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         | Biografia  ODDINO MORGARI (1865-1944) di Gianni Artero 
 1. Il personaggio Nato a Torino il 16 novembre 1865 in una famiglia di pittori (il padre Paolo Emilio,
        la madre Clementina Lomassi, la sorella Bice, il fratello Luigi, il più celebre, vissuto
        dal 1857 al 1935 e autore di numerosi affreschi[1]),
        questa parentela concorse probabilmente allo stereotipo di bohemien. A questa nomea contribuì l'autobiografia di
        Rinaldo Rigola in cui lanziano sindacalista racconta che, eletto deputato nel 1904,
        non essendovi allora indennità per tale carica "l'on. Morgari mi impartiva delle lezioni di
        economia parlamentaristica:..."risparmio i soldi dell'albergo andando a dormire in
        treno. Combino il viaggio in modo che tra l'andata e il ritorno ci sia da passare l'intera
        notte" approfittando  della franchigia ferroviaria che consentiva ai
        deputati di viaggiare gratuitamente."Sapevo che Morgari era capace di fare ciò ed altro
        ma non ero  del suo avviso...non mi sentivo di
        spingere il mio eroismo a tal punto....(....)...non [ero ] tagliato per l'eccentricità"  [2] 
            Più seriamente, cè sicuramente nella sua vita un lato
        avventuroso, un  certo gusto per la vita
        nomade: dal soggiorno in Francia alla fine degli anni '80 alla presenza in Macedonia nel
        1903 dove era accorso in occasione dell'insurrezione al dominio turco, dai due anni
        trascorsi in Estremo Oriente (1911-13), ai viaggi durante la guerra mondiale per
        riallacciare i rapporti tra i socialisti, fino alla presenza a Budapest durante la Comune
        e ai viaggi in Russia nel 1922 e alla metà degli anni '30.
           
