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Le indagini 

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Jeff, il terrorista
che svelò all'Fbi
il piano kamikaze

Da un anno i federali sapevano

dai nostri inviati CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO

NEW YORK - Saranno anche settemila gli agenti dell'Fbi che lavorano al martedì di sangue. E li si può pensare indiavolati e furibondi. Ma la domanda la si può fare lo stesso: è sufficiente soltanto la quantità degli uomini in campo e la loro determinazione per spiegare i rapidi progressi dell'indagine? In poche ore soltanto, i Feds, i federali, sono riusciti a dare un nome non solo ai kamikaze che sono saliti a bordo dell'American Airlines 11, United Airlines 175, American Airlines 77, United Airlines 93, ma anche agli uomini che hanno appoggiato da terra la loro azione, più o meno cinquanta.

HANNO individuato i luoghi che hanno frequentato, i passaporti che hanno usato. Addirittura la marca di vodka che hanno bevuto tra il 10 e l'11 settembre in un strip bar della Florida. La verità che si fa strada in queste ore a New York, e che nessuno ha ancora voglia di dire ad alta voce, è amara come un veleno: l'Fbi avrebbe potuto sapere se solo avesse creduto a quel che già sapeva. Per dirla meglio: il Bureau aveva in mano tutti gli elementi per sapere e quindi prevenire l'attacco dell'11 settembre alle Torri gemelle e al Pentagono. Non si trattava di indizi sparsi che dovevano essere raccolti e ordinati in un puzzle intelligibile. Era un quadro nitido della "strategia di attacco agli interessi americani sullo stesso suolo americano", per dirla con le parole di Osama bin Laden. Era il racconto che ai federali e ai procuratori aveva fatto un uomo nel chiuso di un'aula del Federal District Court di Manhattan. Da lì le Twin Towers, cinque blocchi più a sud oltre la Broadway e Church street, sembravano ancora due torri di luce fredda. È un uomo che oggi è custodito da qualche parte negli Stati Uniti, con una faccia nuova e un nuovo nome. È il solo, probabilmente, che la mattina dell'11 settembre non è restato a bocca aperta quando ha visto nel cielo di Manhattan i Boeing colpire e uccidere il World Trade Center. È un uomo che, senza tante storie, avrebbe potuto dire a se stesso senza agitazione: "Allora ce l'hanno fatta, ci sono riusciti..." . Lo avrebbe potuto dire, e si può immaginare che lo abbia detto davvero (mettetevi nei suoi panni, chi non l'avrebbe fatto?), per l'elementare motivo che egli sapeva che quel progetto era in preparazione, e lo sapeva perché egli stesso lo aveva curato e organizzato. Questa dunque è la storia dell'uomo con la faccia nuova e il nuovo nome e di quel che ha detto al Fbi. È la storia di un maggiore dell'esercito egiziano cacciato via perché ritenuto integralista, diventato Berretto Verde e sergente delle Forze Speciali e "capo militare" negli Stati Uniti del silenzioso "esercito" di Osama bin Laden. È la storia di un soldato che ha tradito l'esercito egiziano per gli Stati Uniti e gli Stati Uniti per bin Laden e Omar bin Laden per salvarsi la vita. Troppo tradimenti per un uomo solo. Quando raccontò che cosa bolliva nella "pentola del diavolo" Mary Jo White, il procuratore distrettuale di Manhattan, non gli credette o, se gli credette Mary Jo, non gli credette l'Fbi (e ormai chi non gli credette importa poco). L'uomo si chiama Ali Abu-al-Saud Mustafà; il Federal bureau investigation lo chiama CS (confidential source), per Omar bin Laden è stato sempre e soltanto Jeff, e così lo