri tra Perugia e Assisi
San Francesco ha fatto «un altro miracolo», se la ridono i frati del
convento mentre sulla Rocca ormai il sole sta scendendo. Che giornata. Chi temeva una
Genova bis è stato smentito. Un fiume incontenibile, pacifico, allegro e colorato, erano
in duecentomila, mai vista tanta gente in 40 anni di marcia. Alle quattro del pomeriggio,
quando gli scout alla testa del corteo raggiungono Assisi, la coda è dieci chilometri
più giù, ancora a Collestrada. Niente incidenti, i politici e i noglobal non si sono
fisicamente intercettati. La grande tensione della vigilia, a conti fatti, si è dissolta
in qualche bordata di fischi degli ultra pacifisti a D'Alema, che imperturbabile alla
guida dello stato maggiore ds si è fatto buona parte della marcia, raccogliendo anche
tanti applausi. Qualche piccola contestazione anche per Rutelli e gli uomini della
Margherita, che come previsto non sfilano sotto le insegne del proprio partito ma
«sciolti» nel movimento.
I «ceffoni umanitari» promessi dal Social Forum son rimasti del tutto metaforici, «ma
solo perché quelli dell'Ulivo sono stati bene attenti a non venirci a tiro», insiste il
napoletano Francesco Caruso. Nessuna traccia neanche dei promessi «gavettoni» con
«acqua benedetta» da don Vitaliano, il prete avellinese dei contestatori, peraltro
assente (per il no del suo vescovo), così come don Gallo, l'altro prete noglobal.
Ma di polemiche dentro e fuori l'Ulivo, di spaccature sopra e sotto i noglobal, in realtà
ai duecentomila di Assisi non importava granché. Cattolici, comunisti, pensionati,
studenti, contadini, donne, islamici, bambini e ambientalisti ieri sono arrivati qui a
Perugia da ogni parte d'Italia in nome di sé stessi e di un mondo di pace. Una festa di
popolo. Alle otto del mattino al Frontone, nel centro storico di Perugia, c'è già il
tutto esaurito. Dall'alba il popolo della pace è in piedi. Colonne di autobus sono in
coda, bloccati alle porte della città. La presenza della polizia è discretissima. Cibo,
acqua e lavoro per tutti, recita lo striscione della Tavola della pace. Più in là, altri
giovani sventolano il vessillo dell'Ulivo, ma è solo una presenza simbolica. Perché i
politici non prendono la testa della manifestazione. Rutelli, in polo e jeans, con
Castagnetti, Franceschini, la Bindi, Bordon con la figlioletta sulle spalle arriva un po'
più tardi, si piazza fra le migliaia di scout presenti. Bertinotti, con i parlamentari
del Prc, è a metà corteo. Agnoletto e Casarini verso il fondo, dietro lo striscione
Noglobal. Il movimento di Genova però si è diviso, i Cobas per esempio rifiutano di
sfilare, aspettano la marcia a Santa Maria degli Angeli. Alle nove e un quarto la più
grande manifestazione pacifista degli ultimi anni muove i primi passi.
Partono i primi fischi del Prc per Rutelli. «Mi contestano? Del tutto legittimo, c'è
libertà di opinione. Ma il coraggio vero è quello di schierarsi contro il terrorismo».
Il leader dell'Ulivo poi va incontro a Walter Veltroni, sindaco ed ex sindaco di Roma
fanno sotto braccio un pezzo di strada. Commentano, comunque con soddisfazione, la scelta
di stare in piazza, a costo di una polemica durissima con altri pezzi dell'Ulivo. Assenti
invece il democratico Parisi e il socialista Boselli. Di tutto questo si discuterà
probabilmente in una riunione del coordinamento, forse già martedì.