           Spontaneo il paragone con personaggi del socialismo dell'epoca, come
        Giacinto Menotti Serrati[3]
        che trascorse una parte importante della sua vita nell'emigrazione come
        organizzatore dei lavoratori italiani in Svizzera e negli Stati Uniti, o come il "cittadino
        del mondo" Edmondo Peluso[4]   che ha suggerito il sottotitolo.  Al di là dellaspetto pittoresco è
        importante cogliere lo spessore umano e politico del personaggio che fu una figura non
        secondaria di un quarantennio del socialismo italiano, e nel periodo della guerra anche
        internazionale, trovandosi sovente al centro dei più importanti avvenimenti, fino almeno
        al primo dopoguerra quando verrà superato dai nuovi eventi e da una nuova generazione.   Nel sistema di valori fondativi del socialismo
        italiano delle origini, il carattere positivistico-sentimentale della sua adesione è
        comune alla maggior parte della  generazione,
        mentre i suoi tratti distintivi sono il disinteresse, che lo portò a subire più che a
        ricercare le cariche direttive, e la predicazione tra le masse. Nelle cronache delle agitazioni e degli
        scioperi di tutta Italia, dal 1890 in poi è raro non trovare il suo nome: quando la
        situazione si faceva critica e occorreva la presenza di qualcuno che sapesse parlare alle
        masse, le sezioni del Partito e le Camere del Lavoro si rivolgevano a lui. Analogamente
        proiettato verso gli umili fu il suo impegno di pubblicista.   Dopo
        queste essenziali chiavi di lettura, unultima osservazione: avendo operato sia a
        livello locale torinese, che (dallelezione alla Camera nel 1897) nazionale, e dal
        1914 anche internazionale,  non è facile con
        un esposizione rigidamente cronologica che spezza la narrazione in singoli episodi
        slegati seguire il filo di attività che si sviluppavano parallelamente su
        piani diversi.  Abbiamo pertanto ragruppato le
        vicende secondo nuclei tematici, così da poterle descrivere nel contesto in cui si
        collocano.   Nel 1885 durante il  servizio di leva,
          che per la sua conoscenza del disegno andava
          svolgendo all'Istituto Geografico Militare di Firenze, ebbe luogo la sua
        iniziazione politica, che così rievocherà in uno scritto dei suoi ultimi anni: nella
        mia adolescenza per motivi di natura psicologica ed ereditaria la mia mentalità era come
        una spugna pronta ad imbeversi di quel qualunque ideale umanitario che le fosse
        prospettato dal primo idealista in cui si sarebbe imbattuto; e volle il caso che
        questo fosse un mazziniano
andato al par di me  nella
        Fortezza di Basso di Firenze, ragion per
        cui in tre giorni fui avvinto e mi diedi a quella fede per metà politica e per metà
        religiosa con quella stessa ardente passione con cui un giovane vive il suo primo amore
        [5] Ma fu costretto a dimettersi «quando il Ministero delegò una
        Commissione disciplinare a giudicare di un rapporto della polizia, che [lo] denunciava
        come mazziniano»[6]
         Espatriato, raggiunse Parigi e in
        seguito Marsiglia dove dal settembre al dicembre del 1890 diresse il circolo mazziniano. Per usare le sue parole, scritte però a cinquantanni dagli
        avvenimenti e quindi da considerare con cautela:  Quattr'anni
        erano passati dopo d'allora durante i quali avevo preso contatto col pensiero socialista
        traverso scarse ed incomplete battute, cosicchè poco a poco ero venuto a dubitare che il
        mazzinianesimo fosse un edificio mancante di alcuni muri maestri, ma per passare alla
        convinzione socialista ero impedito da diverse obiezioni suggeritemi dal buon senso
        dell'aspetto pratico delle questioni già vivo in me nonostante l'età giovanile.
        Respingevo con noia certe obiezioni volgari. (...).ma certi altri dubbi mi
        ponevano in imbarazzo: per esempio mi stringeva il cuore assistendo alla propaganda di
        tanti sindacalisti e socialisti che alle masse parlavano soltanto di diritti e mai di
        doveri...e che si disinteressavano delle sofferenze di tanti altri lavoratori solo perchè
        non portavano il berretto dell'operaio di fabbrica....Si poteva temere che nel nuovo
        assetto si scatenasse una nuova forma di sfruttamento, quella degli oziosi e dei cinici
        sui compagni coscienti e volonterosi..(...)..mi chiedevo se per ottenere un corretto
        adempimento dei nuovi obblighi sociali non sarebbe stato necessario un regime di dittatura
        che avrebbe trasformato l'Eden promesso in un'immensa caserma...Il socialismo prometteva
        di costruire una nuova casa di cui però non presentava il piano limitandosi a
        magnificarlo con vaghe frasi messianiche...tutti motivi che mi portavano ad attendere che
        un uomo o un libro mi dimostrasse con argomenti irrefutabili che .....non era un'impresa
        destinata a fallire dopo immensi sacrifici per l'incapacità morale e tecnica dei suoi
        imprenditori e per imprevisti difetti d'un meccanismo che nessuno aveva cura di
        prevedere....La rivelazione mi raggiunse sotto la forma d'un volumetto venutomi sotto mano
        per caso e che lessi d'un fiato in una camera di un albergo di quint'ordine della vecchia
        Marsiglia...L'Anno 2000 di Edoardo Bellamy, uno scrittore totalmente
        vuoto in fatto di dottrine..[ma]..nel leggerlo io vidi la società socialista nella
        sua architettura e nei suoi ordinamenti e di colpo tutti i miei dubbi sparirono dalla mia
        mente...e poi fui certo che la società degli uguali e dei liberi non era un sogno come
        quello del paradiso dei cristiani, ma un meccanismo che si poteva concretamente costruire
        e far funzionare (...) Questa verità mi folgorò nel cervello e mi fasciò di gioia
        tantochè ad un certo punto della lettura andai alla finestra e gridai: ho
        compreso! ho compreso! come se volessi informare tutta Marsiglia. Per qualche
        tempo vissi nello stato d'animo di un visionario a cui Iddio è apparso in sogno per
        assegnargli una qualche missione[7]   2. Lo sviluppo industriale e le origini del
        socialismo torinese      La storia di Torino operaia e
        socialista è stata scritta più volte[8]
        ma si ritiene utile fornire alcuni dati essenziali di inquadramento.       L'Esposizione Universale del 1884
        aveva sancito il superamento della crisi legata al trasferimento della capitale. Su una
        popolazione nel 1880  di 300.000 abitanti gli
        addetti all'industria (comprendendo anche i lavoratori a domicilio e parte degli
        artigiani) costituivano una quota del 20-30 %. La maggior parte delle imprese risultava
        già allora concentrata nei settori metallurico e tessile con il 40% e il 19% delle
        imprese cittadine rispettivamente. Accanto al vecchio comparto statale (Arsenale militare,
        Manifattura tabacchi, Officine ferroviarie) che continuava a rappresentare il più
        consolidato nucleo produttivo cittadino, cresceva un tessuto di imprese private dotate di
        grande dinamismo che avevano dato vita a stabilimenti di medie dimensioni con maestranze
        operaie dalle 100 alle 300 unità e che negli anni tra la fine degli anni '80 e i primi
        anni '90, nonostante la rottura commerciale con la Francia e la crisi bancaria, riuscirono
        a consolidare il primo nucleo del capitalismo d'impresa destinato a soppiantare le
        produzioni governative e a fornire alla città il suo definitivo volto industriale.    Questo processo di sviluppo entrava in
        confltto con una società connotata da  relazioni
        sociali fortemente gerarchiche,  da retaggi
        politici  e
          culturali di tipo tradizionale e da un sistema politico-istituzionale
        elitario. Aveva iniziato a modificare questo quadro la crescita tumultuosa e disordinata
        di un proletariato proto-industriale accanto e pericolosamente intrecciato con il ceto
        operaio sobrio e previdente caro alla tradizione sabauda, crescita che era vista
        come una minaccia del rapporto paternalistico tra élites liberali e associazionismo
        operaio    Nel 1880-81 dal ceppo della Lega della
        democrazia, cioè dall'area che andava dai mazziniani ai radicali e che, pur non
        essendo vasta e socialmente radicata come nel milanese, non era priva di organizzazioni in
        ambiente operaio, artigiano e piccolo-borghese, erano sorte l'Associazione democratica
        subalpina, il Consolato operaio, la Società di mutuo soccorso Fratellanza
        artigiana    Nella primavera 1886 l'agitazione dei muratori
        assuse quasi le caratteristiche di una rivolta urbana con blocco dei quartieri, scontri
        violenti e presidio di molte zone da parte della polizia; poi vi erano state la lotta
        delle sigaraie e la diffusione di una piccola conflittualità negli stabilimenti
        manifatturieri su problemi di salario, orario, regolamenti  Intorno
        a quel periodo cominciò a manifestarsi quella tendenza repubblicano-socialista che,
        dapprima rappresentata solo da pochi mazziniani attratti dal movimento operaio (gli
        avvocati Leandro Allasia e Giambattista Cagno, il giovanissimo pacifista ClaudioTreves, il
        gasista Gianpietro Daghetto) crebbe sino a costituire il pilastro della formazione a
        Torino del Partito socialista     Nel giugno 1887 nasce la Gazzatta
        operaia fondata dallo studente vercellese Luigi Galleani[9],
        che ebbe un ruolo come elemento di mediazione tra anarchismo e movimento operaio,  ma numerosi erano, in un'area dai confini incerti,
        i giornali che si pubblicavano nella capitale piemontese: il Ventesimo secolo
        di  Giovanni Lerda (autodidatta, divenuto poi
        protagonista a livello nazionale come leader della corrente intransigente[10]),
        il Grido del popolo del tipografo Chenal, la Squilla
        di area radical-repubblicana.    Nel corso del 1888 si costituì, con
        l'intervento degli operaisti milanesi Lazzari e Casati, sul modello dei lombardi Figli
        del lavoro, la Associazione fra i lavoratori d'ambo i sessi di città e di
        campagna che poco dopo si presentò come federazione locale del Partito Operaio
        Italiano. Fu l'unica forza in grado di intervenire nell'intensa fase di agitazioni di
        fabbrica e proteste operaie che attraversarono Torino
          nella primavera-estate 1889,  con
        dimensioni e intensità mai raggiunte in precedenza, e i cui effetti determinarono una
        svolta decisiva per la configurazione del movimento operaio e socialista locale    A metà aprile del 1889,  partita dai pellettieri che protestavano per una
        ribasso dei cottimi, ripresero le agitazioni che si infittirono ed estesero in tutti i
        settori, in particolare quello tessile colpito dal rialzo delle tariffe doganali.    La tendenza spontanea dell'agitazione operaia si
        intrecciò così con il progetto politico e organizzativo della federazione operaista che
        si era costituita proprio sulla tesi della centralità delle lotte economiche per lo
        sviluppo del socialismo come movimento politico, sostenendo un duro confronto con
        l'anarchismo intransigente tradizionalmente diffidente verso il concetto stesso di lotta
        di classe come lotta rivoluzionaria    La situazione si radicalizzò a partire
        dall'inizio di giugno, con una città quasi in stato d'assedio: gli arresti nei giorni 11
        e 12 furono una quarantina e il 13 iniziarono i processi per direttissima con condanne da
        due giorni a tre mesi; anche dopo questa data si ebbero strascichi  con l'entrata in scena dei panettieri e poi dei
        garzoni del macello civico.   Il 10 novembre 1889 si votò a Torino per rinnovare
        il consiglio comunale sulla base della legge del 30 dicembre 1888 che estendeva il diritto
        di voto a parte dell'elettorato operaio. Si determinò in occasione di queste elezioni la
        frattura dei democratici tra un'ala possibilista, che si inserì nella lista liberale, e
        un'ala più radicale che si accordò con i gruppi socialisti-operaisti per la
        presentazione di una lista democratico-operaia, i cui
          risultati furono deludenti, non andando nessuno dei candidati oltre i
        1800-1900 voti.   3.
        Morgari nel socialismo torinese del decennio 1890-1900    In questa situazione si inserisce Morgari
        che, rientrato dalla Francia, prende parte attiva sulle pagine della Squilla alle
        discussioni seguite al congresso socialista di Genova del 1892 . Non proveniva dal
        socialismo militante, era quasi sconosciuto all'inizio al punto che il Grido del Popolo
        ne storpiava il nome, ma apparteneva a quell'area di repubblicani di recente
        conversione guardata con una certa diffidenza dai vecchi operaisti e socialisti per questo
        motivo.    Così viene descritto quasi cinqunt'anni dopo
        da un anonimo collaboratore dell'Avanti!: Arrivato da dove non
        si sa piovve un giorno a Torino un tale con un pizzetto rossiccio (...) trovò
        lavoro come contabile presso la cartoleria Simondelli in via Po. ....Erano allora gli impiegati pagati a mesi e
        Oddino ebbe l'audacia di chiedere un anticipo sullo stipendio del suo primo mese.
        Allora si andava a vedere il padrone con il cappello in mano e l'ordine di costui e il
        fatto per di più che gli venne concesso stupirono parecchi di noi della stessa ditta.
        Parlava un linguaggio nuovo e una sera mi invitò ad andare alla Fratellanza operaia
        ..(...)..non ricordo se a parlare ci fosse Cerutti o Chenal. Intervenne nel dibattito anche un
        avvocato che più tardi seppi era Claudio Treves...Passò qualche anno e il PSI fondò una
        sezione a Porta Palazzo sorvegliatissima dalla polizia.... Poscia la testa calda fondò
        un'altra sezione vicina a Piazza Filiberto frequentata da universitari: Roux, Casalini e
        altri E forse anche persone di dubbia moralità, difatti una sera vedo Oddino pallido e silenzioso. Più tardi
        ci spiegherà l'origine del suo malumore ..Aveva riscosso quella sera stessa il suo
        stipendio e mentre era nella Sezione un biglietto da 100 lire
        aveva preso il volo dal suo portafoglio. Oddino non volle denuncìare il fatto alla
        polizia Ne subirebbe la sezione..La gente direbbe che vi son dei ladri fra noi che
        vogliamo riformare il mondo. E poi chi lo ha preso forse ne aveva più bisogno di me.
        Così la cosa fu messa a tacere per non danneggiare la sezione [11]    Dopo la fallimentare campagna elettorale del
        1889, sull'onda della delusione che serpeggiava, e con la ripresa delle vertenze, questa
        volta alle Officine ferroviarie, la parola d'ordine della fondazione della Borsa del
        lavoro  ebbe grande successo, raccogliendo
        nell'estate del 1891 l'adesione dei più forti sodalizi operai a partire dall'Associzioe
        Generale Operaia (AGO) che, forte di 6.000 soci, aveva un'immagine pubblica quasi
        istituzionale, e tutt'altro che scontata era la sua adesione al progetto, presentato
        comunque con caratteri di moderazione tali da essere accettabile ai liberali.   La proposta di fare del Primo Maggio una giornata
        internazionale di lotta, lanciata a  Parigi nel
        1889, diede luogo a Torino nel 1891 ad incidenti: sfidando il divieto prefettizio folti
        gruppi  di dimostranti, radunatisi in piazza
        Statuto, furono circondati e dispersi dalle forze di polizia: Quell'episodio rimase rimase
        a lungo impresso nella memoria collettiva della città, e fu il fatto scatenante che
        determinò nel noto scrittore Edmondo De Amicis, che assisteva alla scena dalle finestre
        del suo appartamento su quella piazza, l'interesse verso il socialismo. Nei giorni
        successivi vennero celebrati i processi per direttissima, che comminarono pene  pesanti: da due a tre anni.    Frattanto il progetto della Camera del lavoro
        che, come a Milano e in altre realtà, diede luogo ad una trattativa con il Municipio per
        il riconoscimento e un sussidio, andava avanti: nell'estate 1891, non appena fu avviata
        l'organizzazione delle sezioni per arti e mestieri, passò rapidamente da poco più di 700
        a quasi 4.000 aderenti.     Nelle elezioni del novembre 1892 si presentò
        una lista socialista con candidati in quattro collegi, con risultati deludenti: Prampolini
        ottenne 53 voti, Lerda 153. Mentre per Lerda il problema della sconfitta non si poneva,
        non avendo mai puntato sulle elezioni se non come occasione per far sentire la voce del
        socialismo, nella nota di commento pubblicata dalla Squilla e scritta
        da Morgari si coglieva una posizione più problematica, espressione di una cultura per la
        quale lotta economica e lotta politico-parlamentare formavano un tutto unico e che poneva
        l'esigenza di una tattica di partito integrale.    La dura sconfitta alle urne indusse l'area
        degli ex-radicali e repubblicani, della Squilla, della Lega
        Democratica Sociale, a prendere la decisione, nel corso di una riunione tenuta
        il 15 novembre 1892, di fondare la sezione del Partito dei lavoratori di Torino e
        provincia, in attesa di concordare l'affiliazione a livello nazionale. Fu una
        forzatura di un gruppo di organizzatori che in questo modo si candidava al ruolo di
        direzione del socialismo torinese in sostituzione della vecchia gurdia.      Il quadro dirgente che guidò il
        processo di formazione del partito non proveniva dalle esperienze storiche del socialismo,
        (con l'eccezione del vecchio operaista Paolo Alessi) ma dall'associazionismo repubblicano
        e a dare il tono al nuovo partito più che la componente operaia, presente con Chenal,
        Daghetto, Racca e gli organizzatori Quirino Nofri e Morgari, fu quella quella dei giovani
        di simpatie democratiche e repubblicane provenienti dall'Università e destinati a ruoli
        di primo piano come Claudio Treves, Adolfo Zerboglio, Guglielmo Ferrero, Camillo Olivetti,
        Mario Novaro, Zino Zini, Guglielmo Ferrero, Felice Momigliano, Gina e Paola Lombroso. Fu
        un passaggio di consegne non formalizzato ma dovuto alle indubbie capacità organizzative
        di alcuni personaggi che dimostrarono di meritare un ruolo di guida nel partito e di
        saperlo condurre alla conquista di nuovi traguardi.   Il Partito esordì organizzando una serie di
        conferenze operaie a partire dal 2 dicembre e indicendo le elezioni per il rinnovo della
        Commissione Esecutiva della CdL che, sebbene fondata appena da un anno, languiva in
        difficoltà amministrative e politiche. Il nuovo gruppo dirigente restituì la CdL
        all'influenza socialista, cosa che aveva un significato particolare alla luce dei principi
        organizzativi stabiliti al Congresso di Genova, e si presentò come gruppo autonomo,
        dandosi una struttura unitaria al posto della precedente federazione di associazioni di
        mestieri e di circoli politici    Al momento dell'adesione nazionale, il 14
        gennaio 1893, i soci iscritti erano solo 80, ma già il 21 confluì la Lega Democratica
        Sociale portando un contributo essenziale di soci e di risorse con 300 iscritti, ad aprile
        1893 divenuti 400. e la Squilla cessò le pubblicazioni irrobustendo il Grido del popolo, divenuto organo ufficiale a
        livello locale. Al successo di questo giornale contribuì anche il declino del Ventesimo
        secolo di Lerda e Schiaparelli.  In
        questa fase di impianto dell'organizzazione, a prendere le iniziative (formazione di una
        commissione di propaganda, istituzione di una scuola di partito, piano di potenziamento
        del Grido) fu un gruppo composto
        dall'insegnante Battelli, dal medico Norlenghi, Morgari, Daghetto, Allasia, Zerboglio,
        Treves, Cagno......    La sezione si formò su alcune basi politiche
        e ideologiche: propensione all'analisi sociologica, influenza del  socialismo prampoliniano-emiliano; critica
        dell'ordinamento borghese più moralista che marxista. Come scriverà La Stampa alcuni
        anni dopo, il partito socialista a Torino lo fondarono un esiguo numero di
        persone, giovanissime quasi tutte, alcune colte, quasi tutte sentimentali e talune fino
        alla mobosità, agitate da sogni seducenti di ricostruzione dell'attuale società viziata
        e corrotta [12]    Per la giornata del Primo Maggio 1993 il
        partito tenne 13 conferenze in città e altre 4 in provincia, dando così l'immagine di
        un'organizzzione forte e radicata sul territorio. Il 28 maggio Morgari tenne un comizio al
        Teatro Nazionale in appoggio alla proposta di legge del deputato democratico Pietro
        Albertoni di abolizione dei dazi sui beni di largo consumo e di una tassazione fortemente
        progressiva sulle successioni. A maggio iniziò la propaganda nelle campagne attraverso
        conferenze e in giugno i quattro candidati alle amministrative (Morgari, Nofri, Alessi,
        Goria) ottenevano 1809 voti che erano anche il risultato della precedente conquista di
        un'importante istituzione quale la Cooperativa ferroviaria   Nell'agosto
        del 1893 ad Aigues Mortes in Provenza erano avvenui dei gravissimi scontri tra gli operai
        locali e quelli italiani che accettavano di lavorare nelle saline per salari più bassi,
        culminati nel linciaggio di una trentina di immigrati. Alle dimostrazioni
        antifrancesi appoggiate dal governo, i socialisti torinesi contrapposero una piccola
        manifestazione nel corso della quale Morgari fu arrestato e subì la sua
        prima condanna: dieci giorni di arresto per violazione dell'art. 434 (disobbedienza
        all'ordine di scioglimento d'una manifestazione) Al congresso di Reggio Emilia del
        settembre 1893 Morgari non fu tra i delegati della sezione torinese, che inviò Giuseppe
        Battelli e Claudio Treves Il 29 ottobre 1894 fu condannato a
        quattro mesi di detenzione e a 300 lire di multa per un discorso tenuto durante un
        banchetto a Romano Canavese. Nel novembre dello stesso anno fu sul banco degli imputati
        della pretura di Torino[13]
        con Treves e Guglielmo Ferrero per un proclama inserito nel Grido del Popolo e venne definito: «uno dei più
        esaltati caporioni del Partito in Torino» e condannato a tre mesi di confino a Morgex
        (Aosta). Per concludere, il 18 febbraio 1897 a Roma, durante il processo a 120 socialisti,
        venne condannato ad un'ammenda di 10 lire per aver protestato contro il decreto di
        scioglimento della federazione socialista romana.     Dal  1896
        Ia propaganda socialista a Torino trovò nella questione dell'amministrazione cittadina la
        leva più potente di agitazione. Di fronte ai problemi delle masse popolari  riusciva, con un «programma minimo», a
        sostanziare la fede nell'avvenire di solidi motivi immediati: socializzazion dei servizi
        pubblici (acqua, gas, telefoni, luce), abolizione dei dazi sui consumi, giornata
        lavorativa di otto ore per i dipendenti municipali, facilitazioni alle cooperative,
        istruzione laica obbligatoria e gratuita.    Per le elezioni politiche del 1897 venne enunciato
        un programma più avanzato, propagandando oltre alla grande rivendicazione democratica del
        suffragio universale la concezione della "nazione armata: facciamo
        come in Svizzera, dice Morgari che non si limita ad illustrare questo programma
        attraverso giornali e opuscoli ma insiste sulla necessità della costituzione di circoli,
        come strumenti fondamentali di penetrazione.   4.  L'elezione
        nel 1897 e il Novantotto Nel 1897 furono eletti in Italia 15
        deputati socialisti, di cui due in collegi torinesi: Quirino Nofri, ferroviere e
        cooperativista e Morgari, anche se la
        sua candidatura fu ostacolata, come traspare da una lettera a Treves: Ritengo non sia assolutamente
        necessario che i rappresentanti del Partito in Parlamento siano tutti e senza eccezione
        scelti nella categoria delle macchine da discorsi e da teoria, ma anche qualche volta, in
        quella degli uomini da lavoro e di senso pratico, atti non solo ad illustrare e a
        demolire, ma anche ad amministrare, organizzare, costruire. Disposto a ritirarmi di
        fronte a candidature operaie (...) non lo sono di fronte alle candidature di chiunque
        altro   (...) Dimostrami   che  l'interesse   del Partito esige il mio ritiro.  Se rimango convinto mi ritirerò»[14]. Il 5 maggio 1897 esordì in Parlamento con una
        interrogazione al Ministro dell'Interno sulla morte del detenuto Frezzi, un anarchico
        deceduto in circostanze sospette nelle carceri di San Michele a Firenze. Intervenne più
        volte in favore degli operai delle manifatture tabacchi; difese i dipendenti del Ministero
        della Guerra che chiedevano le 10 ore. Chiese, associandosi alla campagna promossa dai
        partiti dell'Estrema, il trasferimento di fondi dai bilanci dei dicasteri «non
        produttivi», quali l'esercito e la marina militare, a quelli dell'agricoltura e
        dell'industria. Fece
        parte della prima redazione dell'«Avanti!» e ne fu amministratore;
        ma nel gennaio del 1898
        rinunciò a
        quest'incarico per dedicarsi maggiormente all'opera di propaganda e motivò così le sue
        dimissioni: "non
        sono all'altezza; o dirò meglio alla bassezza di un incarico che esige spirito
        inquisitoriale, severità, misure di rigore. Negli impiegati e nei dipendenti di ogni
        fatta vedo dei compagni con cui l'estrema familiarità delle relazioni toglie la
        possibilità del tiraneggiare. Vedo degli uomini e dietro ogni loro pena le cause
        ereditarie di nutrizione, di nervi, di bisogno e di passione che quella deficienza
        producono e ciò mi disarma. Non sono tagliato per comandare»[15]
         Nel 1998 il tribunale di Biella lo condannò a tre
        mesi e 26 giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le classi
        sociali, in seguito alle parole pronunciate in una conferenza elettorale a Cossato nel
        1897, in appoggio alla candidatura di Dino Rondani[16],
        anche lui eletto deputato in quella legislatura.   Nell'aprile del 1898 fu presente con Andrea Costa
        e Camillo Prampolini allo sciopero di Molinella e presentò diverse interrogazioni sulle
        cause che avevano portato allo scioglimento della cooperativa locale. Pochi giorni dopo
        partì con Rondani per Palermo, per sostenere la locale sezione nella lotta contro la
        mafia crispina della zona. A Torino si ebbe inizialmente scarsa eco dello
        scoppio dei moti del maggio 1898,  tanto che
        Morgari, Nofri e Treves firmarono un manifesto della sezione in cui si lamentava «la
        lotta micidiale di Milano, che si combatte senza un chiaro obiettivo» e si invitavano i socialisti ad astenersi da
        ogni dimostrazione, a mantenere fede alla tattica evoluzionistica del partito, al
        gradualismo «che solo potrà
        portare il proletariato alla conquista del potere politico" . Il 9 maggio il generale Bava Beccaris,
        comandante della piazza militare di Milano, che per la proclamazione dello stato d'assedio
        aveva ricevuto dal capo del governo Rudinì i pieni poteri, fece trattenere Turati e
        Bissolati, presentatisi in questura per protestare contro l'espulsione della Kuliscioff, "essendovi evidente flagranza
        reato incitazione rivolta per parte entrambi", fece arrestare Andrea
        Costa e diede analoghe disposizioni per Morgari e il deputato socialista di Carpi Alfredo
        Bertesi.[17]   Lo
        stessogiorno partì per Milano ma non riuscì a trovare contatti, essendo tutti
        incarcerati o fuggiti; partì allora per Lugano per avere notizie più precise dai
        compagni là riparati. In questo viaggio l'autorità di P.S. volle vedere un legame con la
        tentata invasione di bande armate dalla Svizzera[18].
         Gli
        arresti avvengono sulla base di elenchi predisposti dalle questure, quasi mai in
        flagranza di reato e per lo più senza prove e capi d'accusa, alla ricerca dei quali si
        procede al momento del processo. Il commissario straordinario di Milano
        propose l'arresto fuori della sua giurisdizione anche di Rondani, bestia nera degli
        industriali biellesi perché animatore delle lotte operaie della Valsessera e di Nofri, organizzatore dei ferrovieri, Si scatena dunque la caccia
        benchè fosse prescritta la flagranza di reato per l'arresto di membri del parlamento.   Rondani è già riuscito a espatriare. Meno fortunati furono Nofri e Morgari. Il primo, dopo essere stato
        sorvegliato, è fermato a Torino la sera del 12.  Morgari
        il 14 maggio è arrestato a Roma essendo risultato essersi egli trovato Milano
        nel giorno nove quando avvennero tumulti Monforte, parendomi inoltre esistere flagranza a
        termini del capoverso articolo 33 codice penale essendo stato trovato deputato denaro
        giornale sovversivo "Avanti" e così in possesso oggetti che lo fanno
        presumere coautore in reato di istigazione.  A fabbricare le prove provvide la questura di Milano, con due
        voluminosi rapporti all'avvocato fiscale militare. Preoccupazione primaria del questore è
        di ribadire il carattere insurrezionale dei tumulti, l'ideologia rivoluzionaria dei
        partiti socialista e repubblicano e degli anarchici, la responsabilità determinante di
        trentadue capi socialisti, repubblicani, anarchici che coincidono con gran parte del
        gruppo dirigente nazionale e locale dei tre movimenti politici. Contro Morgari non esisteva che l'accusa di essere per Torino quasi
        quello che Turati era in Milano cioè un abile organizzatore e propagandista.  Il processo presso il Tribunale militare si
        concluse il 12 agosto con l'assoluzione di Morgari e la condanna di Turati e del deputato
        repubblicano De Andreis a 12 anni (ma furono liberati l'anno successivo)     5. L'ostruzionismo Caduto il governo Rudinì gli succedette Pelloux, che si mosse sulla
        stessa linea, anche se con una maggioranza parlamentare inizialmente allargata ai liberali
        zanardelliani e giolittiani. In materia di ordine pubblico era stato approntato un decreto che dava
        all'autorità di pubblica sicurezza la facoltà di "vietare, per ragioni di ordine
        pubblico, gli assembramenti e le riunioni politiche"; vietava di portare ed
        esporre in pubblico "insegne, stendardi o emblemi sediziosi"; dava
        facoltà al ministro dell'interno di sciogliere le associazioni dirette a
        sovvertire, per vie di fatto, gli ordinamenti sociali o la costituzione della stato";
        vietava la sciopero degli "impiegati, agenti ed operai addetti alle ferrovie, alle
        poste, ai telegrafi, alla illuminazione pubblica"; aggravava le disposizioni
        penali in materia di reati di stampa estendendo la responsabilità di eventuali
        pubblicazioni incriminate anche agli "autori e cooperatori" delle
        pubblicazioni stesse, oltre che al gerente del giornale. Si trattava di un testo assai
        lesivo della libertà e pericoloso, poiché poteva essere il punto di partenza di
        ulteriori disposizioni repressive. L'11 giugno 1899 nelle elezioni per il rinnovo
        parziale del consiglio comunale di Milano la coalizione dei radicali, repubblicani e
        socialisti ottenne 19.000 voti contro 15.000 andati alla coalizione clerico-moderata e
        il radicale Mussi, padre del giovane ucciso durante la manifestazione dell'anno precedente
        che era stata la scintilla dei moti milanesi, divenne sindaco di Milano. A Torino, a
        Firenze e in altre città, furono ottenuti dai socialisti altri successi, indicativi del
        nuovo orientamento dello spirito pubblico, oltre che della forte ripresa delle
        organizzazioni operaie. Per
        il governo Pelloux, lesito delle elezioni rappresentava
        un campanello d'allarme; nonostante ciò decise di far passare
        il decreto in seconda lettura alla Camera. L'incauta mossa ebbe come effetto non solo di
        esasperare la volontà  ostruzionistica
        dell'estrema sinistra, ma di far passare all'opposizione la sinistra liberale di Giolitti
        e Zanardelli, che fino a quel momento si era preoccupata di tenere le distanze dall'azione
        dell'estrema, suscitando perplessità e riserve persino in alcuni ambienti conservatori
        settentrionali, se non  altro per ragioni di
        opportunità politica quando non per scrupoli legalitari. Lostruzionismo, già ipotizzato dai socialisti da mesi,
        annunciato alla Camera e parzialmente applicato alla ripresa dei lavori, si esplicò,
        formalmente sempre nei limiti del regolamento dell'assemblea, con la presentazione di
        emendamenti, con continue richieste di verifica dell'esistenza del numero legale, con
        discorsi fatti al solo scopo di protrarre la discussione a tempo indeterminato e che
        appaiono una giostra di trovate, come a esempio la pseudo arringa dell'afono Bertesi, le
        disquisizioni di Morgari fatte con voce lentissima, sillabando le parole, i discorsi di
        quattro, cinque ore di Ferri e Pantano, le provocazioni alla maggioranza per suscitare
        incidenti e la conseguente sospensione della seduta. L'ostruzionismo,
        cui non partecipò la sinistra liberale, rese assai agitata l'atmosfera dell'assemblea ed
        innervosì la maggioranza governativa, non abituata a quel metodo di lotta nuovo per il
        parlamento italiano La seduta della Camera del 30 giugno 1899 all'ordine del giorno ha le
        modifiche al suo regolamento e la conversione in legge del decreto 22 giugno 1899.
        Terminato il primo appello sorge Prampolini a chiederne un secondo per l'approvazione del
        verbale, forte del regolamento della camera. Il presidente arbitrariamente rifiuta e
        mette ai voti il verbale per alzata e seduta, tra le proteste e le grida dell'Estrema,
        in un clima che diviene subito arroventato.  Quando il presidente della Camera fece preparare le
        urne per una votazione a scrutinio segreto vi fu uno scontro tra Bissalati e Sonnino, che
        vennero alle mani, mentre Prampolini Morgari e De Felice si impadronirono delle urne e
        le rovesciarono disperdendo le schede dei deputati che già avevano votato.  Nel tumulto generale il presidente dichiarò allora
        sciolta la seduta e poco dopo fu
        annunciata la chiusura della sessione[19].
        La ripresa dei lavori fu stabilita per ìl 14 novembre. Il giorno dopo il
        presidente, i vicepresidenti e i segretari della camera si riunirono per decidere quali
        sanzioni adottare contro i responsabili della rottura delle urne, ma lavvenuta
        chiusura della sessione, avendo fatto decadere lintero ufficio di presidenza, li
        pose nella condizione di non poter deliberare alcun provvedimento.A questo punto intervenne la magistratura
        a promuovere dufficio, contro Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini unazione
        penale per avere impedito alla Camera lesercizio di una delle sue funzioni. Allintervento
        del potere giudiziario non erano estranee le pressioni dellesecutivo, che sperava
        così di colpire lostruzionismo e i suoi più battaglieri esponenti La sentenza di rinvio a giudizio della corte d'appello di Roma, le
        requisitorie del P.M. e del procuratore generale, l'ordinanza della camera di consiglio
        del tribunale sono concordi   - dinanzi
        agli imputati che sostengono di essere stati costretti a difendere con la forza i
        diritti della minoranza dalla violenza esercitata dal presidente dell'assemblea
        asservito alla maggioranza e che dichiarano perciò non solo di non aver commesso il reato
        a loro attribuito, ma di aver compiuto lo stretto dovere di deputati - nell'affermare il
        principio che, essendo "sovrana la maggioranza nelle nostre istituzioni
        costituzionali, non si saprebbe capire come possa la sua deliberazione qualificarsi
        violenza e tale da consentire una reazione fuori le linee della legalità con vie di fatto
        costituenti delitto." A giustificazione poi della procedura contro quattro
        deputati senza tener conto delle immunità parlamentari, la magistratura si appella al
        tipo di reato che appartiene ai delitti contro i poteri dello stato ed è quindi
        "evidentemente d'azione pubblica", mentre lo Statuto garantisce ai membri del
        parlamento di non essere arrestati soltanto nel periodo di apertura della sessione
        parlamentare.  La risposta di Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini
        all'intervento dei giudici romani è politicamente abile: pur ribadendo che la
        magistratura non ha alcun diritto di giudicare il modo in cui si svolgono le discussioni
        parlamentari, essi dichiarano di astenersi dal sollevare eccezioni sulla legittimità e
        regolarità dell'azione giudiziaria, perché a tutti "importa per ragioni
        politiche che il processo abbia corso colla maggiore possibile sollecitudine,"
        per trasformare l'azione giudiziaria in un processo politico.
                            Perciò
        non soltanto confermano, durante gli interrogatori, i fatti attribuiti loro dall'accusa,
