home |
|
Biografia
Franco Venturi
Nato a Roma nel 1914 da Ada Scaccioni e Lionello Venturi. La famiglia era
originaria di Modena e il nonno, Adolfo Venturi, aveva ricoperto a Roma la prima cattedra
di Storia dellArte in Italia e inoltre aveva dato vita alla Scuola di
perfezionamento per la formazione del personale per i musei e le sovraintendenze (1896) e
aveva ideato nel 1888 lArchivio storico dellArte che prese il nome di
Arte nel 1898, la prima rivista darte di rilievo europeo.
Lionello, invece, negli anni giovanili era stato ispettore delle gallerie di Venezia, Roma
e Urbino e nel 1915 aveva vinto il concorso alla cattedra di Storia dellArte
dellUniversità di Torino. E a Torino era diventato punto di riferimento importante
per molti giovani democratici. Lambiente familiare, colto e antifascista, non poteva
non incidere sulla formazione del giovane Franco. Al liceo DAzeglio entrò in
contatto con i gruppi clandestini antifascisti e in particolare con quello di
Giustizia e Libertà. Gli esponenti più importanti del gruppo erano Aldo
Garosci, Mario Andreis e Luigi Scola. Lattività di questo nucleo giellista si
svolse nelle scuole e allUniversità, con la diffusione di volantini e
laffissione di manifestini. A queste iniziative aderirono anche famosi intellettuali
come Carlo Levi, Barbara Allason e Augusto Monti, attraverso il quale rimaneva vivo il
ricordo dellesperienza gobettiana che Venturi non aveva potuto conoscere.
Tra il novembre 1931 e il gennaio del 1932 il gruppo cadde nella rete
repressiva dellOvra e lo stesso Venturi fu fermato e poi rilasciato. Anche a seguito
dellarresto del figlio, oltre che per il suo rifiuto di prestare giuramento di
fedeltà al fascismo (uno dei soli 13 su circa 1200 professori universitari), Lionello
decise di emigrare in Francia con la famiglia, trasferendosi a Parigi nella primavera del
1932. Qui Franco, diciottenne, si iscrisse alla Facoltà di Arte della Sorbona e iniziò
la sua attività antifascista. A casa del padre entrò in contatto con lantifascismo
italiano in esilio: Salvemini, Nitti, Garosci. AllUniversità con intellettuali
radicali come David e Elie Halévy. Ma lincontro più importante fu certamente
quello con Carlo Rosselli, il fondatore del movimento Giustizia e Libertà a
cui Franco aderì. La prima parte del volume raccoglie una scelta degli articoli che egli
pubblicò tra il 1933 e il 1940, firmandosi con lo pseudonimo Gianfranchi, su I
Quaderni di Giustizia e Libertà e sul settimanale Giustizia e Libertà.
Inoltre, dopo la morte di Rosselli, egli continuò sul settimanale la rubrica Stampa
amica e nemica con il nome di Libero Venienti. Si trattava di una rubrica
settimanale in cui, attraverso il commento della stampa fascista e internazionale, Venturi
si occupava dei temi a lui più cari, come la critica feroce della politica culturale e
coloniale del fascismo, del dibattito internazionale sul socialismo, della polemica - come
si noterà negli articoli qui scelti - verso latteggiamento delle gerarchie
ecclesiastiche nei confronti delle dittature fasciste in Europa.
Il suo primo intervento di carattere politico apparve sul nono
Quaderno di Giustizia e Libertà nel novembre 1933. Si intitolava Nuova
Spagna e Venturi definiva la rivoluzione spagnola come la rivoluzione delle
élites dirigenti. Lorigine di questo processo veniva indicata nel 1898,
nella guerra contro gli Stati Uniti con cui la Spagna aveva perso le sue colonie
doltremare. Era da allora che gli intellettuali spagnoli avevano iniziato a
interrogarsi sulla loro nuova identità nazionale e culturale.
