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La questione mediorientale
Peres
accusa i militari: "Vogliono uccidere Arafat"
Le Forze Armate israeliane vogliono uccidere Yasser Arafat. L'accusa non
è nuova: fonti palestinesi lo sostengono da quando Ariel Sharon è diventato primo
ministro. Ma adesso a pronunciarla non è un palestinese, bensì un illustre israeliano:
Shimon Peres. In un'intervista al quotidiano Yedioth Ahronoth, il ministro degli Esteri
confida che il generale Moshe "Bughy" Yaalon, vicecapo di Stato Maggiore, vuole
«eliminare fisicamente» il capo dell'Olp. Commenta Peres: «Ammettiamo pure che lo
eliminino. Cosa accadrà dopo? Al suo posto andranno al potere Hamas, la Jihad islamica,
gli Hezbollah. Arafat accetta l'esistenza dello Stato di Israele, vuole negoziare con noi,
vuole essere un interlocutore dell'Occidente. Invece quegli altri vogliono creare un unico
Stato dall'Iraq al Mediterraneo».
La clamorosa rivelazione chiama in causa uno dei "falchi" più noti del
ministero della Difesa, il generale Yaalon. Ma in realtà Peres mette sotto accusa
l'intero Stato maggiore. Da mesi i militari si oppongono a "sdoganare" Arafat,
lo bollano come «un terrorista», sostengono che è tempo perso provare a fare la pace
con lui. Ora Peres ha deciso di andare al contrattacco, e non solo contro lo Stato
maggiore. Negli ultimi tempi il 78enne premio Nobel per la pace è infatti criticato come
non succedeva da anni. Un gruppo clandestino ebraico di estrema destra, il movimento Kach,
ha addirittura invitato apertamente ad «assassinarlo». I ministri del Likud lo
descrivono come un «malato di pacifismo» incapace di difendere la patria. A uno di
questi, il ministro degli Interni Uzi Landau, Peres ha così replicato durante l'ultimo
consiglio dei ministri: «La stampa straniera scrive che Israele ha una centrale nucleare.
Non mi risulta che sia stato il ministro Landau a costruirla», un'allusione al potenziale
atomico dello Stato ebraico, un «segreto di Stato» di cui Peres è notoriamente
l'architetto.
Per ora non ci sono reazioni da parte dello Stato Maggiore. Ce ne sono da Arafat, che ha
detto: «I generali israeliani vogliono assassinarmi? Fosse solo questo, c'è molto di
più». Quindi ha accusato Israele di aver provocato deliberatamente l'escalation degli
ultimi giorni, per far fallire la tregua. Scontri e sangue non sono mancati neanche ieri.
Il bilancio della giornata: tre morti e trenta feriti, tutti palestinesi. Due delle
vittime erano operai che andavano al lavoro su un taxi che non si è fermato subito a un
posto di blocco: e i soldati hanno aperto il fuoco. Il terzo era un agente dei servizi di
sicurezza che vigilava per impedire incidenti. Dal 26 settembre, giorno del vertice
PeresArafat, tra i palestinesi ci sono stati venti morti e duecento feriti.
«Ciononostante, non mi oppongo a continuare i contatti», afferma Arafat. Ieri due suoi
consiglieri, Saeb Erekat e Abu Ala, hanno incontrato Peres. Ma Sharon ha dato un altro
ultimatum: se entro «48 ore» Arafat non ferma i disordini e non arresta terroristi,
Israele ricomincerà le «operazioni offensive».
(1 ottobre 2001, dal sito di repubblica.it)
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