        ma addirittura si spingono fino all'autodenuncia allo scopo di allargare sempre più le
        dimensioni del processo politico contro il governo[20].
        A questo punto però il governo, dopo aver tentato di servirsi della magistratura per
        colpire gli ostruzionisti, è costretto a retrocedere, per evitare di divenire, dinanzi al
        paese, da accusatore accusato. L'inizio del processo presso la corte d'assise di Roma è già stato
        fissato dal presidente il 30 ottobre, gli imputati sono già in carcere, quando la vigilia
        un decreto reale annuncia per il 14 novembre l'apertura della terza sessione della
        ventesima legislatura e, col restituire loro l'immunità parlamentare, rimette in libertà
        i quattro deputati socialisti evitando nello stesso tempo il processo. Prima della chiusura della sessione parlamentare la Camera approva il
        9 luglio le conclusioni della commissione incaricata di riferire sull'autorizzazione a
        procedere contro i deputati Turati, De Andreis, Bissolati, Andrea Costa, Morgari, Bertesi,
        Rondani, Pescetti  per eccitamento alla guerra
        civile, istigazione e associazione a delinquere. Facendo proprie le argomentazioni
        dell'avvocato fiscale del Tribunale Militare di Milano e le conclusioni della
        commissione parlamentare viene data via libera all'apertura di un procedimento penale
        contro Turati, il repubblicano De Andreis, Morgari e il socialista toscano Pescetti Mentre a Montecitorio si svolgevano queste vicende,
        il paese rimaneva tranquillo: nessuna saldatura si operò fra l'azione ostruzionistica
        dell'Estrema e i movimenti popolari, sia per il senso di stanchezza e frustrazione
        lasciato dall'esperienza del maggio precedente, sia per il rapido processo di
        normalizzazione seguito alle misure repressive: molte associazioni disciolte avevano
        potuto ricostituirsi e la maggior parte dei giornali sospesi riprendere le
        pubblicazioni; già nel dicembre i condannati con pene inferiori a due anni avevano
        riacquistato la libertà grazie a un indulto e infine proprio nel giugno 1899 un secondo
        provvedimento di clemenza restituì la libertà anche ai rimanenti. Ma più importanti
        ancora erano gli effetti della fase economica ascendente che stava  ormai consolidandosi i cui benefici cominciavano a
        filtrare vedo il basso.   6. L'attività
        allinizio del Novecento (1900-1905)   Dopo la fase di repressione del biennio '98-'99, con
        il nuovo secolo si aprì un'epoca di riforme (pur con una dura gestione dell'ordine
        pubblico che degenerò in frequenti eccidi di dimostranti) e di graduale inserimento del
        socialismo nella compagine nazionale, che durò con fasi alterne per un quindicennio, fino
        allo scoppio della guerra mondiale.  Al governo presieduto da Zanardelli, con un
        programma di riforme liberali, per la prima volta nella loro storia i socialisti
        concessero il voto. Nonostante questo appoggio esterno, a seguito
        della campagna di stampa promossa nel 1903 da Ferri contro il ministro della Marina
        ammiraglio Bettolo, Morgari con il deputato liberale Franchetti propose uninchiesta
        parlamentare che  di fronte alla gravità delle
        accuse, facesse piena luce sui rapporti della Marina con le ditte fornitrici, in
        particolare la società Terni. La Camera
        respinse la proposta con una maggioranza però piuttosto esigua  (188 voti contro 149) in quanto numerosi deputati
        di destra avevano fatto confluire i loro voti con quelli dellEstrema. Giolitti si
        dimise il giorno successivo al voto, in modo da non venir coinvolto nel declino
        zanardelliano, e il governo sopravvisse pochi mesi con un semplice rimpasto.  La sua
        attività politica non si esauriva in quella parlamentare: durante lo sciopero dei
        portuali di Marsiglia de 1990, andato ad
        incoraggiare alla lotta i lavoratori italiani, venne espulso come perturbatore dell'ordine
        ed accusato da alcuni giornali italiani di essere pagato dai commercianti liguri,
        interessati ad attrarre a sé il traffico del porto francese.  A seguito del viaggio del re in Russia
        nel giugno 1903, venne annunciato alla Camera che lo zar avrebbe restituito la visita;
        egli dichiarò che "qualunque grido di acclamazione
        sarebbe stato un plauso allo knut"[21]  e che sarebbe stato accolto dai fischi dei
        sociaIisti. I riformisti ironizzarono sulla "politica del fischio"[22] e i paventati fischi fornirono il
        pretesto per rinviare una visita sgradita al governo di Vienna Sempre nel 1903, durante
        l'insurrezione in Macedonia, si recò sul posto e inviò all'Avanti! una serie di
        articoli.  Nel 1903 Zanandelli si dimise e
        subentrò Giolitti, cui il Partito Socialista, a differenza di quanto fatto nei confronti
        del governo precedente,  negò la fiducia.
        PersonaImente Morgari, che denunciò sempre i brogli elettorali di Giolitti, riteneva
        tuttavia che per l'immediato futuro soltanto un governo giolittiano avrebbe potuto
        procedere sulla via delle riforme e in quell'occasione egli scrisse: Ora che Ella definitivamente non è più
        ministro... delle elezioni. tra l'altro. posso dirigerle questo saluto senza che Ella
        dubiti della mia sincerità... lo sono e sarò sempre socialista ma il progresso va per
        gradi, ed Ella è tale uomo da personificare i! progresso per un periodo di I0 o di 20
        anni. Poi Ella sarà sorpassato se non camminerà con esso, ma vi è tempo di
        parlarne"  [23] Negli anni successivi Morgari fu presente a molte
        delle agitazioni che scoppiarono in tutta Italia: nell'aprile 1904 si recò a Torre
        Annunziata in occasione dello sciopero generale locale; in maggio fu nel vercellese a
        sostenere le rivendicazioni delle mondariso; fu presente allo sciopero dei contadini di
        Magliano Sabino e a quello dei minatori Capoliveri.  Nel settembre del 1904 in un grande comizio a
        Milano, dopo la strage dei minatori di Buggerru (Sardegna), fu lanciata la parola dordine
        dello sciopero generale nazionale; riunitoso il 14 a Roma il Comitato Esecutivo del PSI,
        composto da Ferri, Lerda e Morgari, ai quali si aggiunsero il segretario amministrativo
        Mongini, Varazzani per il GPS e Cabrini per il Segretariato della resistenza (embrione
        della CgdL). decise in un primo momento di respingere la richiesta di sciopero generale,
        che fu comunque proclamato perchè a causa di un altro eccidio  il movimento spontaneo divenne incontenibile.   7. Il propagandista Morgari e il ciarlatano Frizzi Il 1. febbraio 1900 fondò il quindicinale "Sempre Avanti!, periodico per gli umili e i
        pratici", in cui riprende i
        moduli della sua arte propagandistica già collaudata. Alla diffusione dei principi e
        degli obiettivi cui sono dedicate le prime due facciate sotto il titolo La pagina degli umili, aggiunge La pagina
        dei pratici, con la quale si propone di dare maggior mordente alla propaganda
        trattando gli argomenti dellorganizzazione e gestione cooperativa, dellamministrazione
        comunale, della condotta pratica degli scioperi. Interessante è la rubrica Se fossi
        deputato, cosa farei? che pubblica le risposte dei lettori. Morgari rivela una
        grande capacità di volgarizzatore, teorizzando così il suo metodo di predicazione: Per attrarre le masse lavoratrici è
        necessario convincerle e per convincerle occorrerà parlare in maniera da essere compresi.
        Bisogna ridurre ai termini minimi il bagaglio delle idee, renderle semplici, riferirsi a
        dei fatti conosciuti, partire dal noto per giungere allignoto, servirsi di parabole
        e fare impiego di una lingua che altro non sia che dialetto tradotto, insomma discendere
        fino al basso livello culturale delle masse lavoratrici, prenderle per mano e
        riaccompagnarle adagio adagio allinsù[24] e a  chi
        lo accusava di cadere nel semplicismo, rispondeva: «Bisogna dividere il lavoro.
        Occorrono discorsi, giornali e opuscoli per le classi colte, discorsi, giornali e opuscoli
        per le non istruite». A queste ultime egli rivolse specialmente la sua opera.  Essa fa appello agli stessi sentimenti elementari e
        profondi delloperaio, al suo spirito di giustizia e fratellanza, convincendolo che
        soffre non perché i padroni siano cattivi ma perchè il sistema sociale è ingiusto. Nel
        povero è racchiusa la figura ideale del sofferente e delloppresso, accomunando il
        muratore e il contadino, il mendicante e la ragazza di filanda. Ad essi si rivolge badando
        non solo a cementarne lunione ma a liberarli dai pregiudizi antisocialisti radicati
        negli strati popolari: rompendo con la tradizione dei primi fogli operai, l'atteggiamento
        verso la religione, la patria, le istituzioni è rispettoso: Il socialismo non
        vuole distruggere né la famiglia, né la religione, né la proprietà, né la libertà.
        Vuole procedere con mezzi pacifici, a grado a grado
i socialisti non vogliono
        spartire: mettono insieme: tutti procedono come soci». La descrizione avveniristica
        di una società di eguali è l'espressione di una fiducia positiva nell'evolversi
        dell'umanità verso un mondo di giustizia. La tecnica della propaganda ha una suggestiva presa
        sentimentale e insieme regole fisse, elementari. Procede a base di dialoghi, apologhi,
        vignette, con una didascalica convincente e meticolosa che non ignora i richiami
        letterari, alla Zola, di una descrizione veristica. Nel 1896 aveva scritto L'arte
        della propaganda socialista, pubblicata a puntate e poi raccolta in
        un opuscolo che ebbe vasta diffusione e fu più volte ristampato[25].
        E' un testo didascalico, interessante oggi solo in quanto rivelatore della  ideologia socialista "media" del tempo:
        come testi per la formazione del propagandista colto indicava "un
        riassunto delle teorie di Darwin e Spencer...Marx completerà la fondamentale triade col
        celeberrimo e indispensabile suo Capitale, il vangelo dei socialisti contemporanei",
        a cui aggiunge il "Socialisme integral" di Benoit Malon, Socialismo
        e scienza positiva di Enrico Ferri, Schaffle La quintessenza del
        socialismo, Bellamy "L'anno 2000", mentre agli operai
        consigliava la lettura dei giornali di partito. L'andata al popolo,
        l'origine
        piccolo-borghese dei quadri, è proclamata così: Sono ben spesso i migliori, codesti
        disertori della loro classe. Avrebbero tornaconto a mantenere il presente assetto sociale,
        sì mite per loro e lo combattono. Essi nel partito sono i più disinteressati. Il partito
        fu fondato dai disertori della classe abbiente e quasi ovunque è diretto da essi Sempre nel 1896 fondò il periodico
        La parola del povero. Foglio di
        propaganda popolare,  supplemento quindicinale del "Grido del
        popolo" che si pubblicava con il
        motto Lavoratori voi non siete piccini se non
        perchè state in ginocchio: alzatevi". Presentandolo scrive:È la parola che viene dalla risaia dove bruciano al sole fanciulle
        decenni e vecchi falciatori; è la parola che esce dalle fabbriche dove si consuma tanto
        fiore di giovinezza: è la parola che sale dalla perpetua notte delle miniere e dalle
        zolfatare, sepolcri di vivi: è la parola che viene dalle soffitte fredde e dai
        bugigattoli marci, dove si pigiano tutte le miserie. Conteneva l'interessante rubrica "Prime notizie dalla città
        futura" e
        nell'ultima pagina la pubblicità dell'Alleanza cooperativa torinese. Ebbe una notevole diffusione di massa tirando nei primi 23 numeri
        complessivamente più di 300.000 copie.  Sul Sempre
        Avanti! nel 1902 aveva pubblicato in appendice lautobiografia di Arturo
        Frizzi, singolare personaggio di venditore ambulante convertitosi al socialismo[26],
        che mise al servizio del partito la sua arte di oratore popolare.  Questo scritto aveva anche lo scopo di mettere
        in luce che il merito della mia riabilitazione la devo
        alla fede socialista che sempre mi sarà costante compagna nella lotta per lesistenza".
        Per il genere di vita che conduceva, la sua richiesta di iscrizione non venne subito
        accettata e Bissolati, cui si era rivolto, gli rispose sii buono, pazienta ancora, sta un po
        sotto aceto, poi in seguito rifarai la domanda, e se ti comportrai bene, come ho fiducia,
        sarai soddisfatto. Non dubiti, caro Leonida  io replicai- che farò meno male di
        quanto mi sarà possibilie per rendermi degno di voi socialisti, veri apostoli di Cristo[27]...Voi
        soli meritate tutto il rispetto perchè disinteressatamente sostenete le ragioni degli
        umili, degli offesi, degli sfruttati. Tre anni
        dopo fui accettato nel Circolo di Cremona, poi per maggior comodità, causa la mia
        posizione di ambulante mi iscrissi alla Sezione Centrale dove pagavo le mie quote. Per un atto di rispetto verso i compagni aveva
        ritenuto doveroso abbandonare Rosina, la donna che amava ma che non era sua moglie, come
        di frequente succedeva nel mondo degli imbonitori. Questo gesto fu apprezzato come
        espressione della volontà di riabilitazione ma Morgari nella nota di commento allo
        scritto volle sottolineare di non considerare come fallo
        lincontro con questa donna: ... noi
        rivendichiamo  altamente ad ogni essere umano,
        come massimo bene, il diritto alla libertà dellamore ....che prorompe fin dora
         rivoluzionariamente  nei casi come quello narrato dallautore, ma che
        avrà pratica e generale sanzione soltanto in una società socialista, allorchè luomo
        e la donna, posti su uno stesso piede deguaglianza economica, più non si
        vincoleranno che per amore, sciogliendosi quando lamore non cè più, senza
        danno materiale per alcuna delle parti, e nemmeno pei figli  Frizzi partecipò alla vita di partito sia come
        propagandista che come candidato in prima persona e collaborando alla stampa socialista
        come diffusore ed anche inviando corrispondenze a vari fogli: "La nuova terra",
        "Il popolo" di Trento diretto da Battisti, ecc.
          Intervenne al congresso di Bologna del 1904 dichiarando "di essere venuto con simpatie riformiste ma di
        essere diventato intransigente dopo il discorso di Lazzari " [28].
        Si dimise nel 1912.  Ripubblicata col titolo Il ciarlatano
        e con la prefazione del direttore della Giustizia Giovanni Zibordi nel 1912,
        la biografia conteneva una dedica a Oddino Morgari cui devo lessere
        diventato un socialista, pratico e nemico della violenza, da qualunque parte venga. Lo
        chiamo con orgoglio mio padre, sebbene di due
        anni più giovane, perchè per me egli fu tale come per molti, che dalla sua parola
        appresero la vera natura del socialismo    8.
        A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902) Nel
        1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000, superando quelli della
        Lombardia. Nel capoluogo  raccolsero 5.400 voti
        su 20.000: un torinese su quattro votava PSI.  In
        una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio 1881-1901 solo dal 28 al 29% della
        popolazione attiva, fu decisiva per i successi elettorali l'alleanza con la piccola
        borghesia impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre città non
        aveva una formazione democratica che la rappresentasse (in povincia di Torino contro i
        48.000 voti costituziionali e  14.000
        socialisti si hanno appena 3.000 voti radicali) ma votava direttamente per i candidati
        socialisti. Di
        estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati nelle elezioni. Nofri e
        Morgari erano dirigenti di quelle associazioni mutualistiche che, col loro fitto e
        ramificato tessuto, fungevano da tramite fra gli interessi economici della classe operaia
        e dei ceti piccolo-borghesi. L'equilibrio era destinato a rompersi con i primi anni del
        '900 quando la nascita della grande industria avrebbe dilatato la massa operaia.    Il 1900 si aprì, per il socialismo piemontese, con
        la celebrazione del 7. Congresso regionale, tenuto ad Alessandria il 6 gennaio in cui il
        neo-sindaco della città Paolo Sacco, relatore sulla tattica, propose l'alleanza tra i
        partiti popolari come elemento permanente della politica socialista, incontrando
        resistenze nella sezione torinese dove il riformismo era accompagnato alla chiusura ad
        alleanze per mancanza di partners. Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base
        elettorale: oltre ai due deputati (Quirino Nofri e Morgari), 17 consiglieri comunali e 3
        provinciali ed è accusato di badare essenzialmente alla lotta politica e amministrativa
        trascurando la lotta economica e di fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce di altri nove
        consiglieri comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e accademica. A
        dicembre 1900 entrarono in sciopero i fonditori, ma non bastò la
        mobilitazione compatta per quasi due mesi  e la
        solidarietà di altri lavoratori per
        aver la meglio sull'intransigenza degli
        industriali; lo sciopero
        sostanzialmente fallì, senza che  l'organizzazione
        delle leghe di mestiere si sfaldasse: tra la fine del 1901 e l'inizio del 1902, la Camera
        del lavoro conta 6500 operai organizzati, numero comunque
        modesto in rapporto al totale della massa
        lavoratrice cittadina e se confontato ai 28.000 d Milano. I dirigenti sindacali e i quadri di partito vivono con apprensione questa vigilia della prima grande battaglia dei
        lavoratori torinesi: è in gioco, a livello locale, la credibilità della linea strategica
        riformatrice e legalitaria che il PSI ha
        confermato con il voto di fiducia espresso nel febbraio 1901 al governo Zanardelli.   L'occasione
        sembrò giungere agli inizi di febbraio del 1902, quando gli operai gasisti delle due
        Società esercenti in città
        scendono in sciopero. L'agitazione è seguita dai dirigenti sindacali: nel salone dellAGO dove i gasisti si sono riuniti per decidere lo sciopero
        sono presenti oltre al segretario della Lega,
        il consulente legale dei gasisti, il
        rappresentante della CdL e quello della Federazione
        nazionale, che si dichiarò favorevole allo sciopero in considerazione dei successi ottenuti
        dalla categoria in altre città italiane. Scontata è
        l'intransigenza delle due società produttrici che hanno già dimostrato, non rispondendo al memoriale, di non
        voler trattare. Ma un elemento nuovo e non
        previsto rende problematica una favorevole
        risoluzione della vertenza: le autorità
        cittadine e governative intervengono nel
        conflitto, vanificando ogni possibilità di vittoria operaia. Il giorno 4 il prefetto rifiuta di ricevere una delegazione operaia e invia la truppa, affinché presìdi i gasometri e
        contribuisca al funzionamento dei forni. Il sindaco respinge la proposta operaia di
        continuare a prestare servizio di accensione dei lampioni nelle vie cittadine e ne incarica gli spazzini
        comunali.  Morgari inviò un telegramma di protesta a Giolitti, in cui denuncia l'operato del prefetto
           e fa presente che ad Alessandria, in un'analoga situazione, non vi
        era stato l'invio della truppa e, anche a Genova, dove inizialmente erano stati mandati dei soldati, questi erano stati subito
        ritirati. È di alcuni giorni dopo un secondo telegramma di protesta di Morgari, che dice fra l'altro: Questo non si chiama
        garantire la pubblica sicurezza, ma parteggiare per il capitale contro il lavoro. Chiedo
        che si ordini al locale prefetto il ritiro dei militari o la sua immediata intromissione
        per risolvere la vertenza. Anche i consiglieri comunali socialisti, nella
        seduta del 12 febbraio, protestarono
        vivamente contro il comportamento del sindaco facendo presente che le società, legate da
        una convenzione con il comune, sono da considerarsi
        inadempienti avendo rifiutato di prendere in
        considerazione le richieste operaie. Nel
        frattempo le due società hanno invitato, pena il licenziamento, le maestranze a
        presentarsi al lavoro. L'appello cadde nel vuoto, ma ormai la situazione è compromessa L'intervento dei soldati e il reclutamento di crumiri ha riportato
        la normalità nel servizio d'illuminazione. Il 19 febbraio la proposta della commissione degli operai gasisti che la
        soluzione della vertenza fosse demandata a un
        collegio arbitrale fu rifiutata, facendo  giungere al culmine l'indignazione della massa operaia torinese. Nella notte del 20-21 sono diffusi manifestini inneggiami
        allo sciopero generale, nella mattina del 21 vi sono alcune astensioni spontaneamente dal lavoro, nel pomeriggio il numero degli scioperanti aumenta. Un
        gruppo di dimostranti è caricato dalla truppa e si effettuano alcuni arresti, alle
        17 parlano alla folla Actis, Casalini e Morgari, che
        è  il più deciso nell' invitare allo
        sciopero generale cittadino In serata, la commissione esecutiva della CdL
        redige un manifesto, in cui prende
        atto della nuova situazione Non
        tumulti, non violenze; la classe operaia dimostra la sua forza semplicemente con l'astensione dal lavoro. Essa non ritornerà alle
        officine se non quando gli operai gasisti avranno
        ottenuto soddisfazione.
        I giorni seguenti sono caratterizzati da scontri tra
        dimostranti e forze dell'ordine, ai quali fanno seguito arresti. Allo sciopero non hanno aderito tutti i lavoratori, ma
        alcune avanguardie sono decise a continuare la lotta. Per cinque giorni, 10.600
        operai e 5.000 operaie si astengono dal lavoro e sfilano per le vie cittadine,
        anche se il prefetto ha proibito ogni pubblica
        manifestazione.  Fu ancora Morgari nel pomeriggio del 22 febbraio a
        parlare alla folla invitandola a
        continuare la lotta, dopo che nella mattinata aveva guidato un corteo di protesta sotto il
        municipio . Nel frattempo il sindaco convince le
        due società ad accettare l'arbitrato, ma solo previa  accettazione del principio dell'illicenziabilità
        dei crumiri, ciò che rappresenta per i gasisti una resa senza condizioni.
        Nonostante ciò, la CdL e la dirigenza socialista rivolgono un appello ai lavoratori
        affinchè riprendano il lavoro, in quanto con il loro sciopero avrebbero già vinto una
        grande battaglia. Anche Morgari, fino all'ultimo deciso sostenitore della lotta, firma il
        manifesto. In seno alla dirigenza socialista del partito e della CdL è ancora una volta
        prevalsa la moderazione. Il 27 febbraio
        in un'adunanza all'A.G.O. Morgari cercò di spiegare il suo atteggiamento e il perché
        del manifesto che invitava al ritorno al lavoro, ma venne apostrofato violentemente da un
        anarchico che lo accusò di aver prima trascinato gli operai nello sciopero generale,
        rovinandoli, e di esser si poi ritratto e concluse invitando gli operai a diffidare da
        simili «capi» che cercavano piedistalli a spese degli operai e che sarebbero domani
        diventati tiranni; Morgari reagì  con un
        ceffone. Nei giorni successivi, coperto di  lettere  di biasimo, pubblicò sul Sempre Avanti! un articolo
        amaro ma pacato. In esso affermò di aver agito secondo coscienza .  Il 1 marzo il lodo obbliga le due società a riassumere solo 224 dei
        658 scioperanti . Il bilancio dell'agitazione non può esser più negativo: alla mancata
        riassunzione si aggiungono i 200 procedimenti penali degli arrestati.   9. La Segreteria della Camera del lavoro e le lotte del 1906  Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con
        la ricostruzione a metà febbraio 1900 della Camera del lavoro, con un graduale processo
        di riorganizzazione delle leghe. Alla direzione
        della Camera del Lavoro, i cui iscritti scendono dai 5500 iniziali a 3500[29],
        è nominato nellaprile 1902 il tipografo Camillo Rappa, che resta in carica fino
        alla primavera del 1906,  ed è quello della
        sua segreteria un periodo di ripresa (funestata però da
        scontri come quello del 17 settembre 1904 dove rimane ucciso loperaio Garello): già a metà del
        1903 gli iscritti sono 8000, mentre le sezioni sono salite da 36 a 58; tra queste fanno
        spicco quella dei tipografi con 528 soci, dei ferrovieri con 1848, dei metallurgici con
        649. Queste tre sezioni comprendono più di un terzo di tutti gli organizzati. Dopo la lunga segreteria Rappa, la direzione della
        Cdl viene affidata nella primavera del 1906 a Morgari che, tra contrasti di
        corrente e conflitti con gli anarco-sindacalisti assunse un atteggiamento più conciliante
        cercando di trovare accordi con le controparti, coadiuvato dal sindaco di Torino, il
        giolittiano Secondo Frola. Il 3 maggio 1907
        nella discussione sulla relazione morale e finanziaria, la C.E. può affermare che i soci
        sono aumentati da 8768 a 15626 e le sezioni da 68 a 110 il grande numero di soci
        coincide con la presenza dellon.Morgari alla segreteria per limpulso da lui
        dato allordinamento interno e allazione esterna. La CdL può andare
        orgogliosa. Anche le entrate sono aumentate da 8643 L. a 17.608    Durante la
        sua segreteria la volontà di lotta delle masse
        operaie torinesi pone comunque la dirigenza sindacale di fronte alla realtà di un movimento rivendicativo di un'ampiezza mai prima
        conosciuta. Il 30 aprile  1906 le 800 operaie del cotonificio Bass richiedo alla
        direzione la riduzione dell'orario di lavoro da 11 a 10 ore. I dirigenti della CdL, considerata la disorganizzazione della categoria, sconsigliano ogni forma di lotta. Nonostante ciò
        il 3 maggio  le cotoniere della Bass
        scendono in sciopero, seguite il giorno seguente da quelle degli altri cotonifici,
        lanifici e maglifici  Il 5 maggio lavoratori
        dei due sessi del settore tessile sfilano per le vie cittadine. La CdL, pur dichiarando
        d'essere contraria allo sciopero, non si esime dall'esprimere solidarietà alle
        scioperanti e rende pubbliche le richieste operaie    Lunedì 7 maggio la schiera delle scioperanti risulta ingrossata dagli operai
        di molti stabilimenti meccanici e chimici, che vogliono dimostrare solidarietà alla categoria in lotta. Come ormai è
        tradizione, gli scioperanti si assiepano davanti alla CdL; il lancio di sassi da
        parte di alcuni ragazzi provoca la reazione della forza dell'ordine che, guidata dal commissario di Pubblica sicurezza entra nel
        cortile dellAGO, sparando sulla folla. Il bilancio è pesante: un morto, 8
        feriti, 22 arrestati. I dirigenti camerali e i del Partito decidono all'
        unanimità la proclamazione dello sciopero generale; è anche deciso di richiedere
        lo sciopero generale in tutta Italia: si effettuerà a Milano, Bologna, Firenze e Roma.  II giorno 8
        decine di migliala di lavoratori assistono ai comizi dei massimi esponenti socialisti.
        Come nel 1902, in occasione dello scopero dei gasisti, i toni più accesi e battaglieri
        provengono dai discorsi di Morgari. Il 9 maggio, dopo un'imponente manifestazione
        popolare, Morgari parlò esaltando la forza nuova del popolo che si era venuta
        manifestando accanto alle tradizionali potenze dello Stato e della Chiesa, della banca e
        dell'industria.     Il 9 la CdL dichiara la cessazione dello sciopero. Già il 7 sera infatti, gli industriali
        tessili, convocati nuovamente dal sindaco, avevano deciso di accettare le richieste
        operaie. L'8 il prefetto aveva inoltre assicurato che
        sarebbe stata aperta un'inchiesta. Gli
        avvenimenti di Torino hanno una vasta eco a livello nazionale e uno strascico
        parlamentare; i deputati socialisti  avendo
        visto bocciare la proposta intesa a scongiurare nuovi
        eccidi rassegnarono le dimissioni.     Quasi tutte le categorie richiedono, spesso
        ottenendoli, miglioramenti salariali e normativi; in alcuni casi non è nemmeno
        necessario il ricorso allo sciopero. La favorevole congiuntura economica consiglia gli
        imprenditori a non rischiare un arresto prolungato della produzione, che causerebbe una
        perdita di profitto. II 12 maggio gli operai carrozzieri presentano un memoriale
        contenente la richiesta di un trattamento salariale e normativo analogo a quello delle
        fabbriche di automobili. Il 17 la carrozzeria Rothschild concede le 10 ore, l'aumento
        della paga delle ore straordinarie e i 10 minuti di tolleranza sull'entrata. Il 19 maggio
        1906, nei locali del municipio, i padroni delle principali sartorie cittadine e una
        rappresentanza delle operaie del settore raggiungono un accordo, che prevede
        l'accoglimento di alcune delle più significative richieste del memoriale presentato dalla
        Lega sarte e modiste.     Le uniche categorie a non ottenere sensibili
        miglioramenti appartengano a quei settori produttivi che non hanno potuto beneficiare
        della favorevole congiuntura economica. Il 15 febbraio
        1907 viene sostituito da Alessandro De Giovanni, di tendenza sindacalista-rivoluzionaria,
        perché chiamato alla segreteria nazionale del PSI.  Se durante la
        sua direzione gli iscritti sono saliti, scendono a 11.570 nel 1909, a 9.009 nel 1910 e
        9.392 nel 1911 e a 9.117 nel 1912 .   10. La sezione socialista torinese nel primo
        decennio del  '900 
           Al congresso di Imola del 1902, che vide prevalere i riformisti, i
        quattro delegati della sezione torinese votano per la mozione  Ferri-Labriola, senza ricadute immediate sulla
        sezione in maggioranza (deputati dei collegi cittadini, consiglieri comunali, commissione
        esecutiva della CdL) riformista; solo agli inizi del 1904 l'acceso dibattito fra le
        tendenze tocca anche il capoluogo piemontese. La calorosa accoglienza riservata dai
        socialisti torinesi a metà febbraio, ormai in clima precongressuale, a Enrico Ferri  è  un'  anticipazione della scelta di campo della sezione   È l'avv. Momigliano, leader della corrente
        intransigente, a illustrare, in un articolo di fondo del «Grido del Popolo», la
        posizione politica della sezione: non dovrà essere consumata alcuna scissione, ma  non dovranno esserci cedimenti nel senso che il
        Psi non deve diventare un partito possibilista
        accodato a una frazione della democrazia.  A Bologna, sede dell'8. Congresso ( 8-11 aprile) dei sette delegati torinesi, sei si pronunciano nella prima votazione a
        favore dell'odg presentato da Labriola, mentre uno si astiene. Nella seconda, tutti i voti
        dei delegati confluiscono sull'odg
        presentato da Ferri (alleato di Arturo Labriola) che prevale e diventa segretario.    Morgari
        al congresso di Bologna (1904) era stato firmatario dell'OdG intermedio, presentato prevalentemente da organizzatori
        sindacali come Rigola, Cabrini, Reina, che si poneva tra i rformisti e la coalizione
        ferriana-sindacalrivoluzionaria. Preso atto della
        divergenza politica, rimette il suo mandato al collegio che lo ha eletto. I socialisti di
        Borgo Vittoria gli inviano  un telegramma in cui respingono le dimissioni e salutano in
        lui « il valoroso soldato del Partito socialista »     Già nel 1902-1903
        toni fortemente anticlericali
        avevano soppiantato il vecchio linguaggio usato dai primi
        socialisti nella loro opera di «apostolato laico».  Ora
        che gli intransigenti hanno conquistato maggiore
        spazio nel quadro organizzativo del partito, la propaganda anticlericale tende a
        uscire dalle sale di conferenza dei circoli culturali per divenire momento di
        mobilitazione. Il 22 maggio, giorno della tradizionale processione di S. Bernardino in
        Borgo S. Paolo, sono indetti dai socialisti un corteo e un comizio anticlericali. Benché
        il prefetto Guiccioli non autorizzi la manifestazione, un gruppo di socialisti si dirige
        verso il luogo dove si deve tenere in forma privata il comizio. Le truppe caricano il
        corteo e arrestano Francesco Barberis, portavoce della corrente intransigente torinese. II 2 giugno 1904, nel 22°
        anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, è
        organizzato dai socialisti e dai repubblicani un grande corteo-comizio. Gli oratori
        ufficiali sono il repubblicano avv. Gorini e l'avv. Leandro Allasia, un esponente dell'ala
        riformista del Partito socialista. Riformisti e
        rivoluzionari trovano nell'anticlericalismo un
        momento unificante di lotta.    Dopo
        il referendum del novembre 1905 sulla creazione di un'azienda municipalizzata per l'energia elettrica, in cui i suffragi dei socialisti risultarono decisivi per
        il successo della proposta formulata dalla giunta del giolittiano Frola, si crearono
        condizioni per una convergenza su punti importanti:
        dalla riforma delle imposte, all'abolizione
        delle «spese di lusso», al passaggio al comune di alcuni servizi pubblici; dall'attuazione di una serie di
        provvedimenti annonari che tenessero basso il costo dei viveri, a una politica di
        acquisizioni edilizie pubbliche. Da allora sino al 1911, quando in coincidenza col
        dibattito sull'allargamento della cinta daziaria tornarono sulle posizioni critiche dei
        liberisti radicali, le ragioni del dialogo prevalsero su quelle dell'antagonismo. Morgari
        nel 1906 in occasione delle elezioni per il Congresso propone la mozione integralista
        che conquista la maggioranza della sezione torinese perché, pur basata su posizioni
        riformiste, offre la possibilità di mantenere una posizione intransigente sul tema delle
        alleanze elettorali che a Torino, per mancanza di partiti affini, non si pone neppure,
        diventando una sorta di mito radicato ed elevato a teorema politico. Tale
        facile estremismo riesce al Congresso provinciale a strappare, nonostante la loro
        aumentata influenza, la maggioranza ai sindacalisti-rivoluzionari. Su 28 rappresentanti
        delle sezioni, 14 votano l'ordine del giorno integralista e 11 quello rivoluzionario. Non
        diverso è l'esito preelettorale nella sezione cittadina, dove il gruppo sindacalista non
        è riuscito, nonostante abbia condotto una campagna suffragata dai successi dei lavoratori
        per i metodi dell'azione diretta, a trasformare la natura, la composizione sociale e
        l'orientamento del partito in città.    11. Alla segreteria del PSI. LIntegralismo
        ( 1906-08)    Morgari si affermò sul piano nazionale in occasione
        del 9. Congresso di Roma dell'ottobre 1906, allorché assieme al socialista umbro
        Francesco Paoloni[30]
        propose la mozione «integralista». In due articoli  dal
        titolo Verso il congresso nazionale socialista, pubblicati sull'Avanti! del
        29 e 30 settembre 1906 spiegò il significato della formula, consistente in una «sintesi
        dell'anima possibilista e dell'anima avvenirista del socialismo, dell'idealismo e della
        praticità, dell'azione diretta e dell'azione rappresentativa, dell'antistatalismo e  della legislazione statale, della rivoluzione  e della legalità, del sindacalismo e
        dell'antisindacalismo, dell'intransigenza e dell'affinismo».  Nella seduta del
        7 ottobre ribadì: «Vi dico che
        integralismo, nella sua espressione più
        intima e più caratteristica, è tutto qui, nel procurare che nella coscienza del
        militante socialista
        coesistano armonizzate la nozione limpida del divenire della società futura nel grembo
        stesso della società
        futura  da affrettarsi colle riforme dirette e legislative  e la nozione
        dell'assetto ultimo, cercato
        quasi con desiderio nostalgico, per raggiungere il quale la società umana dovrà verosimilmente
        attraversare una catastrofe causata da un « alto là » della borghesia stancata di concessioni»[31]. Non capiva come ci si potesse scontrare in lotte
        interne, quando tanto ancora rimaneva da fare a chiunque avesse a cuore la condizione
        proletaria e volesse veramente agire in favore dei diseredati. Poiché la situazione non
        era ancora matura per la rivoluzione, conveniva intanto operare quotidianamente con mezzi
        legali. Ogni socialista, doveva essere contemporaneamente riformista e rivoluzionario. Gli
        uni e gli altri voleva colpire quando scriveva che i riformisti hanno obliato lo spirito e i fini
        dell'azione socialista mentre i rivoluzionari si arrestano nel culto infecondo delle
        supreme idealità marxiste La
        mediazione era la sua vocazione autentica ed anche un ritorno alle origini,
        all'ispirazione prampoliniana dei tempi eroici, un procedimento mentale per cui il
        «propagandismo» e l'appello ai sentimenti appaiono in grado di risolvere i termini
        politici delle questioni. «L'integralismo per lui non era stato un