Nellanalisi del contributo di Venturi allorganizzazione e
alla definizione della linea politica di Giustizia e Libertà, della sua
posizione allinterno del gruppo dirigente e nel dibattito sulle prospettive di
lotta, della sua collaborazione giornalistica e del suo lavoro di redattore del
settimanale Giustizia e Libertà, su tutto risalta linscindibile nesso
tra riflessione storica e impegno civile, di cui sono esempi chiarissimi gli articoli su
Bonarroti, Campanella, Il fascismo contro Paoli o lultimo, del luglio
1939, su La Rivoluzione Francese e lItalia. Da questo punto di vista il
dibattito sul Risorgimento (Sul Risorgimento italiano e Replica di
Gianfranchi dellaprile-maggio 1935) che si svolse sulle colonne del
settimanale, è di gran lunga il più ampio e articolato tra quanti sviluppatasi
nellesilio antifascista. Lorigine era dovuta ad una provocazione di Andrea
Caffi, il rivoluzionario italo-russo, che sul numero di Giustizia e Libertà
del 29 marzo 1935 aveva affrontato la questione del rapporto tra lantifascismo
giellista e la tradizione risorgimentale, rifiutando decisamente le necessità di un
richiamo alle sacre memorie del Risorgimento italiano, definendolo un
residuo di vanità nazionale da mettere in soffitta. Per Caffi il Risorgimento
aveva racchiuso in un ambito nazionale fermenti e aspirazioni, pure esistenti, di più
ampio respiro europeo e tutte le sue correnti, compresa quella democratica mazziniana,
erano state impermeabili a una questione sociale già allora presente, come gli stessi
studi di Nello Rosselli dimostravano. Gli esiti non potevano non essere quelli di un
Risorgimento, addomesticato, deviato, confiscato da profittatori equivoci, che
determinò un disagio sociale ed un marasma della vita intellettuale in Italia, che
hanno avuto per sbocco (tuttaltro che inaspettato) il fascismo.
Caffi dunque delineava un processo di sostanziale continuità tra la
compagine statale prodotta dal Risorgimento e il fascismo, in ciò sostenuto anche da
Nicola Chiaromonte, che intervenendo il 19 aprile 1935, a firma Luciano, dichiarava la
propria esplicita avversione non soltanto al processo risorgimentale, ma al Risorgimento
in sé, nel suo principio animatore: Chiaromonte usa lespressione impeto
nazionale, che ha deviato, pervertendola, ogni aspirazione alla libertà e alla
democrazia.
Santi Fedele ha spiegato levidente inaccettabilità di posizioni
siffatte per un movimento come GL, il cui stesso motto Insorgere-Risorgere
denota una chiara derivazione risorgimentale e nei cui fogli di propaganda è facile
trovare il duplice accostamento tra fascismo e antirisorgimento e tra movimento
antifascista e Secondo Risorgimento dItalia. La difesa del Risorgimento venne
assunta da Rosselli e Franco Venturi. Rosselli stabilì una netta contrapposizione tra il
mito ufficiale e scolastico del Risorgimento elaborato quell
Italia savoiarda, moderata, filistea, sortita dal processo risorgimentale, e
la tradizione popolare, democratica e repubblicana impersonata, nelle sue diverse
espressioni, dai vari Mazzini, Cattaneo, Ferrari, Pisacane, Montanelli ecc., per i quali
il problema dellindipendenza non fu mai disgiunto da quello sociale, ma anzi
concepito come auto-riscatto del popolo non da una servitù altrui, ma da una
servitù sua propria, morale, politica, economica. Il Risorgimento come potenziale
idea-forza ispiratrice della lotta politica andava pertanto, allo stesso tempo rigettato e
accolto. Rigettato nei suoi esiti statuali, di cui il fascismo costituiva la degenerazione
progressiva, ma accolto invece nel suo carattere rivoluzionario. Se non si fosse operata
questa distinzione e si fosse rigettata in toto la tradizione risorgimentale, si sarebbe
relegata alla storiografia sabauda e alla propaganda fascista in monopolio dello
sfruttamento del mito risorgimentale.
