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Biografia
Gaetano
Salvemini
Uomo politico e
storico. Nacque a Molfetta nel 1873. Si laureò in Lettere a Firenze nel 1896 e si dedicò
inizialmente a ricerche sul Medioevo, formandosi alla scuola fiorentina di Pasquale
Villari e di Cesare Paoli. Nellambiente accademico dellIstituto di studi
superiori e di perfezionamento, allora uno dei centri culturali e scientifici più vivi ed
operosi dellItalia post-unitaria, a contatto con docenti come Girolamo Vitelli,
Cesare Paoli, Achille Coen, Augusto del Vecchio, Pietro Cavazza, Felice Tocco e Pasquale
Villari entrò in rapporto con i nuovi metodi della ricerca storica e con la salda
coscienza del valore civile dellinsegnamento che questi maestri riuscirono ad
impartirgli. In quel periodo di studi universitari approfondì linterpretazione
marxista del divenire storico insieme alle istanze della sociologia positivista, il
connubio in qualche modo centrale della sua formazione "fra la storiografia delle
antitesi di derivazione villariana e il determinismo economico e sociologico di Achille
Loria".
Con il suo
"Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295" (1899) si segnalò
giovanissimo come uno dei maggiori storici italiani. Dopo aver insegnato latino in una
scuola media di Palermo, intraprese lattività di docente nelle Università a soli
ventotto anni con la cattedra di Storia moderna a Messina. Qui fu sorpreso dal terremoto
del 1908 e perse la moglie, i cinque figli e la sorella: di tutta la sua famiglia fu
l'unico sopravvissuto. Successivamente insegnò all'Università di Pisa e infine a
quella di Firenze, nel 1916.
Intanto aveva
aderito al Partito socialista e fu un tenace sostenitore del suffragio universale e della
soluzione della questione del Mezzogiorno, cercando di condurre su posizioni
meridionaliste il movimento socialista e insistendo sulla necessità di un collegamento
tra operai del Nord e contadini del Sud, nel quadro di un programma che si fonda sulla
conquista del suffragio universale sull'abolizione delle tariffe doganali che proteggevano
l'industria e sulla formazione di una piccola proprietà contadina che liquidasse il
latifondo.
Combatté il malcostume politico e le responsabilità di Giolitti con "Il ministro
della malavita" (1910).
Il voto favorevole dato dai
socialisti nel marzo del 1910 al governo presieduto da Luzzatti, notoriamente fautore
della cooperazione, motivato dallimpegno del ministero di procedere a un
allargamento del suffragio, scatena il più aspro attacco di Salvemini, che si concentra
sul movimento cooperativo, denunciato come lispiratore maggiore del
"ministerialismo" socialista e come uno dei più deleteri fomiti di corruzione
del partito e della intera vita politica italiana.
Nellottobre del 1910, a pochi mesi di distanza dalla furiosa polemica sulle
cooperative, Salvemini, relatore ufficiale sul suffragio universale, porta il suo attacco
in congresso, assumendo per la prima volta parte di rilievo nella vicenda congressuale. Il
successo non gli arride, ma per la prima volta al suo fianco è schierato un consistente
gruppo che fa capo a Modigliani e che si distingue, anche in sede di voto, con un proprio
ordine del giorno, dalla maggioranza riformista, ancora unita lungo un arco che va dal
centro turatiano a Bissolati e Bonomi. L"Avanti!", suscitando vivaci
proteste da parte dellinteressato, definisce "salveminismo" il nucleo di
idee che sembra destinato a partorire una nuova corrente. Aquegli influssi però la stessa
maggioranza non è impermeabile.La mozione conclusiva, illustrata da Turati, fissa in
quattro punti i "capisaldi" dellazione del partito per il prossimo
avvenire, e al primo posto è la richiesta del suffragio universale, esteso alle donne, e
"integrato" dalla proporzionale e dallindennità ai deputati. La
portata del successo non è però tale da soddisfare Salvemini. La fiducia che egli
esplicitamente riafferma nella personale sincerità di Turati non si estende alla
maggioranza che gli è alle spalle, nella quale predominano i responsabili della
"degenerazione oligarchica" e corporativa del riformismo, alla quale manca la
volontà politica necessaria perché i documenti congressuali diventino azione. Né
daltra parte egli intende continuare la battaglia nel partito, fino a suscitare una
nuova maggioranza che operi il radicale rovesciamento dellindirizzo fin lì
prevalso.
Il rinnovamento clamoroso da lui perentoriamente preteso non cè stato, e già
allindomani del congresso egli si dispone a prenderne atto, cogliendo la prima
occasione che le circostanze gli offriranno. La mancata iniziativa di una preventiva
agitazione contro la guerra libica gliene fornisce il discutibile motivo.