        espediente tattico per carpire una vittoria in congresso, ma uno stato d'animo. Ed è
        stato d'animo, quello di Morgari, di chi ama il suo partito in sincerità e in umiltà
        perché esso è il partito della redenzione degli oppressi»[32]. L'integralismo rappresentò nel 1906-8
        l'affermazione del corpo centrale
        del partito, fondamentalmente unitario, che ricercava nei valori propagandistici e pedagogici quella identità
        del socialismo italiano, che la lotta tra le tendenze
        sembrava minacciare. Il progetto di rilancio del
        Partito su basi intransigenti e classiste,
        nella lotta contro le spese improduttive e le spese militari, il latifondo e il sistema fiscale, un
        atteggiamento polemico nei confronti del blocchismo popolare, una difesa
        dell'istanza partitica e dell'esigenza primaria della
        propaganda per la formazione della «coscienza
        socialista» erano istanze sedimentate  nella
        tradizione socialista italiana.  Il partito, paralizzato dai dissidi prima del 1906, si chiudeva in una posizione sostanzialmente difensiva, dì
        raccoglimento. Più che alla ricerca di una
        politica nuova, con caratteri propri, l'integralismo intendeva correggere, amalgamare, insomma integrare ciò che di
        positivo fosse presente nelle tendenze opposte.
        In pratica confermava la necessità
        dell'azione quotidiana di organizzazione e di propaganda, la lotta parlamentare
        per le riforme, lo stretto collegamento tra l'istanza politica
        e quella di resistenza, il fine della socializzazione come obiettivo unitario contrapposto al corporativismo economico e
        settoriale. Erano questi per lo più obiettivi presenti anche nel riformismo. Tipici
        degli integralisti semmai furono il più accentuato richiamo alla coscienza di classe, la concezione
        «organicistica» del proletariato che favoriva una sottolineatura più marcata dei valori
        del collettivismo, il ruolo più incisivo
        attribuito alle organizzazioni economiche e al
        partito, la rivendicazione di una più
        sostanziale autonomia del partito che escludeva alleanze sistematiche, la forte diffidenza nei confronti della
        borghesia, con la quale avrebbe anche potuto stringere di volta in volta accordi limitati, ma sempre nella consapevolezza che essa
        rappresentava l'avversario di classe. Al
        congresso di Roma del 1906 l'odg maggioritario ottenne 26.500 voti su 34.000 con la
        confluenza dei voti dei riformisti e l'adesione del Ferri, ex alleato di Labriola, che
        diede alla formazione del « blocco integralista unitario » il significato di «un punto
        di arresto contro la deviazione sindacalista e il catastrofismo». 
            Al congresso, che lo nominò segretario politico,  il
        tema della propaganda-organizzazione fu ripreso più volte. In primo luogo fu deciso di
        istituire «segretari regionali» ai quali fosse
        demandato il compito della organizzazione politica ed
        economica: era investito così il punto
        importante della questione meridionale, e cioè l'esigenza di consolidare la struttura politico-organizzativa del
        movimento operaio e contadino del Sud, nel quale
        si individuava il protagonista principale della
        lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito.
        Significativa risultò la composizione della nuova direzione, che teneva conto non solo del criterio della omogeneità
        politica, ma anche del principio della rappresentanza regionale. Riuscirono
        eletti numerosi dirigenti di organizzazioni di
        resistenza, di federazioni di mestiere e di associazioni: da Quaglino (Federazione
        edilizia) a Rigola (tessili), a Del Buono e Marzetto (CdL di Firenze e Vicenza).       Ciò rifletteva il
        peso che avevano quadri e dirigenti sindacali che, pur essendo su posizioni sostanzialmente riformiste, rivendicavano due
        esigenze fondamentali: l'unità del movimento di classe e la diffidenza verso il parlamentarismo. Facevano parte
        della Direzione i rappresentanti regionali, il direttore dell'« Avantil » e un delegato
        del Gruppo Parlamentare, che poi a lungo sarebbe stato
        proprio Morgari. La numerosa direzione appariva
        assai più rappresentativa delle precedenti  per la sua espressione regionale,  Vi era l'impegno a ricondurre all'interno
        del partito tutte le componenti  sindacali, cooperative, politiche  del
        movimento socialista, ma di per sé non rappresentava una soluzione per una effettiva
        direzione.    Le aree di
        diffusione dell'integralismo rimanevano nel Piemonte, che dava circa il 22% dell'intera
        forza della componente. Una buona presenza gli integralisti avevano in Emilia-Romagna,
        dove era attestato oltre un terzo (36,6%) della forza complessiva della corrente. Vero punto di forza dell'integralismo era la
        Toscana. Erano integralisti Roma e il Lazio (52,61%). Nel Sud e nelle isole il fenomeno
        integralista era pressoché sconosciuto. Da rilevare la buona presenza integralista nei
        centri urbani dell'Italia centrale, e in genere nelle grandi città (dove
        raggiungevano il 55,4%). Erano infatti integraliste Torino, Firenze, in parte Roma. L'integralismo rappresentò una meteora abbastanza
        breve, ed entrò rapidamente in crisi, impari a quegli obiettivi di ricomposizione
        unitaria del movimento socialista che si era prefissi: come
        posizione di raccoglimento e come istanza unitaria favoriva il processo di
        riorganizzazione e consolidamento del riformismo e di sfaldamento della possibile alternativa
        sindacalista rivoluzionaria. I rapporti di forza all'interno del Partito furono decisamente
        modificati a vantaggio del primo dopo la scissione dei sindacalisti rivoluzionari nel
        1907.  Allora agli integralisti venne meno il
        ruolo mediatore che si erano attribuiti. L'unitarismo del Morgari non poteva certo condizionare efficacemente
        l'iniziativa politica dei riformisti, i quali del resto con la costituzione della CGdL
        avevano riassorbito molti quadri sindacali, Altobelli, Bussi, Garibotti, Quaglino, Rigola che al congresso di
        Roma si erano pronunciati per l'integralismo. Al congresso
        di Firenze del 1908 mentre molti della sua corrente si
        presentano con i riformisti nella concentrazione socialista che prevale con
        18.000 voti, ribadisce di voler mantenere la
        mozione integralista (che ottiene 6.700 voti pari al 21%) anche se
        sostanzialmente  uguale nella lettera ma non
        nello spirito,  mentre i voti
        ottenuti dall'odg Pescetti al congresso di Modena del 1911 sul quale si riversarono i
        consensi di molti ex-integralisti furono 1070 pari
        al 5%     12. La direzione dell'Avanti! (1908) e un primo
        "dialogo" coi cattolici Nel gennaio 1908 Enrico Ferri, avendo accolto l'invito a tenere delle conferenze nel Sud America, aveva
        rassegnato le dimissioni da direttore dell'«Avanti!»;
        gli subentrava Morgari, nella sua qualità di  leader
        della corrente che era
        prevalsa al congresso. Il più importante centro di
        propaganda e di orientamento politico rimaneva in mano agli integralisti.
                   La direzione di Morgari era
        chiaramente transitoria: egli stesso, nell'accettare la carica, avvertì che l'avrebbe
        tenuta fino al successivo congresso; nel comunicare ai lettori di aver assunto la
        direzione del giornale, rassicurò coloro che temevano che I'Avanti! nelle sue mani divenisse un organo di
        esposizione elementare del socialismo: «Accettando di portare una croce che io
        non ho sollecitata né ambita, mi sono fatto giaculatoria del principio secondo cui il
        portavoce dei malvestiti deve camminare in redingote e cilindro".   Direttore dal 22
        febbraio al 30 settembre 1908, quando gli succedette Bissolati  avendo  i
        riformisti riconquistato la direzione del partito al congresso di Firenze, la  redazione disponeva di collaboratori di alto
        livello come Bonomi, Francesco Ciccotti, Galantara, Paoloni, Podrecca. Durante la sua direzione
        condusse una campagna per la legalità nelle manifestazioni: approfittando di una sua
        assenza, Francesco Ciccotti aveva pubbicato sull'Avanti! del 3
        aprile un violento editoriale per leccidio in occasione di una manifestazione,
        suscitando  la reazione di Bonomi che
        diede le dimissioni ritirandole solo quando Morgari prese le sue difese, conducendo una
        campagna di stampa, suggestivamente intitolata prendere il toro per le corna
        (cioè i due corni del dilemma: legalità o illegalità, da cui il proletariato-toro era
        dilaniato) che prendeva decisamente posizione contro i cortei che degeneravano in
        manifestazioni violente.  Pubblicò sull'Avanti una lunga lettera che due giovani  usciti dall'esperienza della Lega democratica
        nazionale e avvicinatisi ai socialisti cristiani, Guglielmo Quadrotta[33]
        e Felice Perroni, gli indirizzavano e che si concludeva con una domanda esplicita  : « A chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file del
        Partito socialista italiano? » La lettera[34]
        suscitò una polemica nella quale intervennero, tra gli altri, Bonomi, Turati,
        Zibordi, Paoloni, sostenendo diversi punti di vista, ma questa
        apertura al mondo cattolico venne sconfessata al congresso di Firenze con l'approvazione
        dell'OdG Bussi-Vella che negava ai cattolici l'entrata nel PSI.  Morgari, che pure condusse
        dure battaglie contro la Chiesa[35]
        e sostenne la battaglia per
        l'abolizione dell'educazione  religiosa nelle
        scuole condotta da Bissolati, era avverso all'estremo anticlericalismo.Durante la
        sua direzione scomparvero rubriche come la cloaca clericale e gli attacchi
        gratuiti alla Chiesa.[36]   13. L' attività nel Parlamento e nel
        Paese 1907- 1911     Nelle votazioni per il Congresso di
        Firenze del 1908 i riformisti proclamarono l'opportunità di dare la scalata allamministrazione
        dello Stato e dei Comuni e su tale base stesero il nuovo programma minimo che comprendeva:
        migliore legislazione del lavoro (disciplina giuridica dei contratti, estensione delle
        pensioni, leggi sulla maternità), abolizione del dazio sul grano, laicità della scuola,
        opposizione agli incrementi sulle spese militari, suffragio universale e suoi corollari
        (proporzionale e indennità ai deputati), concordandolo con quanti al Congresso precedente
        si erano presentati integralisti.  Morgari non volle confluire nella
        nuova corrente, rinunciare alla vecchia bandiera, e ripresentò la mozione anche se sostanzialmente  uguale nella lettera ma non nello spirito  in
        cui accentuava le sue riserve all' appoggio dei socialisti al governo. Neppure
        a Torino nel dibattito precongressuale l'azione di Morgari era valsa a sottrarre la
        maggioranza dei suffragi a quegli esponenti «sindacalisti riformisti», che, sotto la
        guida di Rigola, esercitano un predominio incontrastato sulla sezione dopo
        l'allontanamento dei sindacalisti rivoluzionari. Anzi, risultano eletti nella direzione
        del partito, col Rigola, il Reina e il Quaglino, i due piemontesi che gli sono più
        legati. E il Grido del Popolo può
        cosi inorgoglirsi che «alla testa del Partito
        socialista siano uomini nostri, cresciuti alle nostre lotte, sperimentati alle nostre
        prove», e condannare la «distinzione capziosa» di Morgari il quale lascia frattanto
        la direzione dell'«Avanti!» a Leonida Bissolati.  A Torino si continuerà per tutto il 1909 a correre
        ancora molto lungo questa strada. La propaganda del partito sul piano politico generale
        non conosce più che la solita nota anticlericale, mentre da un punto di vista teorico
        l'identificazione di «socialismo» con le più immediate riforme della legislazione sociale è
        ormai totale. Dopo la vittoria riformista al congresso di
        Firenze del 1908, all'interno dell'area si delineò la
        spaccatura tra una componente (i dirigenti confederali insieme con Bissolati e Bonomi) che
        proponeva la creazione di un «partito del lavoro» privo di connotazione ideologica e aperto a tutte le componenti del
        movimento economico del proletariato, e la  sinistra
        riformista di Modigliani e Salvemini.  Al successivo congresso di Milano dell'ottobre
        1910, in cui Turati riesce a ottenere un'ampia maggioranza con la confluenza della destra
        bissolatiana sulla sua mozione che ottiene 13.000 voti, Morgari si accosta ai riformisti
        di sinistra Modigliani e Salvemini presentado insieme a loro una mozione intermedia
        che raccoglie  4.500 voti (quella intransigente
        presentata da Lazzari ne raccoglie 6.000). rimanendo quindi sempre al centro dello
        schieramento.  Morgari, che alle elezioni del 1907 era stato rieletto, votò nel 1909 in favore del governo Sonnino;
        essendo il voto in contrasto con I'opinione della direzione del Partito.  diede le dimissioni da propagandista. Nel 1909, quando
        si cominciava a temere la guerra, presentò alla Camera il seguente OdG: «La Camera da incarico ai governo di
        farsi iniziatore di una conferenza per l'arbitrato e per il disarmo». Sempre nel 1909 si tornò a parlare di una. visita
        dello zar in Italia. Il Partito Socialista assunse di nuovo un atteggiamento di aperta
        ostilità e Morgari riprese la sua protesta attraverso discorsi, articoli e opuscoli. Fu
        creato un "Segretariato nazionale antizaresco" e quando il 23 ottobre lo zar giunse a Racconigi, Morgari riuscì
        a mantenere la promessa e a   fischiare  l'ospite: il suo gesto entrò nella leggenda. Le
        relazioni con gli emigrati socialisti russi di varie tendenze molto numerosi sulla Riviera
        e a Capri, iniziate almeno dal 1903, si andarono infittendo: è del 18  maggio 1908 una sua interrogazione  su
        sollecitazione dello scrittore Gorki - su pacchi di giornali russi fermati alla dogana cui
        Giolitti rispose prontamente. In effetti l'Italia venne usata da Lenin in quel periodo
        come tappa intermedia per introdurre stampa sovversiva in Russia.   I
        deputati socialisti si andavano sempre più orientando verso il ministerialismo. Morgari,
        allora segretario del gruppo parlamentare, vi si oppose ripetutamente. Il 10 maggio 1910
        l'Avanti! pubblicò una sua lettera: "Perchè ognuno assuma le proprie
        responsabilità": "Io che odio più di ogni altra cosa al mondo
        I'ipocrisia dovunque l'incontro proruppi quando mi accorsi che la mia tesi veniva elusa
        perché molesta...Tace anche I' Avanti... Non protestai prima e tutte le volte, e son
        decine, che non vidi registrato il mio pensiero nei resoconti delle adunanze del gruppo
        socialista. Ora non sono più disposto a farlo. Ho lavorato per  degli anni per spegnere Ia disgustosa ed esiziale
        lotta intestina delle tendenze, sopportando le beffe dei sapienti e dei saccenti... Ora
        scongiuro gli amici dell'Avanti! di non costringere proprio me a riaccenderla  Alle elezioni suppletive del marzo 1910 dopo l'opzione di Nofri per
        il collegio di Siena, la sezione torinese, contro il parere dei riformisti favorevoli alla
        presentazione di Rinaldo Rigola, scelse la candidatura di protesta del giornalista
        triestino Todeschini che fu battuto dal candidato costituzionale. Questa sconfitta non
        pregiudicò il rafforzamento in seno alla sezione del gruppo intransigente guidato dal
        professor Temistocle Jacobbi che, eletto segretario politico nel novembre 1909, diventò
        nel 1910 anche direttore del «Grido del Popolo». A Torino la situazione più critica per
        il partito si verificò alla Camera del lavoro: a luglio 1910 i socialisti furono messi in
        minoranza in seno al consiglio generale. La commissione esecutiva, controllata dai
        socialisti, rassegnò le dimissioni dopo aver richiamato alla disciplina di partito gli
        iscritti. Il consiglio generale, convocato il 7 agosto, decise di nominare
        transitoriamente una commissione di studio con lo scopo di preparare il futuro congresso
        camerale ma dei cinque eletti solo due furono
        socialisti.  La sezione torinese tornò nel 1910 a identificarsi colle posizioni
        di Morgari, facendo confluire i propri voti sulla mozione Modigliani al congresso di
        Milano dell'ottobre.  L'indirizzo politico della sezione venne
        premiato sia alle elezioni politiche che a quelle
        amministrative da un aumento costante di suffragi.  I dirigenti locali non si curavano di definire criteri rigorosi di discriminazione  appagandosi
        del generico appoggio dall'esterno alle iniziative del
        partito e della Camera del lavoro, o della sporadica collaborazione giornalistica su soggetti
        disparati. Oddino Morgari sintetizza in una lettera del  25
        agosto 1913 a Gustavo Balsamo-Crivelli tale concezione dei rapporti con i fuorusciti della
        borghesia: [...] troppi intellettuali  e tu ne sei davvero uno  ci
        lasciarono da qualche anno in
        qua: e [...] deve possedere un nocciolo morale di natura profondamente buona e
        disinteressata l'uomo che al par di te rimane dopo vent'anni nelle nostre file quando per
        nascita, per ingegno aristocratico, per l'ambiente in cui vive e per il quale come
        letterato scrive, per tanti esempi che ha dinnanzi di uomini che perdettero l'antica fede,
        per le diffidenze che sono intorno ai così detti professionisti nel campo operaio, per la
        natura rozza del movimento proletario, per i non rari suoi eccessi, per non avere avuto
        gl'incarichi a cui il suo valore lo indicava  bene potrebbe umanamente essere
        tratto a distaccarsi da noi"[37]   14.
        Con Salvemini per la questione meridionale Salvemini aveva
        presentato al congresso di Milano del 1910, come già a quello precedente di Firenze, la
        prima piattaforma politica fondata non su schemi dottrinari ma su unanalisi storica
        della società italiana e delle sue contraddizioni; il suo piano era di contrapporre al
        blocco reazionario indutriale-agrario l'alleanza degli operai del Nord e dei contadini del
        Sud. E' in questa occasione che Morgari venne a
        contatto con la tematica meridionalista salveminiana, aderendo alla mozione
        "intermdia", firmata anche dal livornese G.E.Modigliani, ma il suo interesse per
        i problemi del Sud risaliva agli inizi dell'impegno socialista differenziandolo in ciò
        dal riformismo padano che, anche nei suoi esponenti più illuminati come Turati, ha
        chiusure quasi razziste nei confronti del meridione. Nel 1998 partì per Palermo con Dino
        Rondani, entrambi deputati socialisti piemontesi eletti l'anno precedente, per sostenere
        la locale sezione nella lotta contro la mafia palermitana che garantiva l'elezione di  Crispi. La sera del 16 aprile i due deputati e un
        gruppo di compagni vennero aggrediti dai crispini che spararono anche alcuni colpi di
        rivoltella. Nell'ottobre 1902 iniziò un ciclo di
        conferenze di propaganda nel Sud; l'anno successivo condusse un'inchiesta su Gaetano
        Alessandro, vescovo di Cefalù, noto nella zona quale persona di dubbia moralità, usuraio
        e truffatore, pubblicando tra la fine del 1903 e il 1904 sull'Avanti! una serie di
        articoli che furono raccolti nell'opuscolo Un lupo in mitria  già ricordato. Nell'aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in
        occasione dello sciopero generale locale  Al congresso di
        Roma del 1906 vinto dagli integralisti  fu deciso di istituire nell'Italia meridionale e nelle isole «segretari regionali
        ai quali sarà demandato il compito della
        organizzazione politica ed economica": era investito così il punto
        importante della questione meridionale, e cioè l'esigenza di consolidare la
        struttura politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del
        Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per la
        sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio
        dell'intera politica nazionale del partito Nel 1909 Morgari si battè, con toni salveminiani,
        contro i mafiosi e per il suffragio universale, che voleva ottenere con la lotta popolare,
        contro i brogli e per l'elevazione delle plebi. l'agitazione aveva un particolare
        significato per l'Italia del Sud; la legge elettorale dava infatti diritto di voto a tutti
        i maschi adulti che sapessero leggere e scrivere, e nel Mezzogiorno la percentuale di
        analfabeti era ancora molto alta: praticamente tutta la massa dei contadini e dei
        braccianti era esclusa dalla vita politica; la compravendita di voti e la violenza
        toglievano poi ogni significato ai pochi voti del Sud proletario. Sempre nel 1909 si
        occupò dell'elezione di Vito de Bellis a Gioia del Colle e condusse con De Felice,
        Bissolati e Ciccotti una indagine in merito[38].
        Avendo appurato che i metodi elettorali del de Bellis si basavano essenzialmente sulle
        mazzette, quando l'elezione del deputato meridionale venne convalidata, Morgari proruppe
        alla Camera in un'aperta indignata denuncia dei brogli, delle camorre, della violenza
        nelle elezioni. Nel luglio 1910, durante le elezioni politiche ad
        Andria (Bari), i seguaci del candidato  governativo  impedirono la distribuzione dei certificati
        elettorali. Il 31, durante uno scontro fra proletari, seguaci del candidato  governativo e forze dell'ordine, due contadini
        furono uccisi e 10 feriti. Venne proclamato lo sciopero generale. Morgari, accorso sul
        posto, fece un'inchiesta e inviò al Presidente del Consiglio un telegramma[39].  In seguito, da numerosi comuni dell'Italia
        meridionale, pervennero a Morgari richieste di occuparsi delle loro amministrazioni. Nel
        1910 la Direzione del Partito stanziò 8000 lire per la propaganda, che «nel
        Mezzogiorno sarà essenzialmente curata da Oddino Morgari».   15. Il
        viaggio in Oriente e il congresso di Ancona (1911-14) Il 23
        novembre 1910 Morgari comunicò con una circolare le sue dimissioni da segretario del
        gruppo parlamentare[40].  In una lettera a Turati, ribadendo le sue
        dimissioni. Morgari scrisse: Sono
        un po' sindacalista [alludendo
        alla corrente di Arturo Labriola, n.d.a] io pure, valuto più l'azione diretta del
        socialismo nel paese che quella parlamentare. Visto che l'azione parlamentare narcotizza e
        addomestica il maggior numero dei deputati penso che giovi rinvigorire l'azione nel paese
        con una propaganda orale e scritta volta a rimettere in onore il carattere avvenirista dei
        movintenti che la destra si adopera a cancellare senza strepiti». Nell'agosto
        1911, disgustato «dallo
        spettacolo della compagine parlamentare socialista», accettò l'invito di Alfredo
        Bertesi, deputato socialista di Carpi (nel 1912 seguirà Bissolati e nel 1915 aderirà al
        fronte patriottico) e fondatore di una cooperativa per la lavorazione del truciolo, di
        recarsi in Estremo Oriente per studiare un particolare sistema locale di lavorazione del
        truciolo, che si voleva introdurre in Italia. Rimase via due anni facendo praticamente il
        giro del mondo senza quasi far giungere sue notizie e solo nella primavera del 1912 lAvanti! pubblicava
        una sua lettera da Manila. Nel 1913, a campagna elettorale già iniziata, era ancora
        all'estero e il 29 agosto il giornale cattolico torinese Il Momento ne
        approfittò per accusarlo di trascurare il lavoro parlamentare e di viaggiare per
        interesse, smentito da Bertesi che sul Grido del
        Popolo disse
        che viaggiava senza diaria ma col semplice rimborso delle spese vive. Morgari, ancora in viaggio, rendendosi conto delle
        critiche che gli potevano essere mosse, scrisse a Torino chiedendo di non essere più
        candidato: «Non è che io desideri ritirarmi dalla vita pubblica. L'incarico del
        deputato, ora che il Gruppo parlamentare si è fatto omogeneo e il partito ha dato in
        sostanza ragione alla mia campagna integralista, tornerebbe a piacermi. Ma si tratta di
        ben altro, si tratta dell'interesse del partito danneggiato dalla mia lunga assenza...
        dalla parvenza che io avrei di rientrare in Italia poco prima delle elezioni unicamente
        per raccattare un'indennità  Ma la
        sezione torinese rispose che aveva già cominciato la campagna elettorale sul suo nome e
        attendeva con impazienza il suo arrivo, Morgari giunse a Torino il 15 agosto  accolto trionfalmente. Nel discorso di saluto
        disse: "C'è stata nel passato una deviazione verso destra, perciò è bene che il
        partito si volga verso sinistra. Vogliamo combattere a fianco di un proletariato il quale
        comprende che il fine del socialismo è al di là delle riforme e delle stesse battaglie,
        anche grandiose, delle organizzaioni operaie". Nell'ottobre venne rieletto nel
        tradizionale secondo collegio anche per la XXIV legislatura. I colleghi vollero riaffidargli lincarico di
        segretario del Gruppo, e in tale veste al Congresso di Ancona del 1914 nella seduta
        del 28 aprile relazionò sull'attività del GPS. La relazione scritta era divisa in due parti, la prima
        si riferiva alla forza interna del Gruppo (consistenza numerica, rapporti can gli altri organismi del Partito, che furono definiti
        cordiali vuoi nelle questioni di massima, vuoi nei quotidiani rapporti fra
        Segretariati, studi e deliberazioni del Gruppo, cariche parlamentari) e la seconda
        alla sua operosità (nella quale veniva minuziosamente esposta la partecipazione ed il
        contributo del Gruppo nel sua complesso e nei suoi componenti all'attività parlamentare). Sulla relazione presero la parola (
) tra gli altri: Niccolini che dichiarò degna di elogi
        l'attività del Gruppo parlamentare, ma raccomandò nello stesso tempo ai deputati a non limitarsi ad una cura assidua degli interessi
        locali, ma ad assumere la cura collettiva dei collegi affinché la divisione del lavoro
        potesse avvenire secondo. le rispettive competenze, Franco sulla necessità di frequenti viaggi dei
        deputati socialisti settentrionali nelle regioni del Mezzogiorno nelle quali i pubblici
        poteri rispettavano soltanto coloro che erano protetti
        dallimmunità parlamentare (
) Ercole che
        accusò il Gruppo parlamentare di avere, in occasione di una recente agitazione di
        ferrovieri, favorito la Federazione gialla a scapito. del Sindacato, ecc. Rispose ai
        vari interventi trattando in particolare
        della vertenza dei ferrovieri a proposito della quale espresse l'augurio. che i lavoratori
        della categoria in primo luogo si unifichino. e poi in secondo luogo unifichino se stessi
        col resto del proletariato». Furono votati all'unanimità quattro OdG di approvazione
        in vario grado, dallincondizionata a quella con riserva, delloperato del GPS[41]
         Riconfermato segretario del gruppo parlamentare, era
        membro di diritto  della direzione -unico a non  far
        parte della maggioranza intransigente -
        con Lazzari segeretario e Mussolini direttore dell'Avanti! Con questultimo iniziarono a incrinarsi i
        rapporti allinterno stesso
        della direzione: in occasione della Settimana Rossa il direttore dell'Avanti! aveva
        assunto posizioni personali non concordate col segretario e con la direzione che avevano
        dato luogo a critiche, ma nella sessione della Direzione del 28-30 giugno, con le sole
        astensioni di Morgari e Balabanoff, gli venne riconfermata la fiducia, in considerazione
        anche del successo dell'Avanti e dell' aumentato peso politico.    16. Lo scoppio della guerra Ai congressi dellInternazionale
        il dibattito sulle misure da prendere per impedire la guerra diveniva sempre più
        frequente in corrispondenza allaggravarsi della situazione internazionale e vedeva
        impegnati i grandi leaders europei: Huysmans, Jaurès, Vaillant, Keir Hardie. Il PSI per
        chiusura provinciale partecipò marginalmente al dibattito sullimperialismo (se si
        esclude qualche intervento di Lerda[42]   e di pochi altri) e i leaders
        preferivano non recarsi personalmente ai congressi ma inviavano generalmente Morgari, che
        finì per assumere la funzione di ministro degli esteri Al congresso di Copenaghen del 1910
        Morgari aveva presentato una mozione che invitava i partiti socialisti aventi
        rappresentanza parlamentare a proporre alle rispettive Camere una riduzione degli
        armamenti: la richiesta avrebbe dovuto essere appoggiata da dimostrazioni popolari. Tale
        mozione era stata respinta e nè al congresso di Basilea del 1912, né a quello
        straordinario del 1914 vennero deliberate misure concrete contro la guerra. Alla riunione
        tenuta il 23-24 ottobre 1911 a Zurigo, intervenne dicendo che laggressione italiana alla
        Turchia sarebbe stata fronteggiata dalla classe operaia con lo sciopero generale[43]
         Nel 1914 il congresso dell'Internazionale era
        previsto per l'ultima settimana di agosto; ma quando il 23 luglio l'Austria rivolse
        l'ultimatum alla Serbia, il Bureau Socialiste International (BSI) convocò  la riunione a Bruxelles il 29 e 30 luglio quando
        già le truppe austro-ungariche avevano passato il confine serbo. Al meeting che si tenne la sera del 29 luglio al
        Cirque Royal parlò anche Morgari, facendo appello ai valori comuni, alla classe operaia,
        alla razza umana tutta intera. Nel clima di forte tensione del momento le parole furono
        patetiche, commoventi, ma la riunione si concluse con un nulla di fatto. Poi Jaurès venne
        ucciso, le dichiarazioni di guerra si susseguirono. I deputati socialisti francesi votarono
        per i crediti di guerra e  altrettanto, quando
        già era in atto l'invasione del Belgio, fece la socialdemocrazia tedesca.  Il
        27 luglio si era tenuta a Milano presso l'Avanti!
        una riunione del gruppo parlamentare con l'intervento di 28 deputati (poco più della
        metà) presieduta da Morgari con la partecipazione di Mussolini e Ratti per la Direzione,
        che si chiuse con una mozione che oltre a reclamare la immediata convocazione
        della Camera al fine di chiedere al governo dichiarazioni impegnative...di neutralità
        assoluta e a reclamare la rapida riunione dell'IOS, invitava i lavoratori a
        manifestare la loro ostilità alla guerra e a tenersi pronti per quelle più
        energiche misure che il partito intendesse adottare in vista degli avvenimenti[44]
         La
        Direzione del Partito allargata alla Confederazione del lavoro, Federterra, Sindacati
        Gente di mare e Ferrovieri si riunì nuovamente a Milano il 3 agosto per sentire Morgari e
        Balabanoff che riferirono sulla riunione dellInternazionale (BSI) a Bruxelles cui
        avevano partecipato. La sera del 4
        agosto ad un comizio a Milano cui erano accorse 40.000 persone, prese la parola con
        Lazzari, Della Seta, e De Ambris (per l'USI) All'assemblea del 9 e del 19 settembre
        della sezione socialista milanese Mussolini e Morgari raccolsero la grande maggioranza per
        la tesi della neutralità assoluta[45] Altra
        Direzione del PSI a Bologna il 19-22 ottobre, dove si aprì un contenzioso con Mussolini
        che proponeva la formula della neutralità attiva e operante invece della
        neutralità  assoluta che era la posizione
        assunta dal Partito. Dopo una giornata di discussioni per evitare la crisi, Lazzari,
        Bacci, Della Seta e Morgari vennero incaricati di preparare un manifesto che conciliasse
        le posizioni, ma Mussolini rifiutò la mediazione; sulla questione Morgari rilasciò unintervista,
        cui rispose Mussolini con una lettera pubblicata due giorni dopo.     17. L'incontro di Lugano (1914) Il Partito Socialista Italiano e la
        socialdemocrazia svizzera, pur  tra incertezze,
        rimasero  le
          sole organizzazioni socialiste a  battersi
        per la rinascita dell'Internazionale e  a
        mantenere fino in fondo una decisa opposizione alla guerra.  Questo era il fine per cui il 27 settembre 1914 una
        delegazione del PSI incontrò a Lugano alcuni socialisti svizzeri. Erano presenti per
        l'Italia: Armuzzi, Balabanoff, De Falco, Lazzari, Modigliani, Morgari, Ratti, Musatti,
        Serrati, Turati.  I convenuti esaminarono la situazione creata dalla
        guerra e valutarono ciò che si poteva fare per abbreviarne il corso. In quella sede venne
        decisa la convocazione di un congresso da tenersi in Svizzera entro breve tempo: su questo
        punto tutti furono d'accordo. I problemi sorsero invece sull'ampiezza da assegnare alla
        conferenza I congressisti desideravano infatti farvi
        partecipare anche i membri dei paesi belligeranti: Grimm propose un incontro dei vari
        partiti socialisti allo scopo di riconciliare la socialdemocrazia tedesca con il Partito
        Socialista Francese. La Balabanoff, Turati e  Modigliani
        approvarono, Morgari ebbe dei dubbi: riteneva i due punti di vista troppo divergenti
        perché potessero giungere ad un accordo  Venne anche presa in esame la situazione del BSI
        ormai paralizzato dalla guerra: si propose di trasportarne la sede in Svizzera o di
        affidare al comitato direttivo del partito socialista svizzero i compiti del Bureau
        stesso. Ci si rese però conto che la conferenza di Lugano era priva di poteri,
        soprattutto in merito a questioni di così vasta portata. Si temette inoltre che il BSI
        potesse credersi illegalmente spogliato delle sue funzioni. Grimm suggerì la
        costituzione di una «Centrale d'Information Mutuelle», una specie di agenzia  destinata a durare quanto la guerra, con il compito
        di provvedere agli affari correnti, e di preparare il terreno per una futura
        riconciliazione. Morgari
        propose di costituire un bureau provvisorio dell'Internazionale la cui costituzione, sempre per non urtare il BSI,
        avrebbe dovuto essere adottata in una mozione separata.  Alla fine la
        proposta di Modigliani, approvata contro quella di Morgari che
        proponeva di rompere definitivamente con l'ormai inefficiente Bureau residente
        in Belgio e di istituire un nuovo Ufficio internazionale provvisorio con
        sede in Svizzera, incaricava il Partito
        socialdemocratico svizzero e il Partito Socialista Italiano di riprendere i
        contatti con il B.S.I. onde ristabilire le funzioni I partecipanti
        alla riunione si separarono con l'impegno di coordinare i loro sforzi e di non rivelare
        nulla di ciò che vi era stato dibattuto. Poiché la riunione, che doveva rimanere
        segreta, era divenuta di dominio pubblico, al termine della giornata venne elaborato un
        comunicato in forma di appello, che fu poi largamente diffuso dalla stampa socialista
        europea.  Le iniziative auspicate
        dalla mozione Modigliani si svilupparono pochi mesi dopo. Per l'esecuzione del mandato di
        Lugano, infatti, la Direzione del PSI e il direttivo del Gruppo parlamentare socialista,
        nella riunione tenuta a Firenze dal 16 al 18 gennaio del 1915, incaricavano Oddino
        Morgari, nonostante
        questi nel convegno di Lugano si fosse decisamente espresso per la soppressione del vecchio B.S.I.,
        di prendere contatti con i partiti socialisti dei paesi europei belligeranti e neutrali Nel gennaio 1915 si tenne a Copenaghen
        una conferenza dei partiti socialisti scandinavi e olandesi. Egli annunciò la sua
        partecipazione approfittando di una tournée europea che doveva compiere come
        collaboratore dell'«Avanti!». Parti quindi per la Danimarca ma non vi partecipò,
        affermando di non essere giunto in tempo, ma successivamente, il 18 febbraio, dirà al
        Comitato Direttivo del Partito socialista svizzero di non aver preso parte alla Conferenza
        di Copenaghen sia perché aveva inteso che la Svizzera non avrebbe inviato delegati, sia
        perché Grimm lo aveva informato che vi potevano essere sospetti di influenze tedesche
        sulla conferenza. L'incontro di Copenaghen ebbe scarso successo. I
        partecipanti non furono numerosi e, forse per timore di creare attriti, trattarono solo
        argomenti secondari e si limitarono a chiedere al BSI la convocazione di una conferenza
        non appena possibile e comunque prima dell'inizio delle trattative di pace.    18. La «Missione Morgari». Parigi e Berna     Il suo compito era di raccogliere informazioni,
        effettuare sondaggi presso i vari partiti per rendersi conto delle reali loro disposizioni
        verso la promozione della pace e il risveglio dell'Internazionale. Il mandato era
        abbastanza elastico e anche l'itinerario non era ben precisato. Lo scopo principale, era
        quello di gettare le basi su cui realizzare il programma di Lugano, e cioè: trasferimento