Si vede anche qualche bandiera americana. Una la porta il presidente dell'Arci. Una
sventola da una finestra. Un'altra, cucita alla bandiera islamica e a quella europea, la
portano i verdi Francescato e Pecoraro Scanio, che rivendicano il dissenso rispetto alla
mozione parlamentare dell'Ulivo. Lo fa anche il segretario dei comunisti, «così si è
facilitato il dialogo con tutti», spiega Oliviero Diliberto.
Alle dieci, il primo passaggio delicato. A Ponte San Giovanni si è dato appuntamento un
pezzo di Social forum, che si immette nel corteo. Ma non rintracciano il leader
dell'Ulivo, il bersaglio resta il solo D'Alema che continua a sfilare. E' il momento dei
fischi, ma dura poco. Poi, arriva l'altro momento a rischio. I Cobas, che hanno deciso di
non mescolarsi al corteo, sono radunati a Santa Maria degli Angeli. I blindati della
polizia presidiano, ma a debita distanza. Tutto fila liscio, perché non ci sono gli
uomini politici che gli antiglobalizzatori aspettavano. Vittorio Agnoletto,
dall'altoparlante montato sull'utilitaria, avvisa i parlamentari del centrosinistra:
«Stasera, quando tornate a casa riflettete. E poi tornate alla Camera per revocare il sì
alla guerra». I radicali sono al cimitero di guerra britannico, li vicino, per
distinguersi dai pacifisti in marcia, si schierano con Blair. Le ultime salite, Assisi è
in vista. Flavio Lotti, il leader della Tavola della pace, può chiudere con un sospiro di
sollievo e un gigantesco grazie, «a tutto il popolo della pace della marcia, poliziotti
compresi».
(Umberto Rosso, 15 ottobre 2001, repubblica.it)
"Coraggio, il meglio è
passato"
le tante facce del popolo pacifista
Applausi, fischi, slogan, canzoni, i maccheroni
preparati dai volontari della protezione civile
Se davvero un altro mondo è possibile, come qui dicono tutti, non sarebbe male che
somigliasse a questo. Questo mondo grande quanto una città in marcia, duecentomila, forse
di più, in discesa tra i colli di un quadro del Perugino, il sole, gli applausi, i
fischi, i vecchi con la maglia del Che e i giovani con quella di gatto Silvestro, le donne
incinta e i ragazzi in carrozzella, le borracce che passano di mano, le suore, le
"canne", le canzoni di Battisti e Bella Ciao, «Cristo cammina con te» e avanti
a chi manca, c'è posto per tutti.
Posto per i nuovi entusiasmi e vecchi rancori, la marcia solitaria e in un certo senso
eroica di D'Alema basterebbe da sola a spiegare: «Sì, Linda, sono più avanti, non ti
puoi sbagliare: sono dove tutti gridano buffone», risponde alla moglie al telefonino, e
infatti Linda arriva con i figli. Il piccolo, Francesco, è vestito da boy scout. C'è
posto per D'Alema in maniche di camicia che resta a prendersi gli insulti («Ti do tempo
fino a martedì per cambiare idea», gli grida uno. «Bravo, così sì fa. Fino a
martedì», risponde lui), per Rutelli che alla prima curva si allontana. Per Bertinotti
che si fa tutto il corteo in trionfo al braccio della moglie e per Veltroni avvistato in
uscita all'altezza di un caffè. Per i pacifisti pugliesi che ballano la pizzicata, quelli
di Acerra che portano lo slogan più bello, «Appaciammece», e per il vecchio del paese
che gli cammina dietro, Augusto Cenci, 92 anni, si aggiusta l'apparecchio acustico
all'orecchio e borbotta «pace, pace. Ma qualcuno lo dice che quelli che ammazzano devono
essere ammazzati?». No, effettivamente. Proprio così non lo dice nessuno ma qualcuno
articola il concetto. Castagnetti Franceschini e Rosi Bindi, per esempio, i popolari della
Margherita che quando è proprio necessario «si deve anche imbracciare il fucile. Anche i
partigiani bianchi erano armati», per dire. Staino il vignettista con una mazzetta di
giornali così sotto il braccio, «dolorosamente per la guerra». Fassino che ha votato
sì alla Camera, e qui si prende un palloncino pieno d'acqua in faccia, unico corpo
contundente visto volare fra i duecentomila.