chiameremo. Quarantanove anni, due lauree e un master all'università di Alessandria d'Egitto, dove è nato, diploma all'Accademia militare del Cairo, Jeff, maggiore dell'esercito egiziano, aveva una buona reputazione di soldato e un difetto. Il difetto era politico e religioso. L'esercito di Mubarak, i fondamentalisti, li guarda storto e se non cambiano strada li caccia via. Jeff fu cacciato via. Coltivò il suo rancore in silenzio fino a offrirsi nel 1984 alla Cia. I "cercatori di talenti" di Langley lo rigirarono per bene e decisero di mandarlo per la sua strada. "Fa il doppio gioco". L'anno dopo Jeff è negli Stati Uniti. Sposa un'americana, è un cittadino americano a tutti gli effetti. Di più, è un soldato degli Stati Uniti, sergente nei Berretti Verdi delle Special Forces a Fort Bragg, Nord Carolina. Non dura molto. Quattro anni dopo, Jeff si arruola in un altro esercito, nell'esercito dello sceicco Osama bin Laden. Ora conviene dare la parola a Jeff. Soltanto 346 giorni fa: 20 ottobre 2000. Jeff ha davanti il prosecutor Patrick J. Fitzgerald. Jeff prende a raccontare: "Incontravo abitualmente Osama bin Laden. Sapevo quel che nessuno sapeva: dietro la sigla della sua Al Queda si nascondevano in realtà la Jihad islamica e gli Hezbollah iraniani. Ne ebbi la certezza all'inizio del 1993. In Sudan. Quando Osama lanciò la sua guerra santa contro gli Stati Uniti. Preparai la riunione personalmente nella massima segretezza e vi presi parte in prima persona. Intorno a un tavolo sedevano Osama, il capo degli Hezbollah Mughaniyah, i rapppresentanti della Jihad. Osama fu chiaro e espliciti furono tutti gli altri che erano con lui. Gli hezbollah avrebbero messo a disposizione i campi di addestramento paramilitari e gli esplosivi. La Jihad e l'Iran, le armi. Lo sceicco e la sua rete di finanziatori, i soldi. Da quel momento in poi gli Stati Uniti e i loro interessi e i loro cittadini sarebbero stati colpiti non soltanto all'estero, ma anche sul proprio suolo nazionale. Questo era l'obiettivo di Osama e questo era l'obiettivo di chi, quel giorno, era con lui. Lo sceicco disse: "Non dimenticate Beirut 1983. Non dimenticate che quei centinaia di marines morti ammazzati hanno costretto il Satana americano, per la prima volta, a ritirarsi precipitosamente dal Medio Oriente. Quello deve essere il nostro modello"" . Jeff torna negli Stati Uniti e si mette al lavoro. "Attivai due cellule negli Stati Uniti. La prima a Santa Clara in California, l'altra nel New Jersey lungo il fiume Hudson di fronte a New York. Reclutavo informatori che avevano lavorato nell'esercito americano e addestravo ufficiali fuorusciti dell'esercito egiziano. Il problema era farli arrivare negli Stati Uniti. Nel giugno del 1993 partii dal Pakistan per raggiungere Vancouver. Avevo un passaporto falso. A Vancouver mi incontrai con il nostro "contatto" canadese per ottenere indicazioni sui punti della frontiera attraverso cui far passare i nostri uomini. Fu solo il primo incontro. Continuai a viaggiare in Canada fino al 1997 con lo stesso obiettivo. Per le nostre attività negli Stati Uniti usavamo nomi di copertura. Io - lo sapete - mi chiamavo Jeff, ma c'erano anche i luogotenenti di Osama: Norman (El Hage) e Nawawi (Ihab Ali). Inizialmente ci preoccupammo dei fondi che ci furono poi assicurati in gran quantità dalla Jihad islamica egiziana". L'Fbi ci mette un po' per interessarsi all'attività di Jeff e, dopo l'attentato del 1993 alle Torri gemelle, i federali pensano di "utilizzarlo" per prevedere le mosse dello sceicco. Racconta