        del Bureau in un paese neutro (di preferenza la Svizzera) e convocazione urgente di una
        conferenza dei partiti socialisti dei paesi non belligeranti.Prima di partire, in
        febbraio, Morgari si recò in Svizzera ad esporre gli obiettivi del suo viaggio e chiese
        di essere accompagnato nella sua missione da un delegato del locale Partito socialista.   Gli
        svizzeri decisero di affidargli invece un messaggio scritto, copia del quale venne inviata
        al BSI e ai partiti affiliati prima ancora della partenza di Morgari. Ma per una serie di
        circostanze egli non potè partire che ad aprile e in quei due mesi varie
        situazioni erano evolute o cambiate.     In una serie di articoli dal titolo Che
        cosa fare?, apparsi sull'Avanti! dal 20 al 22
        aprile 1915, Morgari espresse il suo punto di vista sulla necessità
        improrogabile della convocazione di una conferenza internazionale socialista. Dopo aver
        giustificato i socialisti che avevano aderito alla guerra in quanto «l'opinione che il
        proletariato debba associarsi alla difesa della patria circola da
        tempo nelle file socialiste, è stata apertamente affermata in molteplici
        occasioni, nella stampa e nei parlamenti, e non fu mai sconfessata "
        esplicitamente " dai congressi», si rivolgeva
        all'Esecutivo
        dell'Internazionale: «A questo BSI noi rivolgiamo un
        caldo appello ad uscire dal suo presente stato di aspettazione ed a riunire
        senz'altro l'Internazionale». 
           A Parigi chiese la convocazione di una conferenza internazionale al  presidente del B.S.I.
          Vandervelde, che non solo rifiutò di convocarla, ma dichiarò che avrebbe
        impedito agli stessi svizzeri ed italiani di farlo. Dal canto suo Morgari lo accusò di
        tenere in ostaggio l'Internazionale, e
        il colloquio ebbe toni drammatici. L'Avanti! pubblicò la
        relazione di Morgari sul viaggio a Parigi e Vandervelde reagì cercando di modificare la
        propria posizione: ma Morgari replicò che se le parole potevano non essere esatte, la
        sostanza era quella da lui indicata: francesi e belgi non volevano venire in contatto con
        i tedeschi ed erano per la, guerra a  fondo
        contro il militarismo germanico Naturalmente i gruppi socialisti
        dissidenti che vedevano nell'iniziativa italo-svizzera una rinascita dello spirito
        internazionalistico accolsero Morgari a braccia aperte.A Parigi strinse rapporti con
        Martov e Trotskij , il quale con la sua penna satirica ne traccia questo pungente
        ritratto: Morgari
        ha una natura d'artista: è un politico e uno psicologo. I tratti del suo viso giovanile
        recano il segno di un carattere bonario ed indulgente.(...) rimprovera al marxismo la
        mancanza di realismo, riconosce nella Storia la "molteplicità" dei fattori e
        tenta di arrivare ad una concezione "integrale", sia nella pratica che nella
        teoria. L'integralismo significa, in realtà, uno sforzo per giungere ad un eclettismo
        "armonioso".(...) Sulla terrazza di un caffè di uno dei grandi boulevards,
        avemmo una conversazione con Morgari e alcuni deputati socialisti che per ragioni non
        molto chiare si consideravano di sinistra. Sinché il colloquio non andò al di là delle
        proclamazioni pacifiste e della ripetizione di luoghi comuni sulla necessità di
        ristabilire le relazioni internazionali, le cose andarono abbastanza bene. Ma quando
        Morgari, con tono drammatico da cospiratore, cominciò a parlare della necessità di
        procurarci falsi passaporti per andare in Svizzera (era evidente che l'aspetto
        "carbonaro" della faccenda lo attraeva) i signori deputati fecero il muso, e uno
        di loro si affrettò a chiamare il cameriere e a pagare le consumazioni. Sulla terrazza
        aleggiava il fantasma di Molière, forse anche quello di Rabelais la cosa non andò oltre.[47] Tuttavia, se il programma di Lugano
        era inaccettabile per il socialismo ufficiale, per i dissidenti risultava insufficiente.
        Essi infatti obiettavano che se si trattava di far cessare la guerra una conferenza di
        neutri sarebbe stata inutile. A loro avviso si dovevano invece adunare i dissidenti, gli
        elementi di opposizione che nei paesi belligeranti si erano dichiarati contro la guerra e
        contro la politica di union
        sacrée. Al termine dei colloqui parigini Morgari aderì a quest'idea e, tornato in
        Italia, la espose al Congresso di Bologna del 15 e 16 maggio 1915. Il Congresso adottò la
        sua proposta; i socialisti italiani decisero così, ignorando gli organi ufficiali dei
        partiti, di convocare singoli o gruppi socialisti e sindacali di qualsiasi natura, scelti
        secondo le convinzioni e appartenenti sia a paesi neutri, sia a paesi belligeranti.   Pochi
        giorni dopo si recò a Berna per elaborare con Grimm la realizzazione del progetto allinsaputa
        del Partito socialista svizzero. Infatti, mentre il PSI aveva votato a Bologna la
        decisione, assai più avanzata rispetto alle posizioni di Lugano, di convocare le
        minoranze, il Partito svizzero rimase legato all'idea di convocare soltanto i neutri. Per questo il PSI trovò come interlocutore attivo
        non già il comitato centrale del Partito socialista svizzero, ma Grimm, che aveva assunto
        una posizione analoga a quella italiana. E solo più tardi, in novembre, al Congresso di
        Aarau il Partito socialista svizzero approverà l'operato di Grimm. L'11 luglio Morgari e la Balabanoff
        incontrarono a Berna in una riunione preliminare: Zinoviev (per i boscevichi), Aksel'rod
        (per i menscevichi), Warski e Waleki (polacchi) e Grimm. Dei partecipanti, però, solo
        Morgari e la Balabanoff erano venuti dall'estero con un mandato ufficiale; tutti gli altri
        erano già in Svizzera come rifugiati.  Fu a
        questa conferenza che si fissò lo scopo e il carattere del convegno da tenersi in
        settembre. Esso «non
        avrebbe avuto per nulla come scopo la
        creazione di una nuova Internazionale, ma il suo scopo sarebbe stato piuttosto
        di richiamare il proletariato a un'azione comune per la pace, di creare un centro d'azione e di
        cercare di ricondurre la classe operaia alla sua missione storica».    19. Nel Paese in guerra (1915-16) In occasione delle "radiose  giornate" del maggio 1915 a Torino la
        pressione della base operaia spinse la sezione cittadina, assai dubbiosa  pur essendo diretta dagli intransigenti, a
        proclamare lo sciopero per il 15. Nell'occasione Morgari non era presente perchè a
        Bologna con Buozzi e Pastore. La tensione cresceva da settimane e la giornata si concluse
        con un pesante bilancio: 14 feriti e un morto tra i dimostranti, occupazione della Casa
        del popolo da parte dell'esercito, arresto di esponenti sindacali e politici, che
        caratterizzano la situazione più grave verificatasi in Italia alla vigilia dell'entrata
        in guerra.Rientrato a Torino, con Casalini e Quaglino girò 4 o 5 ore per tutta la città per persuadere gli
        scioperanti a riprendere il lavoro". Mentre i componenti della Commissione
        Esecutiva della Sezione torinese sono arrestati e rimangono in carcere più di tre mesi,
        funziona una C.E. provvisoria, di cui fa parte anche Morgari, che a luglio viene sostuita
        con elezioni che vedono contrapposte due liste; in quella intransigente, con Barberis,
        Boero, ecc., si colloca Morgari. Pacifismo e internazionalismo erano aspirazioni
        sincere che espresse in articoli, manifestazioni, comizi e nei due discorsi che tenne alla
        Camera, ma non poteva
        dimenticare che molti in Italia, tra i quali gli
        irredentisti del Trentino e della Venezia Giulia, avevano voluto la guerra per motivi patriottici
        e ideali. Né poteva dimenticare la «Lettera
        aperta» che Cesare Battisti aveva inviato un anno prima[48]   Una crisi lo
        colpirà alcuni mesi più tardi,
        quando il sentimento mazziniano e risorgimentale prenderà il sopravvento sulle
        convinzioni antimilitariste. E del
        mese di dicembre 1915, infatti, la polemica sorta intorno alla frase «ti invidio» scritta da
        Morgari al suo amico Plinio Gherardini, arruolatesi volontario; si parlò allora di un suo
        prossimo arruolamento tra i garibaldini
        di Francia. La notizia, smentita dallAvanti e dal Grido, fu poi
        confermata dallo stesso interessato in una lettera a
        Lazzari del 25 dicembre, mettendolo
        in connessione con il particolare momento: «un
        periodo nel quale ancora mi pareva possibile conciliare due cose opposte:
        l'antimilitarismo e il fucile, quando cioè procuravo di convincermi che - dopo fatto
        ogni sforzo per impedire lo scoppio della guerra, dal punto di vista degli interessi
        generali e dei nostri principi - un socialista potesse, senza contraddizione seguire il
        proprio temperamento appena scoppiata la guerra, in base al motto: "cosa fatta capo
        ha" ».  Ulteriore conferma troviamo nel discorso pronunciato
        alla Camera da Morgari il 1 luglio 1916, che  s'apriva
        con la confessione della propria crisi: «persino
        chi parla ebbe negli inizi un momento di esitanza e pregò un collega,
        che è su questi banchi, di tenergli in serbo una camicia rossa»[49]
        La
        guerra non era considerata unilateralmente
        come un «portato degli interessi economici delle classi dirigenti»,
        ma anche come esigenza di «cause ideali, sdegni generosi, fedi sincere». Fu
        anche profetico: "se
        abbattiamo la Germania essa coverà la sua rivicita, la coverà 20 anni ma la farà" e
        insiste sullo scarso interesse a "annettere rupi trentine e caverne del
        Carso",[50]. Serrati, in una breve introduzione al discorso
        sull'Avanti,  pur dissentendo «sia per ciò che si
        riferisce alle origini e alle cause della guerra, sia per
        quanto riguarda la condotta della guerra e sia anche e soprattutto
        quanto ha tratto ai rimedi democratici contro la guerra», non mancherà di elogiare il discorso «coraggiosissimo».  Il discorso gli procurò i feroci attacchi degli
        avversari, in particolare dell'«Idea
        Nazionale» e gli elogi dei giovani
        socialisti tra cui quello di  Gramsci.    20. Da Zimmerwald a Kienthal Il 5 settembre la conferenza venne finalmente
        convocata, nonostante la tenace opposizione del
        presidente dell'Internazionale e l'ostilità dei
        socialpatrioti. La località prescelta è Zimmerwald, un paesino della Svizzera. L'organo del PSI questa volta scriverà:
        «Gli sforzi entusiastici del nostro Morgari
         che gli scettici deridevano e i cattivi calunniavano  sono stati coronati da pieno successo» Le
        convocazioni per Zimmerwald vennero fatte segretamente e la Conferenza si svolse
        all'insaputa di tutti, governo svizzero compreso.  A
        Zimmerwald convennero 38 delegati di 11 paesi: le delegazioni ufficiali
        dei partiti socialisti di Polonia, Italia, Bulgaria, Romania e Svizzera e
        i rappresentanti dei gruppi di opposizione di Germania, Francia, Olanda,
        Svezia e Norvegia. Il partito socialdemocratico serbo, che pure aveva dichiarato la
        propria neutralità, non potè inviare il proprio rappresentante per
        la mancata concessione del passaporto al delegato. Dei
        russi in esilio, parteciparono Lenin, Zinoviev, Axelrod
        e Trotzki. Per l'Italia vi partecipò la delegazione del PSI e del GPS,
        composta da Costantino Lazzari, Angelica Balabanof,
        Modigliani, Serrati e  Morgari.  Trotsky
        nella sua autobiografia descrive così la partenza dei congressisti da Berna per
        Zimmerwald:« Noi ci
        pigiammo in quattro carrozze e salimmo verso la montagna. La gente guardava con curiosità
        quella strana carovana. I delegati scherzavano sul fatto che mezzo secolo dopo la
        costituzione della prima Internazionale tutti gli internazionalisti trovavano posto in
        quattro carrozze. Ma nello scherzo non c'era alcuno scetticismo. Accade molte volte che il
        filo della storia si strappi. Allora bisogna annodarlo. E fu quello che si fece a
        Zimmerwald». Fin dalle prime battute i delegati si divisero
        in « destra » e « sinistra ». La
        prima, composta dalla maggioranza dei convenuti, sebbene intransigente nella condanna della guerra, confessava ancora
        fiducia nella Internazionale.
        La sinistra, invece, riteneva che l'unione sacra e la politica dilatoria del B.S.I. lavessero definitivamente
        squalificata, e poneva il problema
        della trasformazione della guerra militare in guerra civile
        sviluppando le deliberazioni del
        congresso di Basilea. Il «Manifesto», che non intendeva ripudiare la 2.
        Internazionale ma cercava di mutarne la direzione e si pronunciava contro la guerra
        addossandone la responsabilità alla cupidigia imperialistica di tutti i paesi
        belligeranti, in Italia fu stampato alla macchia e l'«Avanti!» lo pubblicò a dispetto
        della censura il 14 ottobre  grazie a un'abile
        manovra del direttore Serrati. A Zimmerwald,
        nella firma del manifesto
        conclusivo, Morgari rivelò non poche perplessità, in quanto non si sentiva di avallare
        le affermazioni unilaterali sulle cause della guerra[51]
        persuaso che la sua impostazione oscurasse le ragioni di coloro che avevano combattuto la
        guerra non per interessi economici ma unicamente per motivi morali Morgari sintetizzò la portata de convegno in un'intervista
        rilasciata al giornale La Sera, in cui affermava che
        «l'atto pratico di Zimmerwald è quello di aver compiuto il nostro dovere di socialisti, che era di riunirci
        internazionalmente ed esprimere una parola concertata nei riguardi della guerra. Ma
        nello stesso tempo pur volendo sfuggire alle
        responsabilità di questa guerra, noi non diciamo ai soldati o di fuggire o di non
        sparare La Conferenza costituì anche una
        «Commissione socialista internazionale» con il compito «facilitare
        le relazioni fra i partiti socialisti» e di
        «informare le
        organizzazioni aderenti sugli avvenimenti e lò svolgimento della lotta per
        la pace». A farne parte furono chiamati Grimm,
        Naine, Morgari e la Balabanoff (in veste di traduttrice). La commissione lavorò attivamente
        nonostante l'entrata in guerra dell'Italia, ma i risultati furono scarsi. Ciò non impedì
        ai giornali borghesi di sviluppare una vasta campagna di stampa contro i socialisti
        italiani accusati di svolgere, all'interno della Commissione di Berna, attività
        antimilitare e antipatriottica. Nel febbraio 1916, in una riunione internazionale
        tenutasi a Berna e promossa dal PSI, venne decisa una nuova conferenza che si tenne poi a
        Kienthal dal 24 al 30 aprile. I punti più importanti all'ordine del giorno della
        conferenza erano: la battaglia per la fine della guerra, l'attitudine del proletariato
        verso i problemi della pace, la questione della convocazione del BSI a l'Aja. Per l'Italia, con
        Lazzari, Prampolini, Modigliani,
        Musatti, Dugoni e Serrati vi partecipò anche Morgari. In essa vennero
        riaffermati i principi contenuti nel manifesto di Zimmerwald, pur apparendo i termini
        del nuovo manifesto più decisi. Nel testo
        programmatico che ad esso si accompagna, venne stabilita, in 14 punti, la
        condotta che il proletariato doveva adottare di fronte
        alla guerra e, fatto nuovo, la lotta per la pace fu identificata con la lotta rivoluzionaria per
        il socialismo. I testi di Kienthal furono votati
        all'unanimità dai partecipanti alla conferenza. Anche se i gruppi presenti a Kienthal erano
        sostanzialmente quelli di Zimmerwald, i delegati furono molto più numerosi e ciò
        nonostante le autorità di alcuni paesi belligeranti avessero ostacolato la partecipazione
        non rilasciando i passaporti. A Kienthal si registrò anche un netto spostamento a
        sinistra. Lenin non si trovò più isolato. Dopo due anni di guerra, i delegati di
        Kienthal non parlarono più di «pace senza annessioni e senza indennità ma di
        «conquista dei governi e della proprietà capitalistica per parte dei popoli e
        aggiunsero: «la pace duratura sarà il frutto del socialismo trionfante» Il manifesto di Kienthal venne giudicato non
        sufficientemente rivoluzionario dalla sinistra, mentre la destra ritenne troppo assolute e
        pessimistiche alcune affermazioni. In questa «destra » si inquadra anche Morgari che
        formulò un emendamento votato anche da Modigliani Prampolini Dugoni Musatti.  Votarono le tesi senza riserve Serrati e
        Balabanoff. Benché la condanna della guerra risultasse molto
        più dura e circostanziata rispetto a Zimmerwald, il rapporto ufficiale concluse con un
        generico invito all'azione delle masse.   21. La
        Missione Ford.
        Stoccolma È nella mancanza di linearità con le tesi di Zimmerwald e di
        Kienthal che va inquadrata la sua singolare
        partecipazione alla Missione Ford. L'industriale americano Henry Ford[52]
         aveva intrapreso una campagna per il ritorno
        della pace in Europa fondando una istituzione che, abbondantemente finanziata e composta di elementi danesi e svedesi , aveva la sua
        sede a  Stoccolma. Ford intendeva mostrare la
        superiorità morale del capitalismo americano che non era costretto favorire le guerre per
        realizzare profitti ma poteva legittimarsi moralmente e politicamente attraverso il
        coinvolgimento nei consumi delle masse popolari. Non su cannoni, ma su automobili e su
        oggetti di consumo era in grado di puntare l'industria americana.     Morgari fu colpito
        da questo capitalismo che sapeva coniugare le esigenze del profitto con quelle della
        socialità e della pace, e questa posizione di apertura ad un certo tipo di imprenditoria
        ebbe sviluppi nell'immediato dopoguerra con la collaborazione con Giovanni Agnelli e
        l'industriale tessile Franco Marinotti nel tentativo di stabilire rapporti economici con
        la Russia sovietica.   Ford
        aveva inviato il proprio segretario a Berna per
        scegliere una commissione svizzera per il parlamentino
        pacifista che avrebbe dovuto sedere in permanenza a Stoccolma. Fu a Berna che
        agli inizi del 1916 Morgari conobbe, tramite il vecchio
        internazionalista Enrico Bignami, il segretario di Ford. Invitato da quest'ultimo a far parte della commissione permanente
        della Missione, si consigliò con Grimm,
        Balabanoff, Serrati, Lazzari e Vella. Vi si oppone la sola Balabanoff, gli altri
           considerarono  possibile  l'opera  di   Morgari
           purché svolta  a  titolo personale, senza alcun mandato    Nel resoconto del
        viaggio di Morgari, l'Avanti! insiste nel
        presentare la sua  partecipazione alla Missione come un fatto di iniziativa  personale,  escludendo  ogni  copertura  diretta  del  partito,  che ufficialmente non poteva essere data, basandosi
        la Missione Ford esclusivamente sul contributo
        finanziario di un capitalista. L'autonomia della iniziativa, in verità, è riconosciuta dallo stesso Morgari
        in una lettera a Serrati del 15 giugno  1917
        :   «Più volte mi scrivesti per invitarmi ad inviare articoli, notizie. Ma sai come la
        penso. Invadere l'Avanti! con quelle tesi
         posto pure che tu lo concedessi  sarebbe un abusare dell'ospitalità
        politica, e un tentar di scuotere la discreta e
        sufficiente concordia odierna del partito. Scrivere senza avanzare tesi non vorrei.
        Notizie non ne ho; ne ho meno di te, che leggi o fai leggere giornali in più lingue »[53] In una nota editoriale da attribuire a Serrati premessa al suo articolo Le due Vittorie apparso
        su Scintilla e poi sull Avanti!,, si legge: «Bella utopia, quella di ricercare nel mondo tutti
        gli uomini buoni e generosi e stringerli in un fascio di forze operanti contro la barbarie della guerra. Tanto bella
        questa utopia che quando noi abbiamo visto Morgari
        tutto preso da questo nobile sogno, non ci siamo
        sentiti di dissuaderlo e, pur dissentendo, lo
        abbiamo quasi incoraggiato a correre pellegrino di pace per il mondo alla ricerca degli
        uomini buoni......Mentre il pacifismo largamente
        umanitario di Morgari conduce logicamente alla cessazione o, quanto meno, alla
        attenuazione della lotta di classe, il nostro
        determinismo economico ci chiama invece ad accentuare l'azione indipendente ed
        autonoma del proletariato nei confronti di tutti i dominanti
        »[54]. Morgari quindi accettò l'offerta del segretario di Ford tacitamente confortato dal consenso dei
        compagni e nel maggio del 1916
        intraprese il viaggio per Stoccolma. Della Missione Ford faceva parte anche Hermann
        Greulich, che il 17 maggio 1915 aveva presentato alla
        direzione del PSI il sig. Nathan, latore da parte di
        pacifisti americani di offerte finanziarie categoricamente rifiutate dallo stesso Morgari,
        a nome della direzione del partito, in un colloquio avuto a Bologna con il
        pacifista americano. Fu allora che la stampa antisocialista e interventista vide nelle
        offerte di Nathan al PSI il denaro tedesco e identificò
        in Greulich un agente del governo imperiale. Memore di tale polemica, Morgari
        invitò Greulich a dimettersi da membro della commissione permanente della Missione Ford, per fugare ogni possibile equivoco
        sulle reali intenzioni della Missione.    Il
        parlamentino costituito da Ford a Stoccolma rivestiva particolare importanza per Morgari, dopo i numerosi tentativi
        falliti; per questo, incurante del vespaio di critiche suscitato sulla stampa italiana, egli divenne uno dei
        maggiori attori della iniziativa pacifista. A
        suo giudizio il problema essenziale per il momento,
        al di fuori di ogni problematica rivoluzionaria, era quello esclusivo di salvare la pace, anche se tutto ciò comportava
        collaborazione con un capitalista. Ai
        delegati della Missione Ford Morgari presentò un Plan d'une grande campagne mondiale pour la paix prochaine et
        definitive, preventivamente discusso
        dal gruppo scandinavo della Missione il 24 settembre 1916 e presentato nel novembre a
        tutti i componenti. Stilato con la meticolosità che
        gli era propria, si articolava in 78 punti ed
        era basato sul contributo finanziario di
        cinquanta milioni di dollari da parte di Ford. Prevedeva una campagna mondiale per la
        pace, della durata di 5 anni, sostenuta da quotidiani, cartelloni, cinema, propagandisti
        distribuiti in tutti i paesi. Si articolava in tre
        fasi di sviluppo: 1) «Avant l'armistice», per avvicinarlo e influenzare i negoziati preparatori; 2) «Pendant
        l'armistice», per influire sulle condizioni
        del trattato di pace; 3) «Après la paix», per vincere quelle forze che si opponevano a una completa instaurazione
        dei diritti delle genti. Il
        piano prevedeva anche la fondazione di un quotidiano mondiale, pubblicato
        in tre lingue, e ladozione di una lingua mondiale, lEsperanto[55] - di cui Morgari fu un discreto
        conoscitore e attivo divulgatore- per influire più
        facilmente e uniformemente sulleducazione dei popoli al pacifismo. Ma non se ne fece nulla: Ford  in armonia con l'atteggiamento del governo
        americano che aveva deciso l'intervento a favore dell'Intesa,  annunciò che non aveva più fiducia nella buona
        volontà di pace dei dirigenti tedeschi e sciolse definitivamente la sua missione il
        giorno della rottura dei rapporti diplomatici tra Germania e Stati Uniti (2 febbraio
        1917). Il
        viaggio di Morgari provocò sulla stampa sarcasmi e accuse di ingenuità se non di  connivenza col nemico.  Iniziò l' Idea
        nazionale
        il 13 ottobre 1916, seguita dal Corriere della Sera del 3 giugno 1917 che
        così commentava: Limportante è che laffare
        si concluda subito per merito suo, così il socialismo
        intasca in moneta elettorale il prezzo della
        mediazione. Sua Eccellenza Morgari ha lanima di un viceplenipotenziario di
        Federico II o di Maria Teresa», e dal Giornale
        d'Italia del 7 luglio. Morgari
        esprimerà la
        sua delusione per il fallimento della Missione in un'intervista rilasciata
        alla Stampa
        pochi giorni dopo il suo rientro in Italia. L'Avanti!
        non commentò: a giustificazione riportò una relazione letta a suo tempo da Morgari alla
        seziono di Torino. Il
        carattere borghese dell'iniziativa di Stoccolma è sottolineato dalle dure
        parole di critica che II
        Grido del Popolo scrisse
        sull'iniziativa di Morgari:
        «Noi
        che abbiamo solo fiducia nella lotta di classe e non crediamo
        né alla efficacia, né alla sincerità di alcun pacifismo borghese, saremmo
        mortificatissimi di aver perso tre mesi di tempo in collaborazione con
        un qualsiasi Ford, presso qualsiasi governo, presso una qualsiasi conferenza
        che non fosse stata una conferenza di socialisti internazionalisti"
        .  Rimase
        tutto l'inverno in Svezia; fallita la
        Missione Ford, in
        primavera partì per l'Olanda. All'Aja si
        fermò per circa due mesi cercando
        di mettersi in contatto con Huysmans, per
        spingerlo a convocare un congresso per la pace, ma Huysmans fu
        irremovibile, e qui
        era stato raggiunto da un telegramma di Lazzari che
        lo pregava di raggiungere Pietrogrado per prendere contatti con i rivoluzionari russi e
        inviare notizie precise all'Avanti!. Tentò
        di recarsi in Russia attraverso la
        Scandinavia, ma inutilmente, a causa delle restrizioni degli imbarchi per
        la guerra in corso. Ne diede notizia egli stesso in una lettera a
        Serrati, in data 15 giugno 1917, dall'Aja: «Rimpatrio.
        Dopo quasi due mesi
        di pratiche per ottenere il rimpatrio traverso il territorio anglofrancese, ottenutolo
        infine il 21 aprile, ricevo il telegramma di Lazzari incaricantemi
        di recarmi in Russia. Pensa quanto siffatto incarico mi lusingasse
        e corrispondesse al mio sentimento. Non profittai del permesso con pericolo
        di vederlo decadere e insieme a un compagno esiliato russo e ad un
        organizzatore che conosce i porti olandesi come tu lAvanti!,
        feci ricerche
        per trovare imbarco alla volta dellaScandinavia. Dopo oltre un mese di
        vane pratiche, rinuncio »[56]
        .
        Così nel luglio 1917 rientrò in Italia. Morgari non potè partecipare alla conferenza di
        Stoccolma. L'avvento al potere dei bolscevichi determinò il ritiro della delegazione
        russa dal comitato di Stoccolma e contribuì alla disgregazione del movimento
        zimmerwaldista, la cui crisi era già manifesta dalla metà del 1917. Morgari, costretto
        in Olanda dalla guerra, non partecipò ai lavori preparatori né alle sedute della terza
        conferenza di Zimmerwald.   22. Nel Paese in
        guerra (1917-18)    Rientrato
        in Italia a luglio da Stoccolma, ricevette con Romita e Serrati il 13 agosto 1917 alla
        Casa del popolo di Torino i rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano compiendo
        un giro di propaganda noi paesi dell'Intesa. Si tenne anche un comizio affollatissimo, il
        primo dall'inizio della guerra.   Il 22
        agosto scoppiò a Torino uno sciopero determinato dalla carenza di generi alimentari, che
        assunse subito carattere politico e si trasformò in aperta rivolta contro la guerra. La
        sera stessa la sezione di Torino telefonò a Morgari chiedendogli di precipitarsi a
        Torino. Dalla testimonianza resa al processo per i moti dell'agosto dal segretario della
        CdL Dalberto, egli si mise in contatto prima con Rigola a Biella che rifiutò di
        intervenire, poi si rivolse ai deputati Casalini in vacanza e Morgari a Roma, perchè
        rientrassero. II giorno dopo giungeva nella città trasformata in un campo di battaglia.
        Queste iniziative saranno considerate dal Tribale Militare conferme dellipotesi che
        Morgari era uno dei promotori dell'insurrezione     Nella
        notte tra sabato e domenica furono arrestati quasi tutti i membri delle commissioni
        esecutive della sezione socialista e della CdL, molti segretari di Leghe e Circoli e
        parecchi altri compagni tra i più noti, che decisero di affidare ai deputati socialisti
        torinesi (Casalini, De Giovanni, Morgari) il compito di funzionare da direttivo
        provvisorio. La sera del  23 con Romita e il
        corrispondente dell'Avanti! Leo Galetto ebbe un
        colloquio col prefetto, il quale assicurò poi Roma telefonicamente che Morgari pare animato da buone intenzioni. Il
        26 presentarono per il visto al Comando del Corpo d'Armata, che aveva assunto la tutela
        dell'ordine pubblico, il seguente manifesto:"Lavoratori Torinesi:L'inefficienza
        del Governo Centrale, l'ignavia dell' Amministrazione cittadina, le provocazioni
        indicibili del potere politico locale, vi hanno fatto scattare unanimi in un movimento di
        sciopero generale, meraviglioso, forte, ammonitore ed esemplare. Scoppiato per la
        mancanza del pane, esso si è subito tramutato in una decisa manifestazione contro la
        guerra, che tanti lutti ha . seminato e tanto sdegno suscita in ogni animo, in tutti i
        paesi. La forza brutale dello stato borghese, la incoscienza da parte dei proletari
        vestiti in divisa, la dolorosa impreparazione della nostra organizzazione ad una azione
        risolutiva, ci costringono a consigliarvi a tornare lunedì al lavoro. Non è consiglio di
        viltà quello che vi diamo, ma di saggezza e di forza. Noi intendiamo che non solo questo
        grandioso movimento proletario torinese sia avvertimento serio e definitivo al governo
        monarchico borghese, perchè cessi questa strage inutile e inumana, ma indichi anche a
        tutti i proletari d'Italia ed all'Internazionale il dovere di una più intensa e
        definitiva preparazione. Torniamo al lavoro, o compagni, ma torniamo colla coscienza di
        aver compiuto un atto coraggioso degno e fecondo senza dedizioni e senza rinunzie. E
        stato sparso sangue proletario, ma non invano. Salutiamo le vittime con una promessa di
        prossima, preparata rivincita. Salutiamole al grido: "Viva lo sciopero generale. Viva
        la pace. Abbasso la guerra!"  E
        poichè il nulla osta fu negato, consegnano il
        27 al generale Sartirana il testo di un nuovo manifesto assai più moderato e breve:
        Ai lavoratori torinesi Compagni! Avendo
        accettato di rappresentare provvisoriamente le oprganizzazioni che per i noti eventi non
        possono regolarmente funzionare....crediamo nostro dovere avvertirvi che le nostre
        organizzazioni hanno delberato di invitarvi a riprndere il lavoro lunedì corrente.
        Mandiamo intanto un riverente saluto alle vittime cadute con quella fede che rimarrà
        intatta nei nostri cuori  Nel 1917 oltre alla rivolta di Torino si
        registrarono una più  vigorosa opposizione
        alla guerra e anche alcuni atti di sabotaggio. La stampa borghese incominciò a parlare di
        bolscevizzazione e di «pericolo di un sabotamento proletario della guerra».
        Materiale di propaganda socialista internazionalista e pacifista veniva distribuito
        clandestinamente e talvolta giungeva anche fra le truppe al fronte grazie «alle cassette
        di munizioni, sul cui fondo si nascondono dei manifesti sediziosi» Le autorità militari
        erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui andavano ripetendosi incidenti nei
        principali stabilimenti militari.  noi
        siamo un partito che è costruito da trentanni e da trentanni combattiamo la
        guerra...(...)...cè il patriottismo dei sign ori che crede possa la gloria e il
        benessere della patria realizzarsi solo nellespansionismo e vi è il patriottismo
        della povera gente, il nostro, che cerca il benessere e la glorua della patria nello
        sviluppo interno delle risorse interne,. La guerra è il vero sabotaggio della guerra. Voi
        sabotate la razza; è la distruzione dei giovani, dei validi che imperversa     Il 21
        dicembre 1917 presentò alla Camera un Od.G :«La Camera invita il Governo a rivolgere
        alle potenze alleate, nemiche e neutrali una proposta di pace generale e di riordinamento
        della convivenza internazionale basata sull'abolizione del diritto di dichiarare Ia
        guerra, finora  riconosciuto negli stati dal
        costume politico e dalle convenzioni interne». Dopo il suo discorso alla Camera, come già nel
        1916, Morgari fu sommerso di lettere, in parte anche di lode, soprattutto da militari al
        fronte o vedove di guerra. Anche Gramsci[58]
        e Serrati scrissero a Morgari per congratularsi con lui. Discorso che passa per
        "vergognosamete leninista" e contro il quale protesteranno numerosi
        professori, da Mosca a Loria. Nell'esaltazione della rivoluzione russa che
        innalza la più grande bandiera che abbia mai sventolato sulla faccia della terra
        Lenin non tiene abbastanza conto della difficoltà di trasformare bruscamente una
        società individualista in una collettivista, sebbene tale trasformazione sia facilitata
        in Russia dal fondo mistico della razza slava e ancor più dal fatto che quel paese è
        uscito da poco dal comunismo primitivo della terra ....Lenin ha fretta, vuole trasformare
        il suo Paese in una enorme società cooperativa di produzione e di consumo...  Il 1918 iniziò con una ventata di reazione
        antisocialista. Il 24 gennaio il governo ordinò l'arresto del segretario politico del
        P.S.I. Lazzari e del vice-segretario Bombacci, per il loro atteggiamento «in evidente contrasto con le necessità della
        difesa nazionale». Già nel 1915
        Lazzari aveva chiesto a Morgari di sostituirlo qualora fosse stato arrestato. Lo sostituì
        ma tenne la carica per poco: il 18 giugno dello stesso anno diede le dimissioni. Era anche
        segretario del gruppo parlamentare e il dissidio fra questo e la direzione rendeva
        difficile la sua posizione. Come al solito riassunse il suo pensiero in una circolare[59]   23.
        La
        Commissione di informazione e di azione internazionale Circa un anno dopo il suo rientro dal Nord, Morgari riprese la sua attività, come incaricato del partito
        all'estero, partecipando al congresso del
        Partito socialista francese. Nella riunione del 30 settembre 1918 la direzione del PSI
        aveva deliberato che Morgari e Alessandri
        portassero il saluto e la solidarietà dei socialisti
        italiani al congresso del Partito socialista francese, che si tenne a Parigi dal 6
        al 9 ottobre 1918.  In tale occasione, approfittando
        della presenza di molti delegati stranieri e della vittoria al Congresso dei "minoritari" fu composta
        una «Commissione socialista di informazioni e
        di azione internazionale». La Commissione, dopo
        alcune sedute preparatorie tenute da Morgari con
        il bolscevico Kemerer e con altri delegati francesi e serbi nelle giornate dell'11-13
        ottobre, venne ufficialmente approvata il 14 nel corso di una riunione negli uffici del Populaire,
        cui parteciparono il segretario Frossard, Longuet,
        Loriot, Paul Faure, Rappoport, ecc; gli
        italiani Morgari, Alessandri e Rubino,
        segretario della sezione socialista italiana in Parigi, oltre a russi, serbi e greci La nuova Commissione aveva il compito di
        «creare un centro d'informazione
        e di azione a disposizione delle correnti di sinistra (internazionalisti, intransigenti, zimmerwaldiani) dei
        paesi dell'Europa occidentale e dell'America, in considerazione del fatto che «la censura dell'Intesa era riuscita ad innalzare un'insuperabile 'muraglia cinese' fra l'Europa
        occidentale (Italia, Francia, Inghilterra, Spagna,
        Portogallo) e il rimanente d'Europa (Imperi
        Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia), muraglia che durerà ancora a lungo per impedire il propagarsi
        del bolscevismo dall'Est d'Europa all'ovest». La Commissione intendeva inoltre sostituirsi alla Commissione socialista internazionale
        costituita a Zimmerwald - trasferitasi,
        nel frattempo, dalla Svizzera a Stoccolma e forzatamente inefficiente - e al Bureau della II Internazionale
        «le cui funzioni, rispettose degli statuti e di tutte le correnti che si
        agitano nel socialismo mondiale, non
        potevano essere che neutrali, e limitate a convocare imparzialmente i diversi partiti appena il Congresso internazionale.sarà possibile».[60] A Parigi patrocinò la proposta di convocare una conferenza
        zimmerwaldista a Roma, da contrapporre alla conferenza interalleata di Londra alla quale
        la direzione del partito socialista italiano aveva rifiutato di inviare propri
        rappresentanti. Morgari interpellò, a tal proposito, alcuni membri della nuova direzione