Se lintervento di Rosselli risentiva delle preoccupazioni
politiche di mediazione interna al movimento, Venturi, studioso poco più che ventenne,
impostava la questione in termini prevalentemente storiografici, rifiutandosi di
contrapporre al mito ufficiale e scolastico del Risorgimento un antimito negativo
altrettanto mistificante, distinguendo tra quanto di localistico vi fu nel moto
risorgimentale e quanto di autenticamente europeo, espressione cioè dello spirito
di libertà che animò il XIX secolo. Richiamandosi esplicitamente ai contemporanei
studi pubblicati da Adolfo Omodeo nella crociana La Critica, Venturi rifiutava
il metodo di valutare avvenimenti e correnti politici col sistema del vedere come
sono andati a finire: i successivi sviluppi dello Stato italiano non potevano
proiettare lombra del discredito e della condanna a posteriori sulla passione
unitaria che animò il Risorgimento nazionale.
Carlo Rosselli aveva intuito la vocazione profonda di storico e non di
militante politico che animava il giovane Venturi, il quale aveva acquistato una solida
preparazione storiografica nei corsi della Sorbona, dove frequentò le lezioni di Hazard,
Glotz, Guignebert, Hauser, Renouvin, Mornet e Bèdarida. Ma sarebbe difficile capire la
diversità e linnovazione di un volume come la Jeunesse de Diderot, senza
tenere conto di una dimensione come quella dellincontro con uomini come Elie
Halévy, il grande studioso del radicalismo e de Lère des tyrannies, ma
anche Salvemini, Rosselli e il pensiero di Piero Gobetti, a cui il riferimento era diretto
nella monografia su Francesco Dalmazzo Vasco del 1940.
Gli studi sullIlluminismo proseguirono parallelamente alla sua
attività politica, che divenne più intensa dopo luccisione di Rosselli del 9
giugno 1937. Il 14 maggio 1940 le truppe tedesche entravano a Parigi. Lemigrazione
italiana antifascista si disperde. La famiglia di Venturi è già partita per gli Stati
Uniti, Franco invece è rimasto a Parigi. Vuole assistere allingresso dei nazisti e
solo dopo pensa di raggiungerla. Ma sfortunatamente non riesce ad arrivare in Portogallo,
da cui doveva imbarcarsi : riconosciuto in Spagna viene denunciato da una spia. Arrestato
viene gettato per circa un anno e mezzo in un carcere franchista, il sotterraneo di un
convento, dove in un clima soffocante o rigido a seconda delle stagioni, gli oppositori
del regime franchista venivano ammassati, senza neppure lo spazio per distendersi e
costretti a cantare inni religiosi se volevano mangiare. I reclusi mancavano di tutto,
nada era il vocabolo con cui si indicava lassenza drammatica del cibo, e Nada sarà
uno dei nomi di copertura che Venturi adotterà nella clandestinità italiana. Ai primi di
marzo del 1941 fu consegnato al console italiano a Barcellona, trasportato a Genova e di
lì a Torino, dove fu interrogato il 17 marzo. Dopo altri due mesi di carcere a Torino fu
infine assegnato al campo di concentramento di Monforte Irpino, dove giunse nei primi
giorni di maggio. Qui egli riprese subito a lavorare e, pur nelle difficili condizioni in
cui si trovava, tradusse la herderiana Auch eine Philosophie der Gershichte,
propostagli da Federico Chabod e pubblicata alcuni anni dopo la guerra. Con la famiglia
lontana il suo punto di riferimento divenne Luigi Salvatorelli, che viveva a Torino.
Salvatorelli, negli anni difficili dopo lespulsione dalla carica di vicedirettore de
La Stampa era stato aiutato, anche economicamente, da Lionello Venturi. E
proprio a casa di Salvatorelli, nel 1942, Venturi venne a trascorrere una licenza dal
confino, mettendosi in contatto col gruppo clandestino del Partito dAzione
piemontese, di cui facevano parte, fra gli altri, Giorgio Agosti, Alessandro e Carlo
Galante Garrone, Livio Bianco, Giorgio Vaccarino.
