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Biografia

pallanimred.gif (323 byte) Lauro De Bosis

Nacque a Roma nel dicembre del 1901, ultimo di sette figli, da Adolfo e da Lilian Vernon. Il padre diresse la rivista Il Convito, che uscí in 2 fascicoli dal gennaio 1895 al dicembre 1907 e nella quale il Carducci pubblicò la Canzone di Legnano e Pascoli alcuni dei suoi migliori Poemi Conviviali. Nella casa paterna, trovò un ambiente capace di contribuire in maniera efficace e robusta alla impostazione della sua vasta cultura e adatto a sviluppare in lui quella naturale disposizione alla poesia ed alla critica letteraria cui la laurea in chimica, ottenuta alla università di Roma nel 1922, non pose ostacolo ma indusse un rigore metodologico raro in quei tempi nella repubblica delle lettere.

Antifascista fin dalla marcia su Roma, nel 1924 fu invitato negli Stati Uniti a tenere conferenze di carattere storico, letterario e filosofico dalla società Italia-America di New York. Qui continuò a confermare la sua indignazione per i metodi della dittatura fascista in patria e per la impudica propaganda che gli agenti di Mussolini facevano per il dittatore.

Nel 1926 insegnò ad Harvard, la più antica e fra le più prestigiose università americane, lingua e letteratura italiana. In quegli anni pubblicò in forma abbreviata la traduzione della già celebre opera di J. G. Frazer, il Ramo d'Oro e le traduzioni de La vita privata di Elena di Troia di J. Erskine e di Il Ponte di San Luis Rey di T. Wilder. A traduzioni di opere anglosassoni alternava, con altrettanta perizia, quelle dei classici. Del 1927 è la traduzione dell'Antigone di Sofocle.

Sempre nel 1927 De Bosis compone Icaro, la sola opera poetica che rimanga di lui. Icaro ottenne il premio olimpico di poesia ad Amsterdam nel 1928 e fu tradotto in inglese da Ruth Draper, la sua fidanzata, donna generosa ed illuminata.

Nell'estate del 1928, tornato in Italia per le vacanze, iniziò il lavoro di propaganda clandestina con un'associazione denominata Alleanza Nazionale. Preparò fra il giugno e l'ottobre otto foglietti, li ciclostilò in seicento copie e li impostò lui stesso, viaggiando da una città all'altra con gravissimo rischio personale. Questi foglietti si rivolgevano al re ricordandogli il suo dovere di tenere fede al giuramento di re costituzionale.

Gli Italiani dovevano guardarsi - era questo il piano tattico della Alleanza Nazionale - dall'aderire a movimenti antimonarchici e anticlericali. Mussolini, infatti, sarebbe stato ben felice di poter dimostrare al Quirinale e al Vaticano che la sola alternativa al fascismo era la rivoluzione contro la monarchia e contro la chiesa.

Prima di partire per gli Stati Uniti, dove intendeva dimettersi da segretario della Italia-America, per poter rimanere in patria a combattere, i suoi collaboratori Vinciguerra, Di Cesarò, Ferloiso, Zanotti, Bianco si misero d'accordo per continuare l'opera intrapresa durante la sua breve assenza. Quando il piroscafo che lo riportava dagli Stati Uniti era prossimo all'Inghilterra, De Bosis ricevette da un amico la notizia che sua madre, tre suoi famigliari, Vinciguerra e un nuovo collaboratore, Rendi, erano stati arrestati. Vinse a fatica il primo impulso di continuare il viaggio e di andare a Roma a farsi arrestare.

De Bosis comunque non si arrese. Non cedette allo sconforto del processo ai famigliari e agli amici, non depose le armi di fronte alla campagna di stampa tesa a diffamare la sua azione politica. Viveva a Parigi, tenendosi in contatto con Gaetano Salvemini, Luigi Sturzo a Londra e con Francesco Luigi Ferrati a Bruxelles. Lavorava come portiere in un albergo. Intanto tradusse in Inglese " The Alleanza Nazionale ": documents of the Second Italian Risorgimento (Paris, Imprimerie Vendóne, 338, Rue Saint-Honoré; MXCXXXI) e preparò il Golden Book of Italian Poetry (che doveva essere pubblicato postumo nel 1932, un anno dopo la sua morte).