Però la maggioranza no, a essere onesti. La maggioranza mangia pane e pseudonutella
fornita dal commercio equo e solidale, sfila sotto la fonte «dove nel 1282 si fermò a
dissetarsi San Francesco d'Assisi», porta adesivi che dicono «no global war» e grida
cose come: «Vogliamo uno scambio a pari condizioni/dateci Bin Laden e vi diamo
Berlusconi». Donne sandwich portano cartelli con frasi di Anna Maria Ortese, francamente
mai viste in corteo: «La ragione dovrebbe illuminare continuamente tutto...». I giovani
imprenditori agricoli di Reggio Calabria socializzano con un giovane in maglia rossa, «Io
NON HO votato Berlusconi».
I curdi vendono le bandierine con la faccia di Ocalan, gli scout che li superano non hanno
la minima idea di che si tratti: «Fichissimo, hai visto? Ce la compriamo una bandiera con
Saddam?». Sotto il ponte San Giovanni una suora dirige il coro dell'istituto Sacro cuore
di Bitonto. «Cristo cammina con te, canta e cammina con la pace nel cuore», cantano una
ventina di bambini di otto anni. Diliberto il comunista passa e un po' si commuove, toglie
gli occhiali, li guarda meglio, anche Marisa Laurito in total orange accanto a lui,
arancioni anche le scarpe da ginnastica, all'idea che Cristo le cammini vicino si
concentra sul coro, «carini i piccoli». Cofferati sfila con la faccia di Cofferati,
imperturbabile, Agnoletto con il telefonino incorporato all'orecchio. Luca Casarini, che
ieri sera era in un "tete a tete" privato in pizzeria, anche i più duri dei no
global hanno un cuore, adesso è qui a dire che «gli schiaffoni da dare al centrosinistra
che ha votato la guerra sono solo metaforici, abbiamo due manone di gommapiuma, eccole».
Almeno 15 mila del Genoa Social Forum, calcola, e almeno un genovese riconoscibile: il
padre di Carlo Giuliani, morto a Genova, qui a parlare di pace in nome del figlio.
Visto dall'alto, dall'elicottero, il corteo è un fiume di colori che non è ancora uscito
da Perugia quando ha già raggiunto Assisi. Ventidue chilometri. Per avere un'idea: a
fermarsi in un punto e vederli sfilare tutti ci vogliono due ore e quarantacinque minuti.
Tre ore meno un quarto di serpente ininterrotto, Emergency di Gino Strada, le ragazze
palestinesi con il velo bianco, gli studenti con le filastrocche «sopra la bonba la gente
campa/sotto la bomba la gente crepa», i ragazzini del liceo che quando sono stanchi e non
gli viene in mente più niente cantano «Dolce Remì», cartone animato anni Novanta,
l'altro ieri, quando erano bambini. Di bambini veri moltissimi. Su un carretto di mamme
organizzate che ne sono nove, «attento Matteo che caschi». Padri cinquantenni in
monopattino, di quelli che hanno fatto i figli a quaranta perché prima il pubblico poi il
privato. Majorettes, sindaci, un tipo che porta un quadro a olio di Gesù Cristo, un
vecchio in bianco con barba apocalittica e un cartello che dice «Usa e Israele i veri
terroristi». D'Alema: «Lo vede quello, Nosferatu? Ecco, quello mi segue dall'inizio».
Un paio di bandiere Usa, le portano i verdi insieme a quelle dell'Islam.
Gianni Minà insieme a Frey Betto, teorico della teologia della liberazione. All'arrivo a
Santa Maria degli Angeli, sotto Assisi, sono il doppio di quanti erano alla partenza.