Dopo la caduta di Mussolini egli tornò a Torino, assumendo la
direzione di tutta la stampa clandestina del Partito dAzione. La prima iniziativa fu
quella di dare lavvio alla pubblicazione del supplemento regionale dell
Italia Libera. Ne uscirono nove numeri, che crebbero poco a poco, diventando
più grandi anche nel formato e che persero liniziale carattere di manifesti di
propaganda. Il numero del novembre 1943 era dedicato ai primi grandi scioperi torinesi,
quello di dicembre portava i primi dettagliati bollettini partigiani, ed era ricco di
fatti ed esempi. I nove numeri furono stampati parte a Torino parte nelle zone
partigiane e trasportati in città, malgrado i blocchi e le perquisizioni. Nei momenti
migliori si raggiunsero le diecimila copie e come scrive Venturi nellarticolo sulla
Stampa clandestina torinese pubblicato nellAppendice: lo sforzo
principale compiuto dall Italia Libera fu quello di non esprimere
soltanto una volontà di lotta, ma di invitare alla riflessione sulle responsabilità che
uomini e classi si erano assunti durante la dittatura e la guerra. In collaborazione
col centro di Milano del Partito dAzione venne creato nel febbraio del 1944, un
organo di stampa diretto agli operai, Voci dOfficina, che seguì
attentamente gli sviluppi della Resistenza nelle fabbriche torinesi e le esperienze
compiute dagli operai di altri paesi, nellEuropa centrale, in Francia, in Spagna.
Anche di Voci dOfficina furono pubblicati nove numeri. Venturi ha
ricordato come il Partito dAzione, partito nato nella lotta antifascista, avesse
bisogno più degli altri di elaborare il proprio pensiero e di farlo conoscere.
LItalia Libera e Voci dOfficina furono accompagnati
perciò da una serie di opuscoli, I quaderni dellItalia Libera,
Che intendevano rispondere alle domande fondamentali e far sentire una propria voce
sui problemi della guerra, dello stato, del socialismo, della libertà, di quel domani
insomma che la resistenza stava creando giorno per giorno. Furono pubblicati venti
opuscoli, parte a Torino, parte a Torre Pellice e nel Canavese. Venturi ne firmò quattro,
riportati nella seconda parte del volume. Venturi curò anche la pubblicazione della serie
dei Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà, intervenendo sui problemi della
stampa clandestina e sullorganizzazione del movimento. Ma nessuna delle questioni
poste da Venturi in questi testi trovò allinterno del Partito dAzione una
rispondenza effettiva: lintenso dibattito politico sino a tutto il 1945 documenta
piuttosto lisolamento di Venturi e del gruppo torinese, non solo nei confronti degli
altri partiti presenti nel Cln, su questioni essenziali: dalla partecipazione al governo
Bonomia alla pregiudiziale antimonarchica, dalla discussione sulla forma-partito al
rapporto tra liniziativa militare e identità politica per legittimare un sistema
democratico dopo la conclusione del conflitto.
La militanza partigiana di Venturi non si limitò soltanto alla cura
della stampa: per incarico della direzione politica e del comando di Giustizia e
Libertà girò tutto il Piemonte a risolvere le situazioni militarmente e
politicamente più delicate, come durante lassedio repubblicano di Alba
dellottobre 1944.
La fine della guerra segnò anche per Venturi linizio del
disimpegno politico e della travagliata ricerca di una carriera professionale.
Labbandono della politica non fu però immediato. Prima di accettare la proposta di
Manlio Brosio di recarsi a Mosca come addetto culturale dellAmbasciata italiana, dal
24 agosto 1945 al 28 aprile 1946 diresse il quotidiano torinese GL. Firmò
numerosi editoriali descrivendo con preoccupazione levolversi della situazione
nazionale e internazionale, la fine della speranza di una vera rivoluzione democratica in
Occidente. Di grande interesse sono tre articoli dal titolo Tre possibili rotture
in cui individuò quali fossero le debolezze della situazione italiana su cui le forze
reazionarie potevano fare perno per cercare di dividere le forze democratiche: il Sud, che
non aveva mai avuto una rivoluzione democratica come quella del nord e dove occorreva
rapidamente avviare una politica che cancellasse i privilegi e le forme di oppressione; le
campagne, dove la lotta partigiana non era riuscita a coinvolgere le classi contadine e
dove, come nel Sud, continuavano ad esistere ancora troppi privilegi da superare; e infine
i ceti medi e la borghesia, che avevano ottenuto posti di privilegio allombra del
fascismo e che cercavano ora di difenderli anche nella nuova situazione.