E così nel 1911 lascia il P.S.I., alla fine di un lungo travaglio. Alla
fine dellanno fonda LUnità (1911-1920): il nome della
rivista sembra segnare una conversione dai primitivi entusiasmi per il federalismo di
Cattaneo al mito patriottico mazziniano (al quale del resto, già nel 1905, Salvemini
aveva dedicato un libro eccezionale, acutissimo e perfino negativo nelle critiche
particolari, evidentemente influenzato dal patriottismo risorgimentale nel giudizio
generale); e i due altri promotori, Benedetto Croce e Giustino Fortunato (alla pari di
collaboratori come Einaudi e De Viti De Marco) sembrano accentuarne levoluzione
a destra, radicaleggiante, paretiana e non priva di animosità
anti-parlamentare.
Dalle pagine del settimanale Salvemini conduce un'intensa attività per la
formazione di un'opinione pubblica laica e progressista. E' uno dei precursori del liberalsocialismo, non soltanto
perché è il maestro politico dei Rosselli, ma anche perché la sua insofferenza verso i
socialisti ufficiali e il meridionalismo lo portano ai scrivere due articoli nel 1920
sulla sua rivista "L'Unità", che sono il primo, vero manifesto di questo
pensiero politico e in cui condanna sia il socialismo rivoluzionario del tempo, sia il
socialismo di Stato o burocratico, "che tende ad asservire il movimento proletario al
dispotismo di una classe sociale parassitaria - la burocrazia - infinitamente peggiore
della borghesia". Il socialismo nel quale Salvemini crede ancora era il riformista,
il cui ideale e il cui metodo "non hanno ancora esaurito il loro compito nella
storia": il movimento sociale ha elevato la dignità del lavoro, ha dato coscienza
umana e politica a individui "che erano abbrutiti nel loro isolamento diffidente e
servile". Salvemini giunge così alla prima esplicita sintesi liberal-socialista:
"Noi riteniamo ancora che libertà economica e movimento socialista debbano e
possano, almeno in questo periodo di transizione, integrarsi a vicenda e funzionare
reciprocamente da correttivo, in modo da impedire che tanto la libertà illimitata dei
capitalisti, quando l'azione egoistica di categoria degli operai organizzati possano per
vie diverse condurre a previlegi e monopoli d'individui e di gruppi".
Tutta l'opera politica di Salvemini è stata liberal-socialista, dapprima implicitamente,
da quando - già nel 1900 - benché da qualche anno fosse iscritto al partito socialista,
meditava con Arcangelo Ghisleri di fondare un partito democratico, diverso sia dal
socialista sia dal partito repubblicano massonico.
E' però interventista nella prima guerra mondiale (tanto che sia lui che
il suo seguace Guido Dorso guardarono inizialmente con simpatia al Mussolini socista), si
arruola e va sul Carso, ma viene posto in congedo per la sua fragilità fisica, tuttavia
prevede la disfatta di Caporetto. Favorevole ad una pace che rispetti le nazionalità,
organizza gli ex combattenti in movimento e nel 1919 è eletto deputato nel collegio di
Molfetta nelle liste di
Rinnovamento. Anche in questa fase continua il tentativo di fondare un nuovo partito, la
Lega democratica, insieme meridionalista, socialista e liberale: socialista nei fini di
giustizia, liberale nel metodo.
Con l'avvento del
fascismo si schiera da subito contro Mussolini e contro gli aventiniani, e stringe un
profondo sodalizio ideale e politico con i fratelli Carlo e Nello Rosselli e con Ernesto
Rossi, che vedono in lui il comune maestro. Nel 1923 Nello discute con Gaetano Salvemini
la tesi di laurea "Mazzini e il movimento operaio dal 1861 al 1872". Nel 1925,
Salvemini, i due Rosselli e Nello Traquandi fondano a Firenze il primo giornale
antifascista clandestino "Non mollare", di cui lo storico pugliese è il
direttore e l'estensore dei testi. I due fratelli e Rossi, su suo impulso, fondano anche
il Circolo di Studi Sociali, a cui collabora tra gli altri l'anarchico Camillo
Berneri. Il Circolo viene chiuso
d'autorità nel 1925.
Arrestato a Roma
dalla polizia fascista l'8 giugno del 1925, viene rinchiuso a Regina Coeli e poi nel
carcere delle Murate a Firenze. Processato insieme a Ernesto Rossi, usufruisce di
un'amnistia e in agosto si rifugia clandestinamente in Francia.
A Parigi sarà
raggiunto poi dai fratelli Rosselli e da Berneri (Salvemini era stato, tra l'altro,
relatore di tesi dell'anarchico lodigiano).