        (ex minoritaria) del Partito socialista francese e della nuova Commissione internazionale
        (tra i quali Longuet, Faure, Frossard) ma questi opposero un netto rifiuto e gli mossero
        il rimprovero di non aver partecipato alla
        conferenza di Londra, dove i socialisti italiani neutrali avrebbero potuto collaborare con i minoritari.   24. La Comune di
        Budapest     Dopo
        la sconfitta degli imperi centrali e l'abdicazione di Carlo d'Asburgo, il presidente
        provvisorio dell'Ungheria Karolyi, di fronte alle crescenti difficoltà e nella speranza
        di attenuare lostilità delle potenze vincitrici, aveva rassegnato le dimissioni
        affidando il potere al partito socialista nato dalla fusione dei socialdemocratici col
        piccolo partito comunista fondato da Bela Kun. Così iI 21 marzo del 1919 veniva proclamata a Budapest
        la Repubblica Ungherese dei
        Consigli.     In effetti l'Intesa mandò a Budapest  un suo rappresentante col compito di trattare
        l'accordo di pace. Fu un successo per il governo dei Consigli non solo in Ungheria (dove  l'opinione pubblica lo appoggiò in uno spirito di
        solidarietà nazionale) ma anche in Europa, alimentando l'interesse intorno alla seconda
        rivoluzione socialista, attuata nel cuore dellEuropa.      Il successo e i consensi dei primi
        giorni di vita permisero al governo rivoluzionario di lavorare per l'edificazione anche
        pratica del nuovo ordinamento sociale, economico e produttivo del paese, esprimendosi con
        misure più massimaliste di quelle attuate in Russia: il 26 marzo fu decretata la
        nazionalizzazione di tutti gli impianti industriali, minerari e di trasporto con più di
        venti operai, di tutti i beni immobili e gli istituti finanziari; il 3 aprile si dichiarò
        il passaggio di tutte le proprietà fondiarie a «proprietà
        dello Stato proletario senza alcuna indennità di riscatto». Quest'atto, sebbene  in linea con la dottrina marxista e soprattutto
        dettato dalla necessità di garantire la continuità dei rifornimenti alimentari alla
        capitale e al fronte, rappresentava una delusione per quei contadini poveri che avevano
        sperato nella ridistribuzione fondiaria e nel possesso della terra. Il sistema delle
        «cooperative di produzione» , spesso amministrate dagli ex proprietari, non fu di fatto
        accettato.    Frattanto l'Intesa favorì la creazione di
        governi controrivoluzionari e aiutò gli attacchi militari della Romania e Cecoslovacchia.
        La sorte della repubblica dei Consigli sembrava già segnata quando alla metà di aprile
        le truppe romene iniziano la loro offensiva militare se non fosse stato per la
        mobilitazione popolare messa in atto dal governo rivoluzionario  con la creazione di un' Armata rossa a cui
        affluirono per spirito patriottico anche ex ufficiali ed elementi della inteIligenzia  I
        mesi di maggio e di giugno gli ungheresi recuperarono le posizioni perdute aprendo  possibilità per la sopravvivenza della repubblica
        dei Consigli che attendeva a brevissima scadenza lo scoppio di una rivoluzione in tutto il
        bacino centro-europeo confortata dalle  notizie
        provenienti dalla Baviera e dalla ritenuta imminente saldatura delle truppe ungheresi con
        l'Armata rossa sul fronte ucraino.  L'avvenimento suscitò viva impressione sulle masse popolari: la rivoluzione sembrava estendersi a macchia d'olio In
        Italia, la Direzione del partito socialista il 19 marzo 1919 aveva votato un
        ordine del giorno di adesione allInternazionale
        Comunista; ora, dopo le novità provenienti dall'Ungheria e dalla Baviera, il PSI
        nel manifesto del Primo Maggio rivolgeva un appello «La
        classe lavoratrice dovrà infine affermare che è ormai animata da chiara coscienza della propria forza e dei propri
        destini, che è pronta a raccogliere e seguire
        gli insegnamenti della Russia, dell'Ungheria, della Baviera dove il potere politico ed
        economico è raccolto soltanto nelle mani di chi produce, di chi lavora». In Italia però le notizie giungevano confuse e allarmanti, la stampa
        socialista era costretta ora ad accogliere ora a smentire le più clamorose invenzioni
        giornalistiche come quella della occupazione della capitale o della morte di Bela Kun.[61]  Lincertezza
        delle informazioni, lesigenza di una presa di contatto diretta, il desiderio di
        manifestare la solidarietà dei socialisti italiani stanno alle origini della missione
        affidata dalla Direzione del Partito a Morgari che si trovava
        allora a Monaco di Baviera; vi si era recato dopo aver inutilmente tentato di raggiungere Pietroburgo da Zurigo e
        da lì il 1. aprile aveva inviato un messaggio a Mosca nel quale esprimeva la piena adesione del PSI all'Internazionale Comunista  e la solidarietà dei socialisti italiani al
        governo dei Soviet.[62]
            Il 19 maggio
        giungeva [63]
        a Budapest  pieno di curiosità e di interesse,
        disponibile allentusiasmo, ma insieme ansioso di registrare obiettivamente sulla
        base dun rigoroso metodo «scientifico»  e
        «sperimentale»  quanto avrebbe visto. La
        tattica consistente «nel registrare colle luci le ombre, le lamentele, le
        deficienze, gli errori», spiegandone beninteso le cause, equivaleva ai suoi occhi «ad
        aprire una scuola pratica ad uso dei proletariati che non hanno ancora fatto la loro
        rivoluzione. Frequentando tale scuola, conoscendo ogni passo del calvario, salito dai
        fratelli che li  precedettero  nella fatica gloriosa,  apprenderanno  ad
        imitare  le cose buone, a prevedere
        difficoltà, a prepararsi a vincerle e a non ripetere gli errori, almeno nella misura che
        le circostanze permetteranno» Il 25 maggio l'Avanti! con un servizio da Budapest dava notizia
        dell'arrivo del Morgari, della sua visita al più grande complesso industriale della
        capitale, la Landmaschinen Fabrik, del suo incontro con le truppe combattenti sul
        fronte  nonché dei colloqui da lui avuti con
        Bela Kun, con Vilmos Bòhm e con Gyula Alpàry. La corrispondenza, negando le
        esagerazioni delle agenzie borghesi (la morte di Kun, loccupazione di Budapest, lo sciopero generale, la fame, il
        terrore), tendeva a dare un quadro ottimistico della situazione: «Ieri visitammo con
        Morgari  il fronte a nord-est di
        Budapest, arrivando a un chilometro di distanza dalle
        posizioni ceche di Miskolcz, ove strisciammo a
        terra per osservare le posizioni sotto il fischio delle cannonate. Miskolcz, fu
        presa nella notte stessa dagli ungheresi, che fecero trecento prigionieri cechi e si
        impossessarono di trenta mitragliatrici... Dovunque visitammo truppe riscontrammo grande entusiasmo. Tutti marciavano compatti, uniti,
        sventolando bandiere rosse,cantando la Marsigliese
        e lInternazionale, adornando
        cannoni, automobili e treni con simboli rivoluzionari e accogliendo la nostra automobile
        con grida di evviva allInternazionale...Ad
        Harszay venne assalito dai soldati lautomobile dello Stato maggiore, improvvisando una dimostrazione di simpatia.
        Un soldato parlò a nome del suo reggimento, pregando i capi dellesercito di
        salutare in loro nome il proletariato rimasto nelle fabbriche, nelle officine e nei
        campi, raccomandandogli di lavorare tranquillamente allinterno, che essi, proletari
        in divisa, faranno il proprio dovere alle frontiere» [64].   A Csòt Morgari si recò il 7 luglio per svolgere
        uninchiesta sullallontanamento
        della compagnia  italiana del 2. Battaglione
        balcanico. I 71 volontari
        italiani dellesercito rosso erano stati accusati dal comandante di
        depredazioni e
        internati a Csòt. Morgari, nella relazione inviata al
        Commissario del Popolo per la guerra, affermò
        infondate le accuse rivolte ai volontari italiani e ne chiese limmediata
        liberazione. Fece visita
        anche alla missione militare italiana, lunica dellIntesa rimasta a Budapest,
        comandata dal maggiore Romanelli. Questi giunse a chiedere i buoni
        uffici di Morgari per convincere Bela Kun a
        cedere il potere, sotto la garanzia dellItalia, in considerazione della
        tragica situazione in cui versava lUngheria, in guerra
        con quasi tutti i suoi vicini e in previsione di
        un probabile intervento dellIntesa. Sembrò, in un primo momento, che Kun si
        manifestasse disposto ad accedere alle proposte del
        Romanelli. Ne da notizia un telegramma, spedito per corriere diplomatico il 26
        maggio: «Delegazione di Budapest informa che lon.
        Morgari ora Budapest per seguire movimento
        bolscevico, avvisa nostra Missione essere Bela Kun
        disposto cedere potere attuale e chiedere intervento Italia per garantire ordine. Bela Kun domanda come Italia ricostituirebbe potere
        in Ungheria e se intervento Italia a Budapest
        porterebbe conseguenza intervento altre truppe
        Intesa..(....)... .se si potesse in qualche modo profittare a vantaggio del nostro
        paese di questo... e prepararci ad una seria influenza
        nostra per dopo, sarebbe certamente opportuno
        non perdere tempo» Ma dopo
        il 24 giugno, in seguito all'opera di difensore dei contro-rivoluzionari
        da Romanelli[65]
         svolta, Morgari ruppe le relazioni con la Missione
        italiana tanto da rifiutare nei momenti della crisi della «Comune» l'ospitalità e la
        protezione offertagli. Una
        polemica si sviluppò successivamente: il Corriere
        della Sera, in polemica
        con l'Avanti! che aveva attaccato la Missione italiana accusandola di correità con
        i controrivoluzionari, aveva scritto che Morgari doveva la sua liberazione dai soldati
        bianchi a Romanelli, circostanza smentita dall'interessato. . In una lettera a Kun  scritta all'indomani del tentativo
        controrivoluzionario del 24 giugno quando alcuni  militari
        dell'Accademia Ludovica cannoneggiarono la sede del governo, consigliava di non ricorrere alla pena di morte sia
        per non dare motivo alla Francia, cui era stato affidato
        il compito di polizia dal trattato di armistizio, di
        intervenire, sia perché metodi feroci di repressione avrebbero influito sul  buon nome della rivoluzione proletaria in occidente,
        e soprattutto perchè «...se
        anche fosse vero che col
        rinunciare al Terrore veniste incontro al voto dei compagni
        di destra, questa sarebbe una ragione in più per rinunciarvi, perché così cementereste quell'unione fra le due
        correnti del proletariato ungherese che è tanto
        necessaria e che è una delle ragioni di superiorità della rivoluzione ungherese sulla russa ...L'obiezione più grave pare questa, che la controrivoluzione del 24-25 corr. sia stato il frutto
        di un regime dittatoriale non severo . Concludeva suggerendo che imprigionare molti ribelli e cospiratori borghesi equivale, come
        efficacia, ad ucciderne alcuni. Minore l'intimidazione, ma in compenso maggiore la
        paralizzazione. Non crudeltà, non vendetta, ma difesa recando il minor dolore possibile. .
        Davanti all'ultimatum di Clemenceau, che intima agli ungheresi di cessare le operazioni
        militari contro i cechi e i romeni, Kun dovette cedere e far ritirare le truppe schierate
        su posizioni avanzate. Questo gettò lo scompiglio nelle file dell'esercito rosso
        ungherese, facendone precipitare il morale e la compattezza. Il
        1° agosto, mentre le truppe romene si apprestano a marciare su Budapest, con la capitale accerchiata e con una controrivoluzione sempre più attiva all'interno, il
        Consiglio del governo rivoluzionario si dimette, e il
        18 novembre entrava in Budapest l'ammiraglio
        Horty instaurando un regime controrivoluzionario.[66]  Entrati
        i romeni a Budapest  tra il 7 e l'8 agosto,
        dopo aver assistito «ad una atroce caccia all'uomo», era stato arrestato. Liberato, poi
        di nuovo arrestato altre due volte, infine definitivamente liberato aveva lasciato
        l'Ungheria il 15 agosto.  Dopo due mesi  trascorsi
        a Vienna, il 10 ottobre aveva ripreso la via dell'Italia. Ora ci si attendeva che parlasse, che
        raccontasse quel che aveva visto. Ma preferiva tacere, anche a costo di lasciar nascere
        supposizioni. Se prendeva la parola in pubblico, quanto all'Ungheria si manteneva sulle
        generali e sorvolava sui punti più controversi [67] Da quanto possiamo desumere dalla lettera ai Cari
        compagni della direzione del
        partito, l'esperimento comunista ungherese deluse fortemente Morgari, soprattutto perché la fine era stata causata non tanto dalle forze esterne, quanto «dallo stesso voltafaccia della maggior parte
        dei lavoratori». La lettera è un documento che ha un notevole valore politico e biografico. Dopo aver premesso che
        «[...] se il viaggio compiuto per vostro incarico e
        l'aver visto vivere e tragicamente perire ben due Repubbliche dei Consigli, hanno modificato e temperato le mie antiche
        prevenzioni contro la tattica bolscevica, non le hanno però annullate »,
        riferendosi esplicitamente alle possibilità
        rivoluzionarie che alcuni socialisti itaiani
        ritenevano esistenti in Italia e in altri paesi d'Europa nel 1919 Morgari scriveva: «Non
        ho fede nelle energie insurrezionali del proletariato in Italia e nel resto
        d'Europa, la Russia esclusa, specie nei paesi usciti vittoriosi dalla guerra, nel presente
        stato storico, né d'altra parte credo che la
        situazione politico-economica dei paesi vittoriosi è catastrofica da condurre gli
        istituti borghesi, a cominciare da quello militare, ad uno sfasciamento che dia il potere al proletariato non per
        la forza di questo, ma per il crollo avversario».
        Per quanto concerneva specificamente l'Italia, egli
        riteneva pertanto che il PSI «dovrebbe guardare la verità nel bianco degli occhi; riconoscere che esso non è ancora in grado di
        rovesciare le istituzioni capitalistiche».  Le
        perplessità che la rivoluzione ungherese poteva suscitare nella base socialista erano sui
        metodi che avevano caratterizzato la gestione del potere nel periodo di dittatura del
        proletariato. Per le tradizioni pacifiste e non violente del socialismo italiano,
        l'argomento aveva una sua indubbia consistenza e non lo si poteva accantonare tanto
        agevolmente. Il «socialismo» non poteva essere costruito col «terrore»[68]:
        naturalmente si dava certo che le descrizioni propalate dalla stampa borghese peccassero
        per eccesso e fossero viziate dalla precisa volontà di stravolgere fatti e situazioni per
        spirito di parte. Ma il problema diventava allora sapere che cosa era veramente successo,
        ricorrendo a testimonianze obiettive e sincere.  Fu solo il 22 dicembre, davanti a 72 deputati socialisti e a qualche
        altro compagno fra cui Serrati, che finalmente ruppe il silenzio tenendo una lunga
        relazione di quel che aveva veduto e appreso in Ungheria. Riferendone due giorni dopo l'«Avanti!»[69]
        negò che le conclusioni fossero cosi disastrose per i massimalisti da consigliare una
        sorta di censura. Morgari, al contrario, era stato invitato a stendere una relazione scritta che sarebbe stata certamente
        diffusa «a meno che non vi si oppongano ragioni di opportunità politica». Certo
        aveva sottolineato anche gli aspetti negativi e il suggerimento che si poteva ricavare
        da quanto aveva detto era «la necessità d'una più stretta intesa, onde gli
        avvenimenti non trovino impreparato il partito, per cui esso sia sorpassato e sommerso da
        altri elementi, i quali, mossi solo da interessi o personali o di gruppo, non vedendo le
        supreme necessità del movimento d'insieme, potrebbero compromettere cogli eccessi, il
        successo di quella rivoluzione sociale, che è la
        finalità stessa del Partito socialista» . Ma intanto altre versioni attribuivano al rapporto Morgari una
        intonazione ben più dura. A stare al «Messaggero» Morgari avrebbe addirittura
        dichiarato che «la dittatura proletaria era passata come una rapida devastazione, che l'attività dei comunisti di
        Ungheria era stata distruttiva e la produzione nelle fabbriche era diminuita dal
        cinquanta al settantacinque per cento», che
        i contadini s'erano rifiutati di approvigionare le città, che la burocrazia, «nonostante il regime comunista, era estremamente
        corrotta», che i funzionari bolscevichi «
        si arricchivano, compiendo, in nome del governo, requisizioni a proprio vantaggio
        », che si erano commessi «atti di brutalità» senza risparmiare «atti
        atroci di repressione»  All'assemblea del 17 febbraio 1920 della
        Sezione socialista milanese, Serrati sostenne che «noi
        non abbiamo alcuna ragione per tenere nascosto
        quanto è avvenuto in Ungheria  La
        rivoluzione è quello che è, non si fa allegramente,
        è irta di difficoltà, di incognite, di aspri doveri». Proprio per questo si poteva analizzare senza paura la rivoluzione
        ungherese, ben sapendo che al di là degli errori o dei difetti essa sarebbe
        rimasta «una grande e gloriosa pagina di storia dell'Internazionale comunista» Ma Morgari preferiva tacere. E invano nel giugno 1920 la segreteria
        della SFIO sollecitava l'invio d'una copia della sua ormai mitica relazione. La richiesta appariva anzi come conferma che aveva fatto bene a non pubblicar nulla. Gli incitamenti e le
        esortazioni a farlo erano state numeroso, «ma  eccettuato per parte di Serrati
         sempre da destri o da avversari». Ora la richiesta dei socialisti
        francesi aveva un analogo retroterra, «Vuol dire
        che si cercano armi contro il massimalismo dei Loriot ecc.». Morgari  non voleva
        servire da arma di scissione. «Ora, né io potrei scrivere in un rapporto la
        metà solamente delle cose vedute, né potrei scriverle tutte, ciò che varrebbe fornire
        argomenti taglienti ai nemici del Partito e alla frazione di esso che non è quella alla
        cui fiducia dovetti l'incarico del viaggio in Ungheria». Ma non era solo questo il motivo di tanta resistenza. Al di là del
        dissenso, che pure aveva preso forma, c'era un impegno di solidarietà al quale non si
        poteva mancare nei confronti di «quei compagni di fede, ora tutti dispersi per il
        mondo o tragicamente periti» che avevano generosamente dato vita all'esperimento d'Ungheria. Anche per questo il silenzio rimaneva,
        nonostante tutto, la migliore consegna.   25.
        I viaggi in Russia e la valutazione
        del bolscevismo  Nel
        luglio 1922 era stato varato il «Comitato per le iniziative italo-russe»,
        costituito tra alcuni dei maggiori rappresentanti della grande industria ed esponenti
        autorevoli del socialismo riformista, cui avevano dato la loro adesione  tecnici come Alberto Beneduce. Con
        Turati, Buozzi e D'Aragona si erano
        impegnati anche Baldesi. Morgari, Colombino, Buozzi, la Cgl e i direttivi di federazioni
        operaie e di leghe cooperative che tentarono di stabilire un terreno di intesa  con gli industriali per contrastarne lallineamento
        al movimento fascista e per ricostituire il blocco di interessi del periodo giolittiano   La carta era quella di favorire un'apertura alla
        penetrazione commerciale italiana sul mercato sovietico che consentisse di alleviare il
        blocco delle esportazioni ma anche di alimentare canali di rifornimento di materie prime
        svincolati dal monopolio dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. In complesso, una grossa rappresentanza
        degli interessi del settore meccanico, della navigazione, tessile e chimico dellItalia
        settentrionale aveva raccolto linvito. Mai come in quel momento era parsa
        consistente la prospettiva di una convergenza reciproca fra industriali e sindacati. Ma
        questa politica aveva degli antefatti: i riformisti avevano puntato le loro carte su
        Agnelli come l'unico in grado di trascinare altri esponenti economici e di avere
        l'appoggio di Giolitti e che soprattutto era andato inseguendo l'obiettivo di ripristinare
        i rapporti commerciali con la Russia fin dal 1920 quando emissari della Fiat avevano
        compiuti dei sondaggi con Krassin e altri agenti sovietici in Europa. «Per Buozzi Agnelli è la maggior forza che si potesse
        avere con noi. È sicuramente il grande industriale lungimirante capace di procedere per
        tre-quattro anni per raggiungere uno scopo. Anche se collocasse in Russia migliaia di
        auto e  camion senza un centesimo di
        profitto, avrebbe convenienza ad alimentare l'industria. È un esportatore, unico a
        vendere  nel mondo, ad essere il più grande
        fabbricante di macchine»[70]    Finita la fase ascendente dell'ondata
        rivoluzionaria in Europa, il governo sovietico aveva espresso agli ambienti economici
        occidentali la sua disponibilità per una ripresa delle esportazioni, secondo lo spirito
        della Nep di recente inaugurata.  Morgari
        all'arrivo  nel marzo 1921 di una missione
        commerciale russa conclusasi con la sottoscrizione di un trattato commerciale
        provvisorio aveva ripreso le trattative per conto della Fiat e poi, con il presidente
        del Consorzio operai metallurgici Colombino, era stato a Genova, a sondare il terreno
        presso la delegazione sovietica alla Conferenza apertasi il 19 aprile.    Le forti riserve sollevate da destra e
        l'intervento del ministro degli Esteri in Consiglio dei ministri erano valsi a rimettere
        in discussione la ratifica del trattato con la Russia già sottoscritto a Genova il 24
        maggio che comportava il riconoscimento dello stato sovietico cosicchè nellestate si era creato un vuoto politico,
        sebbene i rapporti tra la società italiana e il mondo russo si fossero infittiti: lItalia
        aveva risposto con grande slancio all«appello contro la fame» lanciato da Maksim
        Gorkij per combattere gli effetti della terribile carestia che alla fine del 1921
        aveva colpito molte regioni della Russia. Il partito socialista aveva costituito il
        Comitato pro-Russia che allinizio del 1922 aveva inviato nel Mar Nero l«Amilcare
        Cipriani», con un carico di viveri e di medicinali. Paradossalmente
        il rifiuto al riconoscimento della Russia  finiva
        per rivalutare la presenza di Morgari e dei suoi compagni nel Comitato perchè rimanevano
        valide le  prospettive di natura economica e
        commerciale. Proprio su questa base il presidente della Fiat aveva ritenuto opportuno
        mantenere in vita il Comitato In queste condizioni però l'attività dei
        rappresentanti socialisti era destinata a scadere in un'opera di pura e semplice
        mediazione commerciale in un momento in cui   era
        mutato profondamente il clima  del Paese e si
        era andato chiarendo il carattere illusorio di prospettive di collaborazione fra
        costituzionali e riformisti, cui non era servita nemmeno la scissione del partito
        socialista.     Morgari nel corso dellestate aveva
        intessuto una fitta rete di corrispondenza con industriali, cooperatori, autorità
        governative, per far decollare un progetto di colonizzazione agricola  che espose al primo congresso italo-orientale e
        coloniale, che si tenne a Trieste dal 12 al 15 settembre 1922, gettando un ponte fra la
        politica dei «grandi» e dei «piccoli» affari, invitando a considerare il commercio
        italo-russo in funzione dellimportazione delle materie prime. Egli si riferì alla
        Russia come allunico paese che potesse salvare lItalia dallisolamento e
        dallaccerchiamento economico e si propose per andare in Russia come ambasciatore di
        questa politica.    La sua perseveranza verrà premiata: alla fine
        del 1922. Agnelli e l'industriale milanese Marinotti lo inviarono a Mosca, con lincarico  di essere il loro osservatore commerciale; anche se
        non era ciò che Morgari aveva desiderato, qualora la Fiat avesse deciso di impegnarsi
        seriamente sul mercato russo si sarebbe trattato pur sempre di un contributo alla «lotta
        contro il monopolio delle grandi potenze industriali».   Egisto
        Pavirani, cooperatore e tecnico agrario socialista lo aveva seguito per studiare la
        realizzazione di un progetto di colonizzazione italiana nella Russia meridionale. "Mussolini in persona si espresse favorevolmente allimpresa
        col Baldini" scrisse Morgari[71]
        a Pavirani prima che questi, insieme a un compagno comunista delegato dal PcdI si recasse
        nella Russia meridionale per ispezionare la concessione.  In
        sostanza, dileguatosi l'ottimismo iniziale circa un proficuo intervento in Russia di  cooperative agricole socialiste, del lungo lavoro
        portato avanti da Buozzi, D'Aragona e Turati, rimarrà in piedi semplicemente il
        rapporto personale stabilito da Morgari con Agnelli, ma senza alcuna concreta rispondenza
        alle volenterose aperture verso la grande industria per un rovesciamento dei suoi
        orientamenti politici di fondo. Le
        sue valutazioni sul regime sovietico variarono nel corso deli anni: nellopuscolo  Che cosa vogliono i socialisti unitari,  pubblicato
          nel 1923  condannò il   regime
           russo,   ponendolo  sullo  stesso  piano di quello fascista  oggigiorno in Russia,   grazie al terrore, dominano ancora i
        comunisti ma di socialismo non c'è quasi più niente... Con la tattica della fretta non
        si ottiene altro che di diffamare il socialismo » Quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con
        i comunisti, s'accenderà il dibattito sul pacifismo socialista, fu il primo a far sua
        la parola d'ordine della difesa dell'URSS che, riteneva, per la sua stessa natura sociale
        non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione.   Nel 1936-37 soggiornò nell'URSS e in particolare in
        Crimea nel periodo delle "grandi purghe" e di queste dette all'inizio
        un'interpretazione filostaliniana, cosa che non impedirà che gli venissero confiscati al
        momento del rientro in Francia[72]
        i materiali di studio costituiti da note e appunti che, come sua consuetudine, egli
        diligentemente compilava  e che erano custoditi
        in due valigie, per cui non ci restano documenti su questo soggiorno.   26. Nel movimento antifascista in Italia e in
        Francia (1922-44) Rieletto nel 1919 e nel 1921, pur avendo chiesto di
        non essere più candidato, come segretario del gruppo parlamentare
        prospetta i pericoli della situazione politica e chiede la revisione della linea di
        condotta del Partito. Il 2 agosto 1921 con Bacci, Zannerini, Musatti per il Gruppo
        Parlamentare e la Direzione del PSI, Baldesi, Galli, Caporali per la CgdL, firma il patto
        di pacificazione con Mussolini, De Vecchi, Giuriati nello studio del presidente della
        Camera De Nicola.  Nel dopoguerra la sua voce nei dibattiti interni del
        partito risuona sempre meno: non interviene ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919),
        Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922), e nel corso di quest'ultimo vota la mozione
        riformista aderendo al
        Partito Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la
        dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri.  Scrive nel 1923 l'opuscolo II Partito socialista
        unitario per illustrarne i princìpi; durante le elezioni del 1924 raccoglie le
        prove delle violenze fasciste e documenta i brogli e il terrore delle camicie nere nel
        pamphlet La libertà di voto sotto il regime fascista. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.) della
        Direzione del Partito Socialista dei
        Lavoratori Italiani (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all'indomani
        dell'attentato Zaniboni. Nel 1926 ripara in Francia dove con
        Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collabora alla
        ricostruzione dell'organizzazione che prende il nome di Partito socialista unitario del
        lavoratori italiani (PSULI) e che in quel momento dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e
        Lione), mentre i massimalisti, più numerosi,  ne
        avevano sette. L'impegno maggiore è quello di fondarne altre nei più importanti centri
        dell'emigrazione e di far uscire l'organo di stampa "Rinascita socialista",
        come si desume dalla Circolare sull'organizzazione che Morgari stila in data 1. maggio
        1927 Il PSULI pur avendo un numero di iscritti
        inferiore a quello dei massimalisti, poteva contare su dirigenti di notorietà
        internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e delle sovvenzioni
        dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti
        della ricostituita CgdL Collabora al
        «Corriere degli Italiani», fondato da "popolare" Luigi Donati, risiedendo presso la
        redazione del giornale [73].
         Il
        "Corriere degli Italiani", sposando posizioni alquanto critiche
        verso gli ambienti del fuoruscitismo offrì il fianco alla provocazione fascista,
        ricevendo finanziamenti addirittura dall'Ambasciata italiana: è questo, della eccessiva
        credulità, un aspetto della personalità del Morgari che si rivelò pericoloso in un
        ambiente  infiltrato di spie e provocatori
        quale quello dell'emigrazione antifascista in Francia[74]. Fece parte del "Comitato per l'azione
        in Italia" costituito nel 1928, e nel 1929 della "Commissione per la propaganda
        in Italia", presiedute entrambe da De Ambris.  Nel 1930
        al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio, che è anche il
        congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l'ala giudata da
        Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori) è nominato segretario
        amministrativo (segretario politico Ugo Coccia).[75] Non risulta aver partecipato invece al 22.
        Congresso, tenuto Marsiglia nell'aprile 1933. Con il 1933-34 la vita
        politica europea subisce un'accelerazione cresente: in Germania arriva al potere Hitler e
        viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli
        anni dello scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto
        di unità d'azione con i comunisti e dell'impegno in Spagna. Il
        tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare oggetto di
        discussione: quando nel
        1934, dopo il patto d'unità d'azione con i comunisti, si accenderà il dibattito sul
        pacifismo socialista, è il primo a far sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che
        riteneva per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione e
        propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di
        guerra.  E' Morgari
        a  iniziare la discussione con due articoli sul
        "Fattore
        bellico nella politica dell'antifascismo"
        pubblicati dal "Nuovo
        Avanti! dellaprile
        1938, cui  rispose     Modigliani richiamandosi
          alla tradizionale
        agitazione socialista, che con la
        politica del non intervento di Leon
        Blum strappa alla borghesia la bandiera del pacifismo integrale,
        che in Francia è un fatto di
        massa, con radici profonde nella grande guerra, nella «rivolta umana contro la
        distruzione bestiale e la morte a comando Ma e poi? chiede
        Morgari, che non rinnega
        il suo precedente pacifismo, ma ritiene antistorico
        riproporre il cliché di un marxismo " unilaterale e semplicista", quando l'esperienza insegna che "talune
        guerre hanno portato non reazione, ma libertà
        (
) La stessa guerra mondiale del
        1914-1918 partorì la rivoluzione d'Ottobre e
        ben dieci repubbliche democratiche Gli interrogativi
        si affollano. E se la guerra scoppiasse mentre noi
        stiamo svolgendo il nostro apostolato per la pace, cosa dovremmo
        fare? Continuare la nostra missione, come se niente fosse, per
        l'emancipazione del proletariato e rifiutare di allinearci al blocco antifascista? Ma se
        questo malauguratamente perdesse la partita e
        quindi di conseguenza il proletariato fosse inabissato nella dittatura
        reazionaria per una o due generazioni? «Collaboriamo con le altre forze
        progressive del mondo a scongiurare la nuova guerra europea, ma se è destino che si
        produca, prepariamoci spiritualmente, tatticamente e organizzativamente a far si che
        questo nuovo spaventoso delitto del fascismo si converta in una tomba per le camice nere,
        brune, verdi e di ogni colore. Con tutti i mezzi, nessuno escluso! 
           Al 23. Congresso (terzo dell'esilio) svoltosi a Parigi dal 26 al 28
        giugno 1937, un anno dopo la vittoria del Fronte Popolare, è delegato della Federazione
        parigina. Nel corso del 1938 interviene in comizi "unitari": parla, con Emilio
        Lussu per Giustizia e Libertà e Giuseppe Di Vittorio per il PCI, il 5 aprile a
        Grenoble, e il 6, sempre con Lussu e con Giusppe Berti per il PCI, a Lione. Collabora al
        periodico repubblicano "Problemi della rivoluzione italiana" [76]   Nell'estate
        del 1939 il patto russo-tedesco mette in crisi lalleanza fra PSI e PCI e la
        segreteria di Nenni che ne era stato fautore. In unassemblea convocata nella sala di
        rue Meslay nellottobre 1939 prende la parola per chiedere le dimissioni di Nenni,
        che viene sostituito da un Comitato composto da Morgari, Saragat e Tasca, con funzioni di segretari e di direttori del
        giornale[77] Morgari in due articoli del marzo 1940
        pubblicati dal Nuovo Avanti! dichiara di non aver rimorsi per "aver
        stretta la mano pentita" che Mosca offriva nel 1934 e per aver polemizzato con
        Modigliani Tasca e Faravelli a difesa dell'unità
        d'azione, perché quella politica corrispondeva alle esperienze e agli ideali
        socialisti: difendere l'Urss, mantenere la pace,
        impedire la fascistizzazione dell'Europa. Ma ora che Mosca con il "turpe
        abbraccio" con Hitler non lascia più dubbi sulle sue intenzioni di scegliere la
        guerra per bolscevizzare l'Europa, egli non ha remore
        «a cancellare risolutamente Stalin ed i
        suoi seguaci» dalle alleanze socialiste, innanzi tutto «"pregiudizialmente",
        per un motivo di incompatibilità morale».La sua indignazione è al massimo. Definisce Stalin "truffatore"
        e "giuda", chiama «il paese
        di Stalin, non più Urss, come finora, ma
        bensì Russia quanto allaspetto geografico e Stalinlandia quanto al regime politico   Fu
        questa del marzo 1940 la sua ultima presa di posizione politica; il  Comitato venne integrato da Buozzi e Faravelli e
        quando i tedeschi entravano a Parigi, mentre gli altri membri si trasferivano nel Sud,
        dove poi elaborarono le Tesi di Tolosa, si trovava ricoverato in un ospedale.
        Verso la fine del 1940 allaggravarsi del male ottenne di ritornare a Torino, dove rivide amici e
        parenti che avevano persuaso le autorità a concedergli di tornare e di potersi recare a
        Sanremo, dove si spense nel novembre del 1944.  in una modesta pensione.   L'11
        novembre 1945 la salma venne trasferita a Torino, e presso la sede provinciale del PSIUP
        fu commemorato dal socialista alessandrino Paolo De Michelis.    27. Conclusione     Spariva con lui una figura tipica del
        socialismo italiano di fine secolo. Nutriva una fede positiva nell'uomo ed era convinto
        che i proletari si sarebbero riscattati da soli. Riformista, non dimenticò mai
        l'obiettivo ultimo, anzi in più occasioni lo additò ai compagni che  indulgevano al ministerialismo ma, convinto che la
        situazione non fosse matura per  la   rivoluzione, optò sempre per il quadro dei
        miglioramenti che la classe lavoratrice può procurarsi oggi.    Con la svolta politica del 1901 intravvide la
        possibilità di rafforzare l' alleanza con l'ala progressista e radicale della
        borghesia, ma l'appoggio alle forze più rinnovatrici della borghesia non ebbe nulla in
        comune con l'acquiescenza al ministerialismo e al trasformismo giolittiano.     Fu dopo il 1907 una figura isolata a livello
        nazionale, lontano dal massimalismo vittorioso nel 1912, ma anche distinto dal riformismo
        lombardo-emiliano per alcuni elementi di originalità, in primo luogo la particolare
        sensibilità per i problemi del Mezzogiorno e l'insistenza con cui si battè per il
        suffragio universale accanto a Gaetano Salvemini e a Giuseppe E. Modigliani, mentre
        nella sezione torinese non si preoccupò di crearsi un seguito personale.  
           La Grande guerra lo rilanciò  ma il dopoguerra, con i profondi mutamenti avvenuti
        (rivoluzione russa, fascismo), lo vide appassionatamente partecipe ma ormai consegnato a
        un ruolo di  testimone di unaltra epoca,
        autorevole ma sorpassato. 
        