In Venturi vi è anche chiarissima la consapevolezza che la
possibilità della rivoluzione democratica in Italia dipende dagli sviluppi della
situazione internazionale dopo la guerra. E a questo proposito il 24 agosto 1946 firma un
importante fondo dal titolo Non intervento, in cui denuncia come dalla nefasta
teoria del non intervento si stesse passando allaltrettanto pericoloso
principio delle sfere dinfluenza. Le grandi potenze si erano sì
convinte che fosse necessario intervenire con la loro forza, le loro idee e i loro
eserciti, che non potevano più lasciare la politica mondiale nelle mani delle nazioni
minori, ma cercavano però di fissare dei limiti a questo loro intervento, di stabilire
delle zone in cui esso si potesse esplicare direttamente e apertamente. I timori di
Venturi trovarono una conferma nella storia dellEuropa degli anni successivi e,
durante la sua esperienza moscovita, potrà vivere da vicino la svolta internazionale
della Guerra Fredda. Le elezioni del 1946, sul piano interno, avevano inoltre dimostrato
le difficoltà di far esistere un partito come quello dAzione nella realtà politica
come quella italiana, divisa tra socialisti e comunisti da un lato e cattolici
dallaltro.
A Venturi, come a tanti altri, che avevano deciso di non trasformare la
politica in un mestiere, non restò, negli anni successivi, che la scelta del distacco,
accompagnato però dalla sempre vigile volontà di continuare a perseguire, in piena
autonomia, le proprie scelte civili e morali. Ne sono testimonianza i tre articoli
sullUnione Sovietica, pubblicati nella terza parte, e scritti tra il 1953 e il 1956:
le speranze del dopo Stalin e del rapporto Chruscev si infrangono contro linvasione
dellUngheria. Larticolo pubblicato su Il Mondo il 6 novembre 1956,
Sangue per la libertà, è lultimo intervento pubblico di carattere
politico di Venturi e si conclude non a caso con lappello alla riscoperta
della funzione autonoma degli intellettuali e militanti politici che non vogliono né la
reazione e il clericalismo, né la restaurazione dello stalinismo.
Dallesperienza moscovita erano nati anche libri che hanno fatto
di Venturi uno degli studiosi più noti nel mondo, non solo nel settore
dellIlluminismo, ma anche del pensiero politico e della società russi. Il Populismo
russo, edito da Einaudi nel 1952, ha avuto altre quattro versioni in inglese, di cui
la prima con unintroduzione di Isaiah Berlin, una in francese e una in spagnolo. Nel
1948 ha pubblicato, sempre per la casa editrice Einaudi, Jean Jaurés e gli altri
storici della Rivoluzione, facendo conoscere in Italia la grande storiografia sociale
legata a maestri come Albert Mathiez e soprattutto George Lefebvre. Venturi portò
lattenzione su Jean Jaurés e la sua proposta socialiste, che era stata il
termine di confronto e di partenza per il rinnovamento della discussione storiografica
sulla Rivoluzione e dedicò pagine straordinarie ad approfondire il tema della
religiosità dei laici, che non potevano che essere scelta morale, civile e intellettuale.