Nel
novembre del 1929 è tra i fondatori del movimento Giustizia e Libertà (GL), nato per
iniziativa dei fratelli Carlo e Nello Rosselli e di altri intellettuali democratici tra
cui Lussu, Tarchiani e Cianca. E' lui a scrivere la bozza di statuto, che poi viene
discussa dai costituenti. Il manifesto teorico del gruppo era contenuto nel libro Socialismo liberale che Carlo Rosselli pubblicò a
Parigi nel 1930: si teorizzava una terza via, tra capitalismo e socialismo, come
prospettiva nuova che recuperasse i valori liberali e fondasse quella tradizione
democratica che era mancata in Italia. Gruppi di GL si formarono in Italia soprattutto tra
studenti universitari, molti dei quali (tra cui Ernesto Rossi, Ferruccio Parri, Leone
Ginzburg) furono arrestati e condannati a lunghe pene detentive.
Si trasferisce poi
in Inghilterra, dove è protagonista di una dura polemica con G.B. Shaw, fabiano,
socialista gradualista, ammiratore di Mussolini.
Infine, nel 1934, va negli Stati Uniti, dove insegna storia della civiltà italiana
all'Università di Harvard. Prenderà anche la cittadinanza americana, cosa che Croce gli
rinfaccerà come un difetto.
Il cambiamento della politica di Rosselli a partire dal '34 produce il
progressivo allontanamento da GL di elementi come Salvemini, Caffi e, per ragioni diverse,
dello stesso Lussu. Lo storico pugliese non apprezza il progressivo radicalizzarsi in
senso classista e socialista di GL.
Durante la seconda
guerra mondiale Salvemini si batte dagli USA per una politica contro fascisti, comunisti e
contro la monarchia. Di questa esperienza - in Francia, in Inghilterra, in America, paesi
nei quali con corsi universitari e conferenze fece conoscere la realtà dei fascismo
(assai note le « lezioni» di Harward, reperibili ora in G. Salvemini, Scritti sul
fascismo, vol. I, Feltrinelli, Milano 1961) - diede un suggestivo rendiconto nelle Memorie
di un fuoruscito (1960, postumo).
Nel 1939 fonda la
Mazzini Society ", insieme a un gruppo di giellisti, di repubblicani e di
antifascisti democratici, tra cui Lionello Venturi, Randolfo Pacciardi, Michele
Cantarella, Aldo Garosci, Carlo Sforza, Alberto Tarchiani e Max Ascoli. E dagli Stati
Uniti raccoglie il denaro destinato agli esuli antifascisti italiani, necessario per
finanziare le operazioni di espatrio. L'associazione pone al primo posto la pregiudiziale
antimonarchica, il suo organo di stampa è il giornale "Nazioni unite". La
Mazzini Society è contraria all'accordo stipulato a Tolosa fra comunisti,
socialisti e giellisti e ad ogni esperienza unitaria con il P.C.d'I.
Nel '41 è tra i
promotori della formazione di una legione di volontari italiani da impiegare sul fronte
tedesco contro Hitler; ma non contro gli italiani di Mussolini. Il progetto fallisce,
nonostante le adesioni importanti di Sforza, Sturzo, Pacciardi, Toscanini e di tutta la
Mazzini Society. Il governo statunitense si oppone. Salvemini è anche accusato dal
"New York Times" di essere il promotore di un attentato in San Pietro, e sfida
pubblicamente Mussolini a chiedere la sua estradizione. Negli anni dell'esilio pubblica
vari volumi in lingua inglese, tra i quali The Fascist Dictatorship in Italy
(1928), Under the Axe of Fascism (1936) e Prelude to world war II (1953).
Tornato in Italia
nel 1947 riprende l'insegnamento all'Università di Firenze e continua a vari livelli
(famosi i suoi interventi su «II Mondo») la sua battaglia ispirata ad una visione laica
della vita e della politica, ad una lotta contro i dogmatismi e le fumosità ideologiche,
a posizioni di riformismo democratico, in comunità di intenti con Ernesto Rossi,
che è per lui un vero e proprio figlio putativo. Nel secondo dopoguerra è oppositore del
regime democristiano, sostenitore della necessità di abrogare il Concordato e di liberare
l'Italia dalla tutela clericale, difende fino all'ultimo la scuola pubblica contro le
riforme reazionarie dei governi. Nel 1955, ottiene dallAccademia dei Lincei il
premio internazionale Feltrinelli per la storia e la laurea "honoris causa"
dalluniversità di Oxford. Muore a Sorrento il 6 settembre del 1957.
OPERE
Tra le sue opere,
vanno ricordate: La dittatura fascista in Italia (1928), Mussolini diplomatico (1932),
Sotto la scure del fascismo (1936), La politica estera dell'Italia dal 1871 al 1914
(1944), Preludio alla seconda guerra mondiale (1953), Scritti sulla questione meridionale
(1955).
Le carte dell'Archivio Salvemini
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