 
 
           
           
           
           
           
           
           
           
           
           
           [12] 
          La
          Stampa, 6.12.1899. Questo il bilancio, poco simpatizzante, dei caratteri del primo movimento socialista a Torino che
          traccerà un trentennio dopo, Piero Gobetti:La
          fisionomia del vecchio socialismo torinese fu data quasi essenzialmente dall'esistenza dell'Alleanza cooperativa, grande organismo
          economico che si rivelò capace di sostenere la concorrenza del libero commercio
          nel provvedere alle esigenze del consumo ma, in sede
          politica, fu scuola di collaborazionismo e di spirito burocratico. Né alcuna corrente che
          divenisse dominante nel partito ne potè prescindere, perché questa era la vera base finanziaria del partito nella sua azione locale.
          Nofri, tecnico  del cooperativismo, nel quale
          potè anche trovare il suo canonicato; Casalini,
          il missionario dell'igiene, il medico dei poveri, che lavorando nel  suo
          Comune esauriva tutti i suoi ideali filantropici; Morgari, l'apostolo popolare
          nella lotta contro i soprusi e i privilegi, furono le figure eminenti e popolari nella psicologia rudimentale delle masse.
          Il «marchese»  Balsamo-Crivelli, il raffinato dell'erudiziene, il Pastonchi
          degli studi storici, e il «professore» Zino Zini recarono al quadro i necessari
          colori  romantici,
          con la loro adesione aristocratica e filosofica alla causa degli umili e degli oppressi.
           
           
           
           
           [18] Morgari scrisse la prefazione al libro di
          Francesco Berutti Le bande svizzere: episodio
          tipico dei moti di maggio 1898, Arona, 1904. Così Umberto Levra smonta la
          leggenda (Il colpo di stato della
          borghesia", Milano, 1975): poco
          più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e, grazie a collette improvvisate,
          si dirigono senz'armi e senza bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine
          intervengono però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario morto,
          arrestano gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li
          ammassano in un campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno
          speciale, dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei rivoltosi e li
          trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li consegnano a una compagnia di
          bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran parte dell'opinione pubblica svizzera colpita
          dalla procedura indegna delle tradizioni liberali elvetiche (
) AI Sempione poche
          decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero, disperdendosi sui monti;
          la maggior parte di essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il confine a
          piccoli gruppi (
) Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per
          arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio, ben 49
          "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla fatica (
) Gli arrestati, quasi tutti in età compresa
          fra i 15 e i 30 anni e per lo più originari della provincia di Novara e, in subordine,
          del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono  immediatamente
          deferiti al tribunale militare di Milano con ordinanza del 19 maggio del tribunale di
          Domodossola, il quale si preoccupa, da un Iato, di "legittimare completamente
          l'operato della truppa" che ha arrestato i 49 individui e, dall'altro, di far
          risaltare con evidenza Ia connessione fra i fatti criminosi di Milano e la formazione e
          marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo,
          la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata ai poteri dello Stato,
          il saccheggio, la distruzione. Quindi è che qualunque è la denominazione giuridica a
          darsi ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da applicarsi, sembra
          che tali fatti non possano non appartenere alla competenza dell'Autorità Militare di
          Milano funzionante da Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento
          dell'istruttoria quanto pel giudizio. Il tribunale militare di Milano, incurante
          delle testimonianze oculari di uomini d'ordine elvetici e italiani, si atterrà alla
          versione  delle bande armate, coinvolgendovi
          anche il Rondani e il Vergnanini e gli altri principali esponenti socialisti e
          repubblicani rifugiati a Lugano  [19] La stessa
          validità giuridica del decreto del 22 giugno era in questione: la Corte dei conti l'aveva
          registrato con riserva in quanto ledente l'assoluta competenza del potere legislativo,
          mentre sulla sua legittimità era stata chiamata a pronunciarsi in maniera definitiva, la
          prima sezione penale della Cassazione di Roma che il 20 febbraio 1900 emise una sentenza
          che dichiarava l'illegittimità del decreto non essendo stato approvato
          
           
           
           
           
           
           
           
           
           
           [30]    
          G.B.Furiozzi,  Francesco Paoloni e il socialismo integrale, 1892-1917,
          Firenze, 1993
           
          
           
           [34] l'Avanti!,
          17 luglio 1908, "Possono
          i
          Socialisti cristiani
          iscriversi al nostro partito?
          riportata anche in A.Luciani Socialismo e
          movimenti popolari in Europa, vol. 2,t.2, Venezia, 1985" «On. Morgari,
          Ella gentilmente c'invita nell'Avanti! di alcune sere fa ad esporre le idee che hanno
          condotto noi e numerosi nostri amici democratici cristiani, aderenti alla Lega democratica
          nazionale, a fare una professione di fede socialista; e il suo invito è cosi cortese, ed
          è un indizio cosi indubbio di una serenità che molti si ostinano a non vedere fra i
          socialisti, che noi non possiamo sottrarci a quest'atto di "coraggiosa
          sincerità", come Ella lo chiama. Ella sa, onorevole Morgari, come un nostro ordine
          del giorno sull'indirizzo sociale che avrebbe dovuto assumere la Lega democratica
          nazionale nel prossimo Congresso, ordine del giorno esplicitamente socialista, abbia
          diviso in due frazioni la sezione romana della Lega stessa. Dall'una parte la nostra
          corrente; dall'altra quella dei democratici-cristiani vecchio stile, la quale crede
          conformemente all'antico programma sociale-cristiano di rimediare alle ingiustizie della
          società attuale cercando soltanto di infonderle un nuovo spirito morale, e ritoccandone
          alquanto le istituzioni, ma mantenendole nella loro struttura fondamentale..(...).La
          nostra adesione al socialismo, on. Morgari, ha radice nelle nostre convinzioni religiose.
          La religione per noi non è una credenza intellettuale in certi principi astratti
          od un cerimoniale, cioè un insieme di pratiche cristallizzate, come la predicano e la
          sentono i seguaci della tradizione. La religione
          è
          anzitutto e soprattutto un atteggiamento pratico e vitale di fronte al problema
          dell'essere e della vita: è l'atteggiamento dell'uomo che sente la propria insufficienza
          individuale, e cerca di completare ed integrare la propria esistenza entrando in comunione
          di vita con una potenza superiore, di cui egli sente essere una parte. La vita religiosa
          è una vita di effusione, di allargamento per cui all'uomo vecchio fatto di egoismo
          sottentra l'uomo nuovo assetato di amore e di giustizia. Nulla quindi di più contrario
          alla religione dello spirito individualista, sia esso morale od economico, per cui l'uomo
          considera se stesso come centro e fine delle proprie azioni e subordina gli altri ai
          propri desideri. Duto questo concetto della vita religiosa, per cui essa non viene
          concepita come una forma particolare di vita contrapposta a quella morale, economica,
          ecc., ma come un orientamento di tutta la vita, era naturale che noi dalle dispute
          filosoicho e teologiche, scendessimo alla considerazione dei problemi sociali. E di
          fronte alla società presente, che della conquista della ricchezza fa una guerra atroce
          fra uomo e uomo, e crea un dualismo gravido di lotte e di odii tra capitale e lavoro, fra
          produttore e consumatore, noi ci siamo domandati: corrisponde questa società al nostro
          ideale religioso? Perché il principio cristiano della solidarietà e della cooperazione
          deve rimanere un principio morale astratto e non può, incarnandosi in una società,
          divenire la legge della produzione e dello scamblio? Perché mai questa vita a doppia
          partita? Ed allora noi abbiamo profondamente sentito la bontà dell'ideale socialista;
          noi abbiamo sentito che oggi il socialismo non rappresenta soltanto un esercito di
          sfruttati, spinti dall'insofferenza del giogo padronale verso la conquista di
          un'esistenza migliore, ma rappresenta l'umanità nelle sue più nobili aspirazioni di
          giustizia e di solidarietà, aspirazioni che il proletariato ha l'alta missione storica
          di realizzare....Sulle labbra di Cristo suonarono i più forti accenti di speranza che mai
          abbia udito l'umanità, e il Cristianesimo sorse come una grande speranza nell'avvento
          di un regno che non era già quello dell'oltretomba, ma un regno terreno di giustizia e di
          amore, Solo durante i secoli da speranza sociale che esso era, divenne speranza
          individuale, una partita personale fra l'uomo e Dio. Ma il nostro cristianesimo non solo
          ci ha convinti della bontà e della verità delle aspirazioni socialistiche, ma ci dà
          pure la speranza e la fiducia ch'esse possano pienamente trionfare. Se il socialismo per
          attuarsi richiede una forte trasformazione psicologica dell'individuo, una trasformazione
          delle tendenze egoistiche e particolariste in tendenze altruistiche, chi meglio di noi che
          abbiamo cosi profonda fiducia nell'energia creatrice dello spirito umano e siamo gli umili
          ma consapevoli rappresentanti di una religione che fu detta di liberazione, appunto
          perché ammette le ampie possibilità di trasformazioni e di adattamenti dell'uomo, chi
          meglio di noi potrà avere fede e speranza nel divenire della società socialista? Del
          resto la storia costituisce una luminosa riprova della verità della nostra convinzione:
          tutte le volte che il cristianesimo è stato profondamente vissuto e sentito, esso non
          si è rivelato soltanto come movimento religioso, ma come movimento sociale.(...). Se
          quelle idealità cristiano-comunistiche non si realizzarono, si deve più tosto al fatto
          che i rappresentanti di esse non seppero accoppiare all'alta visione ideale quello spirito
          critico e quel senso realistico della vita politica e sociale che è carattere proprio del
          socialismo attuale. Anche l'Avanti! on.
          Morgari, accennava recentemente in una corrispondenza americana ad un grande movimento del
          clero umericano verso il partito socialista, al quale avevano aderito vescovi e sacerdoti
          numerosi; il Congresso pan-anglicano, teautosi in questi giorni a Londra, ha dimostrato
          quale formidabile corrente in favore del socialismo vi sia nel clero anglicano; parecchi clergymen hanno fatto delle dichiarazioni
          socialiste nel più largo senso della parola, tra applausi fragorosi dell'assemblea: in
          Francia e nel Belgio, Jaurès e Vandervelde, tra i socialisti, hanno mostrato di capire
          tutto il vantaggio che alla causa socialista potrebbe venire dal rinnovamento del
          cristianesimo; in Inghilterra i socialisti hanno inaugurato delle cosi dette Chiese di lavoro ...Noi sentiamo le difficoltà
          che in Italia si oppongono ad un movimento simile, ma nutriamo profonda speranza che
          progressivamente si possa attuare un'intesa fra le persone sinceramente cristiane e la
          democrazia socialista. E concludiamo, onorevole Morgari, con una domanda :a chi professa i
          nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista? » 
           