Tornato dalla Russia nel 1950, dopo aver vinto il concorso, insegnò Storia Medioevale e
Moderna a Cagliari, dal 1951 al 1954. Nel 1954 pubblicò Alberto Radicati di Passerano,
uno dei principali eroi gobettiani, un volume che ha aperto la stagione degli
studi sullIlluminismo radicale. Nel 1955 ebbe il passaggio allUniversità di
Genova, dove rimase sino al 1958, quando ottenne il trasferimento a Torino, alla cattedra
di Storia Moderna della Facoltà di Lettere e Filosofia, dove restò sino al 1984. Nel
1989 è stato nominato professore emerito dellAteneo torinese. La scelta di Torino -
malgrado offerte non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, per esempio Princeton -
era dovuta al suo antico legame con la città, ma anche al progetto di dedicare gli anni
successivi ad una ricostruzione dellIlluminismo italiano, che superasse la
prospettiva risorgimentale della storiografia precedente (il Settecento studiato soltanto
in funzione dellOttocento e del Risorgimento visto a sua volta soltanto come
espansione territoriale) e che permettesse di collegare gli spazi italiani al movimento
illuminista e riformatore europeo. Le origini di questa ricerca possono essere
rintracciate in due fondamentali relazioni: la prima fu quella sulla circolazione delle
idee del 1954 al congresso dei risorgimentisti italiani; la seconda fu quella
pronunciata a Stoccolma nel 1960, su invito di Federico Chabod, in occasione del nono
congresso internazionale per le scienze storiche: LIlluminismo nel Settecento
europeo. Il risultato sono stati i quattro volumi del Settecento riformatore
(Einaudi, Torino 1969-1990). Tra il 1958 e il 1965 Venturi aveva anche portato a termine
un accuratissimo lavoro di scavo documentario ed insieme di ricostruzione biografica: si
tratta della collana ricciardiana degli scritti degli Illuministi italiani, che
uscirono in tre volumi consacrati ai lombardi, piemontesi e toscani, ai napoletani e ai
riformatori delle altre terre italiane, in collaborazione con Gianfranco Torcellan e
Giuseppe Giarrizzo. Nel 1969 fu invitato a tenere le Trevelyan Lectures di Cambridge,
destinate a tradursi in uno dei suoi volumi più importanti: Utopia e riforma
nellIlluminismo, edito nel 1970 sempre da Einaudi. Nel 1973 pubblicò un
confronto fra Italia e Europa, dalla fine del Settecento allUnità, sotto il titolo Italia
fuori dItalia nel terzo volume della Storia dItalia
delleditore Einaudi, saggio che gli valse il Premio Federico Chabod
dellAccademia Nazionale dei Lincei.
Dopo la pubblicazione del secondo tomo del quinto volume del Settecento
Riformatore, nel 1990, Venturi iniziò le ricerche per il terzo tomo, dedicato alla
Toscana di Pietro Leopoldo e alla Repubblica di Genova, ma un incidente a una gamba e la
tragica scomparsa della compagna della sua vita, Gigliola Spinelli, resero difficili gli
ultimi anni della sua vita. Ma con ammirevole determinazione riuscì a continuare a
lavorare e ultimò le ricerche negli archivi e nelle biblioteche di Firenze. Nel 1992,
insieme ad Alessandro Galante Garrone, pubblicò un curioso libro sul falso profeta Mansur
e sulla sua riforma dell Alcorano (Sellerio, 1992). Il nome di Mansur
nascondeva in realtà un giovanissimo Filippo Buonarroti e Galante Garrone e Venturi
dimostrarono come, dietro quelle false corrispondenze da Costantinopoli del 1786, si
potessero rintracciare le radici sottili del futuro radicalismo rivoluzionario europeo,
giacobino e comunistico.
Venturi, dal 1959, dopo la scomparsa di Federico Chabod, è stato
direttore responsabile della Rivista storica italiana, incarico che ha
mantenuto sino al giorno della morte, a Torino, avvenuta il 14 dicembre 1994.
Due giorni prima gli era stato conferito il Sigillo Civico del Comune
di Torino e Venturi, già molto provato, aveva voluto rivolgere ai presenti un breve
saluto di ringraziamento che aveva concluso con queste frasi Non ho certamente
lidea che tutto quello che avrei potuto fare lho fatto, ma comunque ne ho
tratto questo: giovani e meno giovani, pensate sempre che le radici locali e le grandi
idee che spazzano il cielo dellEuropa non possono mai essere separate.
(di Leonardo Casalino)
|