Il 1931 lo vede alla ricerca di fondi per poter imparare a volare e per acquistare un aeroplano per realizzare il suo disegno di volare sul cielo di Roma in aeroplano dal quale gettare manifesti per esortare il re ed il popolo ad ascoltare la voce dell'onore e del dovere. Certo non bastava il suo modestissimo impiego, dal quale detraeva ottocento franchi per la famiglia di Rendi, per raggiungere la cifra necessaria per l'impresa. Nel mese di aprile trovò il denaro grazie al redattore capo del quotidiano liberale di Bruxelles, Le Soire, D'Arsac. Anche il dottor Sicca, medico italiano di Londra, contribuì con grande generosità alle spese.

Seguirono mesi di difficoltà e di speranza. Un primo tentativo fallì alla partenza, prevista dalla Corsica. L'impresa così, oltre a non essere portata a termine, non era più segreta.

Ma ancora una volta Lauro De Bosis non cedette e con sovrumana volontà ricominciò da capo.

Comprò l'aeroplano in Germania sotto il nome di Mr. Morris e fece stampare ad Annemasse i manifesti. Giunse il giorno stabilito: il 3 ottobre 1931. Decollato dall'aeroporto di Marignan presso Marsiglia, alle ore 15,15 De Bosis arrivò a Roma poco dopo il tramonto. Discese da una quota di 2000 metri a quella di trecento, disseminando circa 400.000 manifestini sul centro della città: Piazza Venezia, il Corso e la zona prospiciente Palazzo Chigi e poi addirittura l'aeroporto.

Fu una prova di grande coraggio e di sbalorditiva, sovrumana abilità. Le strade erano in subbuglio e la gente leggendo il messaggio se lo passava di mano in mano. Dopo circa mezz'ora Lauro scomparve e si diresse, in quella notte senza luna, verso l'isola d'Elba, dove il suo aereo precipitò. L'aviazione solo dopo un bel po' di tempo si fece viva e andò ad aspettarlo verso la Corsica, in direzione cioè sbagliata, dimostrando la propria inefficienza (già ampiamente provata nel luglio 1930 quando Bassanesi e Dolci avevano volato su Milano disseminando volantini di Giustizia e Libertà).

Naturalmente, la stampa del regime cercò di minimizzare il fatto e agenti fascisti sparsero la voce che De Bosis si era diretto in Jugoslavia, che si godeva la vita sulla Costa Azzurra o che era andato in America a fare soldi, dimostrando così che la caccia non era riuscita ad abbattere quel piccolo aeroplano, indubbiamente precipitato per mancanza di carburante come aveva previsto il suo eroico pilota.

 

Il testamento

De Bosis comprese - a differenza di tanti, di troppi - che non bisognava aspettare secondo una più comoda " resistenza ". Nella sua Storia della mia morte, scritta la notte prima del volo su Roma (quando già sapeva di dover morire non già per la prontezza della "caccia  di Mussolini al suo minuscolo aereo, ma perché i serbatoi, per non insospettire i testimoni, erano stati riempiti per un tragitto più breve, da Marsiglia a Barcellona) De Bosis si diceva convinto che " il fascismo non cadrà se prima non si troveranno una ventina di giovani che sacrifichino la loro vita per spronare l'animo degli Italiani. Mentre, durante il Risorgimento, i giovani pronti a dar la vita si contavano a migliaia, oggi ce ne sono assai pochi. Bisogna morire. Spero che, dopo me, molti altri seguiranno, e riusciranno infine a scuotere l'opinione ".

 

Il testo completo:

Storia della mia morte
Il volo antifascista su Roma

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