Jeff: "Alla fine del 1994 ricevetti una telefonata da un agente del Fbi. Voleva informazioni su che cosa aveva in testa Osama negli Stati Uniti. Riuscii a ingannarlo. Gli raccontati una montagna di frottole e per di più riuscii addirittura ad ottenere una lista degli uomini della rete di Osama che erano stati identificati. La spedii allo sceicco. Quegli uomini furono ritirati e sostituiti con altri. Osama era ormai concentrato sul reclutamento di piloti. E me ne mandò molti. Egiziani che avevano frequentato scuole di volo. Chiedete a Essam al Ridi" . Egiziano, nato al Cairo nel 1958, anche Essam al Ridi "canta" la sua storia al Fbi e al procuratore Fitzgerald una volta arrestato. "Sono un pilota, istruttore di volo. Mi sono diplomato alla Ed Bordman School Aviation del Texas. Ho vissuto in Kuwait, in Pakistan, in Egitto. Ho conosciuto Osama e ho lavorato per lui. Mi diceva sempre che i piloti andavano pagati bene perché sono preziosi. Io ero tra i più pagati. Nel 1993 Osama mi disse che intendeva reclutare piloti in Egitto e si rivolse a me. All'epoca lavoravo per Egyptian Air. Non chiesi e non mi spiegò perché era così interessato ad avere piloti alle sue dipendenze, ma era da quando lo conoscevo che non faceva altro che parlare di piloti e aerei. Ne aveva comprato addirittura uno, un Saber 40, per 210 mila dollari nel Texas. Fu io a trasferire l'aereo a Karthoum. Servì ad addestrare piloti ingaggiati nelle linee aeree sudanesi" . Il piano di addestramento dei piloti, troppo lento in Africa, continua più velocemente in America. Si legge nel "memo" delle lunghe deposizioni di Jeff al procuratore Mary Jo White: "L'addestramento degli uomini infiltrati negli Stati Uniti attraverso il Canada prevedeva training al conflitto individuale nei campi paramilitari in Afghanistan, intelligence e tecniche di volo negli Stati Uniti. Come accade per Iab Ali, detto Nawawi, braccio destro di Osama. Viveva ad Orlando, Florida. Fu addestrato fino al diploma nella scuola di volo di Norman, Oklahoma". È abbastanza per sostenere, come qualcuno a Washington rimprovera al Fbi, che i federali avevano in mano tutti i fili del nodo che si è stretto a Manhattan l'11 settembre? L'obiettivo di colpire gli Stati Uniti negli Stati Uniti. Di farlo con aerei kamikaze guidati da piloti entrati clandestinamente attraverso il Canada e addestrati nelle scuole di volo della Florida, del Texas, dell'Oklahoma? Dei diciannove attentatori dell'11 settembre, Mohamed Atta, egiziano, ha seguito corsi di volo presso lo Huffman aviation di Venice (Florida). Waleed M. Alshehrim si è laureato alla Embry Riddle Aeronautical University di Daytona Beach (Florida) con licenza di pilota di voli commerciali. Marwan Al-Shehhi ha frequentato i corsi della Huffman Aviation di Venice. Hani Hanjour ha ottenuto negli Stati Uniti una licenza per pilota commerciale nel 1989. Un fatto certo è che quel che Jeff aveva organizzato per conto di Osama Bin Laden è accaduto. E nessuno può meravigliarsi allora se i media americani sbertucciano il direttore dell'Fbi Robert Muller (incolpevole perché direttore da poco più di un mese) quando dice: "La tragedia che abbiamo sotto gli occhi e che ha sconvolto il Paese tocca particolarmente il sottoscritto. È un fatto che diversi degli individui che abbiamo identificato si fossero addestrati nelle nostre scuole di volo. Se solo ce ne fossimo accorti per tempo, forse avremmo potuto evitare questa immane tragedia". Forse.

(la repubblica, 16 settembre 2001)


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