Moltissimi sono entrati in corteo lungo il percorso. Stremati, mangiano i maccheroni
preparati dai volontari della protezione civile, cinquemila compresa l'ombra del tendone.
Bevono similcoca Freeway, coca no logo. Gli scout continuano a cantare «ari ari ari e»,
hanno obiettivamente una resistenza soprannaturale. Tutti si sono già persi troppe volte
per continuare a cercarsi, e poi i telefonini non prendono la linea: «Rete occupata».
Ogni tanto una madre da casa rompe il muro dell'etere, «pronto, stai bene? Nessun
incidente? Meno male. Sai che ci sono anche i tuoi fratelli. Ma sì, siete tutti e quattro
lì», roba che neanche dai nonni al pranzo di Natale. I politici sono spariti,
all'arrivo. Tutti compreso il sindaco del Polo di Assisi, che non ha ritenuto di
accogliere questo popolo in marcia. Peccato, il Santo avrebbe avuto da ridire. E poi,
comunque, era uno spettacolo. Vederli arrivare sulla piazza davanti alla Basilica,
sorridersi senza neanche più riconoscersi e buttarsi a terra sotto l'ultimo cartello:
«Coraggio, il meglio è passato».
(Concita De Gregorio, 15 ottobre 2001, repubblica.it)
I no global: "I ceffoni?
Provocazione riuscita"
Orgogliosi e diversi. Così si sentono i no global mentre si uniscono ai
pacifisti della Perugia-Assisi, la maratone della Pace. "Mi sono emozionato quando
siamo arrivati a Ponte S.Giovanni tra gli applausi della gente - dice Francesco Caruso,
portavore dei no-global -. E' significativa questa differenza: noi immersi nel corteo
della pace e i signori che hanno votato a favore della guerra costretti ad isolarsi da
questo stesso popolo della pace. Ho sempre visto questo appuntamento con distacco e non fa
parte del mio background politico - ha aggiunto Caruso - ma venendo qui ho scoperto che ci
sono nei
boy-scout, nei gruppi cattolici ma anche nei militanti di sinistra di cui tanto
critichiamo i dirigenti, persone che dicono basta alla guerra senza se e senza ma".
Francesco Caruso torna anche sulla polemica innescata dai "ceffoni metaforici"
promessi dai no global ai leader del centro sinistra. I "ceffoni" e le
"tirate di orecchie", spiega, erano solo una provocazione "ed è riuscita
perché sono stati contestati non da noi ma dal popolo della pace. In una festa così
colorata non abbiamo avuto tempo di pensare a loro".
Diverso il punto di vista di Vittorio Agnoletto, leader del Genoa social forum, che non
risparmia critiche al centro-sinistra e ai suoi leader manda un chiaro messaggio.
"Fermatevi - dice Agnoletto - avete perso la bussola. Attenzione, il vostro popolo
non vi segue più e va da un'altra parte. Chiudetevi in casa e riflettete, chiedete la
riconvocazione del Parlamento e votate contro la guerra".
Il leader del Genoa social forum aggiunge anche di non essere stato affatto
"emarginato" dal movimento, come dichiarato da un'emittente, e fa presente che
"il popolo che è sceso in piazza oggi è lo stesso che a luglio manifestava a
Genova. "La differenza - osserva - è che oggi in piazza c'era solo il movimento, non
c'erano i Black Blok e le forze di polizia. E' un movimento serio, che ha una sua
dignità. Oggi ha dimostrato in pieno la sua anima pacifica e tollerante".
Il leader dei no global è a Santa Maria degli Angeli, dove c'è la "piazza
tematica", cui prendono parte il Genoa Social Forum, i Cobas e i militanti del Campo
Antimperialista di Assisi. Su tutta la piazza spiccano alcuni striscioni "contro la
guerra globale di Bush e Bin Laden" e "Intifada contro la guerra".
(14 ottobre 2001, repubblica.it)
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