           
           
           [39]«Esaminata
          situazione, ritengo che ove Governo pensasse prendere occasione avvenimenti Andria per
          iniziare
          radicale opera rigenerazione Mezzogiorno, dovrebbe sciogliere amministrazione comunale
          Andria, aprire processo per associazione a delinquere che non arrestisi davanti
          eventuali responsabilità dominatori comune e deputato Bolognese: sottrarre istruttoria
          giudice Macchia da tempo, per varie prove, legato ai responsabili dei fatti, ricercare
          probabili conniventi vari funzionari, specie delegato Damiani e sottoprefetto, e loro
          eventuale destituzione; incriminare
          carabinieri e soldati, che invece di limitare il fuoco contro autori vari spari che non
          causarono scalfittura alcuna militi, spararono su quanti curiosi fuggenti transitavano via
          Carmino, ingigantendo conflitto; sciogliere corpo guardie notturne e campestri in cui
          attendono pregiudicati; disperdere con mezzi legge aggruppamenti malavita andriese, che
          acquiescente polizia costituisce braccio esecutivo dominatori comune e deputato collegio;
          sussidiare famiglie morti e feriti. Qualora anche questa volta Governo, traverso sua
          inchiesta istruttoria eludesse obbligo porre fine malavita locale, inciterò 9000
          contadini leghe, più volte vittime violenza suddetta malavita dispederla direttamente
          violenza».[40] Questo il testo
          integrale: "Non
          posso adempiere ad un incarico senza passione, senza fede. Orbene io mi sono andato
          accotgendoche la maggioranza del gruppo ha bisogno di un segretario abile  Un uomo di cararattere, che resta un socialista
          è ormai di impaccio alla maggioranza suddetta, fattasi delifinitivamente incapace di
          tenere alla Camera l'atteggiamento e il linguaggio che a socialisti convengono. E  non  alludo
          con ciò  all' appoggio  che si è dato e che si  continuera a dare al 
          Ministero Luzzatti. AI
          contrario io penso che si potrebbe appoggiare un gabinetto per molto meno quando però il
          Gruppo mantenesse ad un tempo quella fìerezza politica e ripetesse quelle affermazioni
          promgrammatiche con cui soltanto - nel contatto con uomini d' altri partiti, specie se
          cinici e bacati in larga parte -- si può impedire che I'involuzione delle dottrine,
          l'addomesticamento progressivo, l'arrivismo
          Io
          scetticismo penetrino in noi e nelle masse che ci guardano operare. A più riprese,
          ma invano, tentai galvanizzare la spenta fede nell'animo di molti colleghi...e d'altro
          canto mi domando se a un segretario compete questa funzione di mentore o se non piuttosto
          ha l'obbligo di seguire !' indirizzo della maggionza od altrimenti di andarsene. lo me ne
          vado, ormai ritengo che non convenga applicarsi a irrobustire le enerie  fattive e il prestigio politico del Gruppo che
          spenderà poi questi valori in modo che io ritengo deleterio: intendo dire in un non
          lontano m inisterialismo coi giolittiani anche più sporchi, ciò toglierà a! gruppo la
          rispettabilità morale nel preparare con sapiente lentezza e non nella forma fanciullesca  del Ferri, la partecipaz.ione dei socialisti al
          governo; e nel tagliare un dopo l'altro i ponti col passato, accentuando per gradi il
          proprio rinsavimento dalle utopie» originarie, vuoi col fare su di esse il silenzio
          sistematico, vuoi col retrocedere a volgarità di monarchici nazionalisti e militaristi
          selihene di scartamento ridotto, vuoi col porre a riposo l'ultima caratteristica di un
          partito che voglia conservarsi il carattere di sovversivo sul terreno sociale, dico la
          lotta di classe, per limitarsi a domandare in tono melenso amichevolmente le riforme alla
          benigna condiscendenza delle classi dirigenti e del governo
           
           
           
           
           
           
           [48] La Stampa, 27 settembre
          1914. La lettera è stata riprodotta in C. Battisti: Scritti politici e sociali,  Firenze, 1966, p. 470-476.
          . In essa Battisti in risposta all'affermazione dell'indifferenza delle masse operaie
          italiane d'Austria per l'irredentismo sottolineava lo stato d'oppressione in cui
          l'Austria-Ungheria teneva le sue nazionalità, il che ne avrebbe sicuramente determinato
          lo sfacelo a seguito della guerra, il gravissimo malessere, materiale e morale del  Trentino, e il fatto che gli italiani d'Austria
          già versavano il loro sangue sui campi di battaglia per una causa che detestavano, e
          scriveva: «Invano io ho cercato sino ad ora sulI'Avanti!
          " e negli altri periodici socialisti le ragioni pratiche, tangibili della neutralità
          adatta a persuadere anche chi non ha dimestichezza con Engels e con Marx. Vi ho trovate
          lunghe disquisizioni filosofiche sulla collaborazione e sulla lotta di classe,
          disquisizioni che mi hanno fatto l'effetto di un predicozzo sulle cause della miseria a
          chi, avendo fame, chiede pane e lavoro».[49]  Atti
          parlamentari, Camera del
          deputati, tornata del 1. luglio 1916. Il collega è il repubblicano Eugenio Chiesa[50]
          «
          [...]
          non parlo dal
          punto di vista socialista dottrinale, il quale contiene una verità profonda, ma
          unilaterale. La interpretazione
          materialista della storia spiega sempre ad un modo 11 fenomeno della guerra. Per essa
          la guerra è sempre il portato degli interessi economici delle classi dirigenti. Ogni
          guerra altro non è che una bassa e criminosa manovra del capitalismo. Vi è del vero in
          questa tesi, ma non vi è tutta la verità
          ».[51] A. Balabanoff: Ricordi
          di una socialista,  Roma,
          1946, p. 104 «Tutto ad un tratto dallo scanno
          occupato dalla delegazione italiana, si sentì un " non posso votare ". Era il
          delegato italiano Morgari, che già all'esordio della lettura del manifesto aveva fatto
          segni di diniego.[52] Così l'Avanti!
          del 23  luglio 1917:"Nel marzo  de1 1916 a Berna l'on. Morgari conobbe per  il  tramite
          del vecchio  internazionalista Enrico
          Bignami
          il segretario del pacifista Enrico Ford ......Ford è un uomo speciale, entusiasta,
          ingenuo, che in un convegno con Wilson aveva dichiarato di 
          essere disposto a dare tutto il suo patrimonio (750 milioni) per abbreviare   d'un giorno la guerra. Aveva qualificato la
          guerra degli Stati Uniti contro il Messico  come
          un episodio di pirateria  capitalistica,
          usando, inconsapevomente, un linguggio quasi marxista. Invitato da una pacifista
          ungherese,  si decide a fare una spedizione in
          Europa  per 
          determinare una pressione dei neutri per por fine alla guerra. Morgari pensa che
          sarà possibile dare un contenuto concreto a questa attività ideologica e sterile di per
          sé  . Zimmerwald 
          disponendo di sole  tremila
          lire ha fatto un lavoro enorme: cosa potrebbe fare se disponesse di maggiori mezzi?
          ......Egli voleva proporre a Ford di assegnare 50 milioni per fare attraverso 10
          quotidiani opera antibellica, per rafforzare le minoranze antiguerraiole, per spezzare
          l'anello di ferro che le polizie e le censure aveva stretto attorno a Zimmerwald...."  
           
           [55]
          Morgari
          scrisse un opuscolo: "La più internazionale delle internazionali "
          pubblicato
          nel 1915, apparso a puntate anche sull'Avanti! del 19-20-21-22-24-26 agosto. A
          proposito della «questione esperantista», che polemiche abbastanza vivaci suscitò in
          campo socialista
          sembra opportuno sottolineare
          la posizione di Gramsci, decisamente avversa alla diffusione di una lingua unica
          internazionale come mezzo per facilitare i rapporti intemazionali e far comunicare gli
          operai dei diversi paesi.
          «Le
          spinte linguistiche avvengono solo dal basso in alto; i libri poco influiscono sul cambiamenti
          delle parlate: i libri fanno opera di regolarizzazione, di conservazione delle forme linguistiche
          più diffuse e più antiche».  Di conseguenza i socialisti dovevano
          opporsi ai sostenitori dell'esperanto, preoccupandosi
          soltanto
          dell'«avvento
          del collettivismo e
          dell'Internazionale» i quali soltanto avrebbero potuto portare a un «conguagliamento
          delle lingue ario-europee».
          [56]Questo
          il resto della lettera«Mi trovo
          'imbottigliato' in Olanda. Quale italiano non posso traversare la Germania. Quale
          zimmerwaldiano e pacifista, non l'Inghilterra e la Francia. Una pratica avviata da
          questo nostro R° Ministro con i due ambasciatori dell'Aja attraverso Sonnino non ha dato
          ancora alcun frutto decisivo. Avrei potuto rimpatriare facendo un giro lungo, per la
          Spagna o... per New York ma dal 1° febbraio, cioè dall'inizio della guerra sottomarina
          rinforzata, nessun piroscafo per passeggeri è più partito dall'Olanda. La Germania
          pretende che non tocchino l'Inghilterra, questa pretende di visitarli in un porto
          inglese e le negoziazioni durano da due mesi, né se ne vede la fine.  Resta
          libero  per modo di dire  un ' canale ' che dall'Olanda, teoricamente,
          conduce in Scandinavia: largo 20 miglia, con campo di mine inglese a destra e tedesco a
          sinistra, qualche cannonata per sbaglio e sottomarini tedeschi di guardia che, se visitano
          la nave che mi porta ... mi portano prigioniero in Germania.Non è tutto. Occorre essere
          accettato a bordo, e di regola i cittadini dei paesi belligeranti sono respinti. Ma
          supponiamo che io sia riuscito a sbarcare in Scandinavia. Mi si permetterà l'ingresso in
          Russia? Il governo provvisorio è ... interventista quanto l'inglese e il francese. Non
          si esigerà come di regola un visto italiano precedente? E questo mi sarà concesso? Vero
          è che io mi recherei laggiù tuttaltro che per consigliare una pace separata. Mai la
          chiedemmo in Italia. Noi vogliamo la pace tutta, non un miserabile ritirarsi d'uno dei
          combattenti che, tradendo gli alleati, mette al sicuro la pancia. Ma chi sa queste
          cose? Noi tutti passiamo per germanofili, quando non per venduti. (Aggiungi che una pace
          separata russo-tedesca porterebbe a questo, che gli Imperi Centrali, vittoriosi,
          accetterebbero più tardi l'invito che la borghesia russa loro farebbe di accorrere a
          salvarla dalla marea socialista. Ne conseguirebbe lo schiacciamento dei nostri, la
          sostituzione della repubblica con un nuovo tzarismo moderatamente costituzionale e una
          nuova Santa Alleanza, a parte poi il trionfo del militarismo e dell'imperialismo nelle
          loro forme più brute). In breve io raccomanderei di riprendere la proposta Wilson senza
          cessar di combattere.Tornando a noi tenterò questo viaggio (...)»
           [58]A nome della
          sezione socialista torinese, in una lettera datata Torino 29 dicembre 1917[59]Mi  nominaste
          segretario   del   partito   
          neIlo   scorso   febbraio  
          per   plausibili motivi: 1.Motivi
          tecnici: occorreva sostituire il posto lasciato vacante da Lazzari con persona
          sperimentata, ed io ero in quanto segretario del gruppo Parlamentare da anni e come tale
          membro deIla direzione de! Partito pure da anni; 2.Motivi politici, perche la situazione
          faceva credere che una sola forma dazione fosse rimasta al partito, quella
          parlamentare, cosicché appariva utile che i due segretariati fossero, fin quando quella
          situazione durava, riuniti nella stessa persona, ugualmente affiatata con i due gruppi, a
          loro volta in quellepoca sufficientemente daccordo nellunico programma
          di far fronte alla guerra e alla reazione. Lunicità del segretariato
          permetteva alla Direzione di trasmettere ne! Gruppo, più direttamente ed efficacemente il
          proprio consiglio di energica tenace ed intransigente battaglia . 3. Motivi di
          sicurezza, perché la minaccia di scioglimento e di arresto ne! partito e nella direzione
          suggerìvano l'espediente di garantire la continuazione di vita di quegli organismi con
          l'usbergo della medaglia parlamentare, eleggendo a segretario un deputato e immillando un
          comitato di novi; deputati il prendere le redini del partito nel caso che la direzione
          fosse arrestata.  Senonché i rapporti tra il
          gruppo e la  Direzione dopo d'allora mutarono,
          la mia posizione di segretario unico divenne difficile e discutibile, specie a proposito
          di due vertenze: quella per la partecipazionone alle Commissioni governative pel dopo
          guerra e quella per una tattica parlamentare per volgere verso la pace nella qua!e io
          stesso non mi trovai d'accordo con la direzione.
          Come potevo continuare ad  essere il portavoce
          della direzione nel gruppo o   anche solo
          il   trait-d'union,   ugualmente  
          dai due lati benvisto,   se   in  
          queste questioni di capitale   imporitanza  parteggiavo per 
          il   gruppo  direzionale? Avrei dovuto
          già allora dimettermi da segretario, ma me ne distolsero varie ragioni: l'imminenza del
          congresso, l'arresto di Serrati, e quello probabile di Bombacci. La    neutraità dei rapporti personali il
          timore   che  
          a   molti   le  
          mie   dimissioni  apparissero  come   un  
          ritirarsi   da   una  
          carica   pericolosa,   l'inizio 
          di   un   preoccupante sessionamento,   la  
          coscienza   di   contribuire  
          ad   attutire  i   contrasti   in  
          un periodo in cui tutti auspicano che il  partito
          resti uno». Dichiarato che
          la situazione era tale da dimostrare l'impossibiltà di un 
          segretario  unico, proseguì: "mi era
          parso da principio che lasci voi in un conflitto nel quale sono d'accordo con voi e non
          col gruppo, ma già nella mia prima lettera ho spiegato che non mi sarei sentito l'animo
          di sostenere il pensiero della direzione fino a scindere il gruppo e  dimettermi anche da suo segretario se il voto non
          fosse stato quello che fu. Se prima non mi fossi liberato dal sospelto che su tanto mio
          attaccamento alla direzione influisse lo stipendio e il bisogno di assicurarmi le spalle
          nel collegio... In altro parole sono venute a cessare le condizioni che resero
          possibile la mia nomina nello scorso febbraio.  Anche
          il   pericolo   è  
          cessato,   non   per  
          le   singole   persone  
          ma   per   gli eventi. Resta   la  
          difficoltà   di   sostituirmi  
          nel   posto,  ma  si   può  
          risolvere. In primo luogo io mi sento inferiore al duplice mandato per esaurimento,
          stanchezza, abitila irrimediabili, ormai lo vedo. Inoltre Bombacci ha dato prova di
          possedere tutte le doti di esperienza ingegno e carattere necessarie per degnamente tenere
          le redini di un partito di proletari.  Si
          risparmierebbo spesa e si otterrebbe maggiore e più snella produzione affiancando il
          Bombacci con un giovane socialista intelligente e svelto, messo a sua disposizione... Se
          poi Bombacci fosse arrestato la Direzione esaminerebbe la nuova situazione nata»[60]In
          alcuni suoi appunti scrisse al riguardo:  "Questa
          commissione fu costituita per principale spinta dello scrivente... pensando che ciò
          avrebbe altresì preparato le basi di quel congresso zimmerwaldiano che era desiderato
          dalla direziono del P.S.I., considerato che la censura dell'Intesa era riuscita ad
          innalzare una insuperabile muraglia cinese fra l'Europa occidentale (Italia, Francia.
          Inghilterra. Spaglia, Portogallo')e il rimanente d'Europa (Imperi Centrali, Russia,
          Svizzera, Balcani, Scandinavia) muraglia che
          durerà
          ancora a lungo per impedire il progresso del bolscevismo dall'Est d'Europa all'Ovest; (che
          per tale fatto la Commissiono Socialista Internazionale (zimmervaldiana') di Stoccolma era
          e rimane praticamente inesistente nei riguardi dell'Europa occidentale e dell'America, che
          quanto a questi paesi, non si poteva affatto utilizzare il Comitato Esecutivo sorto dalla
          Conferenza interalleata di Londra, interventista o socialpatriotta, o che neppure si
          poteva utilizzare il Bureau Socialiste International dell'antica Internazionale avente per
          segretario Huysmans, le cui funzioni rispettose degli statuti e di tutte lo correnti elusi
          agitano nel socialismo mondiale non potevano essere che neutrali o limitate a convocare
          imparzialmente i diversi partiti appena il Congresso Internazionale sarà possibile, che
          dunque   per l' Europa occidentale e  per l'America era necessario creare un   centro d'informazione e di azione a
          disposizione  delle  correnti di sinistra (internazionalisti,  intransigenti, zimmervaldiani)  nei  suddetti
          paesi. Per
          i motivi su esposti, dopo riunioni preparatorie tenute nei giorni 11-12 e 13 ottobre tra
          Io scrivenite, Kemerer e 3-4 francesi e serbi, il 14 ottobre la Commissione veniva
          costituita in un'adunanza negli uffici del Populair. Criteri:  Attivita  modesta
          ma immediatamente iniziata. La Commissione sara composta di personalità e non di delegati
          ufficiali per risparmiare tempo ma sopratutto per non mettere nell'imbarazzo certi partiti
          (ad es. Il francese, nonostante la recente vittoria dei minoritari ). Si chiederanno   successivamente le  ratifiche dei diversi 
          partiti. Roma 8 gennaio 1919. 
           
           [63]
          «Fra Vienna e Budapest. La rivoluzione ungherese
          resiste», Avanti!, 20 maggio 1919.
           [65] G.Romanelli,NellUngheria
          di Bela Kun e durante loccupazione militare romena. Udine, 1964, p.
          69-73.; nuova edizione dell'Ufficio Storico Militare, Roma, 
          2002[66]Pezzi di colore
          ricavati da appunti scritti nel mese di maggio furono pubblicati dallAvanti il 4,5,10,15 
          agosto. Dal 10 giugno al 15
          agosto coprono gli appunti
          autografi delDiario
          ungherese, in ACS,
          Mostra Rivoluzione Fascista, b. 130; Alcuni
          estratti in G.
          Calciano, Appunti e documenti sullattività internazionale di Oddino
          Morgari in
          Rivista storica del socialismo, 1967, n. 32[67]Cfr. il
          resoconto del comizio tenuto alla Casa del popolo nell'«Avanti!» edizione torinese, 19 novembre
          1919, Morgari parla in Borgo Vittoria [68] Il
          deputato socialista Osvaldo Maffioli si trovava in Ungheria allo scoppio della
          rivoluzione. Nel giugno  aveva avuto un
          colloquio con Kun, cui non aveva risparmiato riserve sull'esperimento di dittatura del
          proletariato realizzato in Ungheria. Il colloquio fu pubblicato con grande rilievo sul «Secolo» del 22 giugno, a firma del giornalista
          Luciano Magrini, al quale Maffioli aveva fatto delle confidenze. La pubblicità data da
          tutta la stampa provocò le ire disciplinari dell'«Avanti!»,
          alle quali Maffioli replicò il 27 luglio invocando il giudizio della sezione milanese e
          rinunciando alle cariche che ricopriva. Morgari era presente al colloquio[69] Avanti!, 24 dicembre  1919,  Gli
          insegnamenti di una rivoluzione.
           
           
           [73]Così lo ricorderà Marzo (G.B.Canepa), in
          Le cronache di una vita, Genova,
          1983, che, costretto ad espatriare, era stato indirizzato a
          Morgari: abitava con la moglie, la Sofia, in
          una specie di « dépendance » del giornale: un ammezzato composto di una
          cucina-soggiorno, e una camera da letto attigua a un bugigattolo ricavato dal sottoscala
          che serviva da ripostiglio. Mi accolse con grande affabilità
..Non solo, ma quando
          gli dissi ch'ero stato espulso dalla Francia e
          dunque che sarebbe stato imprudente alloggiare in albergo, propose di sistemarmi
          in quel sottoscala, e io subito accettai, senza preoccuparmi degli inconvenienti che
          avrebbero potuto verificarsi a causa della coabitazione in un ambiente tanto ristretto
..I
          compiti che mi vennero assegnati erano fin troppo modesti: di buon mattino m'affrettavo
          a compilare la rassegna stampa per i due direttori; quindi dovevo riordinare gli appunti
          che Morgari aveva lasciato sul tavolo e ricopiarli per benino perché poi, al suo arrivo,
          potesse più agevolmente correggerli e ampliarli. Questo lavoro di copiatura dovevo
          ripeterlo più d'una volta, fino alla stesura finale dell'articolo: un lavoro manuale,
          dunque, da semplice scrivano, ma lo facevo con grande scrupolo, pago della fiducia che
          m'era stata accordata. Ed era una fiducia piena, perché quando Morgari doveva comunicare
          agli altri membri della Concentrazione notizie o documenti riservati e importanti, a me
          soltanto veniva affidato il compito di recapitarli. Mi si presentò così l'occasione di
          intrattenermi con personaggi politici famosi: ad esempio con Gaetano Salvemini
..Nenni,
          Modigliani, Claudio Treves... Più spesso però, e regolarmente, dovevo recarmi da
          Francesco Saverio Nitti, che 
.(
)..m'incuteva un rispetto pieno di deferenza.
          Cosicché ogni qual volta sosteneva una
          caduta del regime fascista, in conseguenza dell'inevitabile crisi economica che ben
          presto avrebbe costretto Mussolini a dimettersi, mi guardavo bene dal sollevare dei
          dubbi, ma l'ascoltavo come se fosse un oracolo. I dubbi li sollevava poi Morgari che,
          quando gli riferivo quelle previsioni, si affrettava a smorzare il mio entusiasmo dicendo
          che la caduta del fascismo basata esclusivamente su delle leggi economiche, era opinabile,
          essendo le previsioni in tale materia il più delle volte destinate a restare un pio desiderio. Morgari era un uomo di indubbio buon
          senso, e l'esperienza che feci nel periodo in cui rimasi al suo fianco contribuì non
          poco a costituire il sustrato ideologico della mia futura vita politica. E' dal suo
          insegnamento infatti che appresi a considerare l'anticlericalismo che mi animava, e
          ch'era diffuso non solo nei repubblicani ma anche nei socialisti, un atteggiamento
          destinato a ostacolare il conseguimento della pace
          sociale; e così pure il settarismo che avevo riscontrato in tantissimi compagni quando ritenevano fascisti coloro che
          militavano in altri partiti...Anche per questo suo insegnamento conservo il suo
          ricordo con particolare riconoscenza e affetto.
           [75] Questo il ricordo di Vera Modigliani che lo
          frequentò negli anni 30, in Esili, Milano, 1946 Una grossa testa calva: appena una corona di capelli
          ancora scuri gl'incorniciava il basso della nuca e discendeva sul collo forte. Aveva gli
          occhi vivi sotto le sopracciglia folte, quando, raramente, li sollevava sull'interlocutore. Ma li teneva di preferenza abbassati, quasi a guardarsi dentro,
          nell'anima, in quel lavorio d'introspezione, di autocritica ansiosa, che non lo
          abbandonava mai e che faceva spesso di lui un esitante e talora un contraddittore di se
          stesso. Ho visto a volte quegli occhi accendersi nell'ira e nello sdegno, ed allora
          anche la voce, che era di solito piana, quasi sommessa, si levava in uno scatto, e le
          parole si rincorrevano affannose. Ed anche, ma di rado, li ho visti illuminati da un
          sorriso. Un grosso naso dava a quel viso, che avrebbe potuto sembrar severo, unimpronta
          di bonarietà. Una barbetta breve, appena grigia, gli copriva il mento. Tutti i suoi atteggiamenti erano semplici, cortesi e
          improntati a un. desiderio di non mettersi in mostra. Eppure non era modesto. Aveva
          precisa in sé la nozione del proprio valore, e quel suo fare riservato, quasi ritroso,
          era dovuto forse al desiderio di veder chiaro in se stesso, di districarsi nel numero
          infinito dei «pro e contro». L'ho visto, per ore e ore, assistere ai dibattiti delle
          riunioni, quasi mai partecipandovi attivamente, apparentemente impassibile, con un
          immobilità di Budda, l'eterna pipa nell'angolo delle labbra, sempre cogli occhi
          abbassati, prendendo instancabilmente, su ritagli di carta, appunti ed appunti. (Minuta
          calligrafia di uomo che predilige il dettaglio
). 
          era un'anima mistica di un santo, ma un santo cosciente della propria santità
..
          Da giovane  doveva esser stato robusto e
          tarchiato: conservava ancora un po' quella sagoma. Ma ora gli abiti vecchi e trasandati
          gli si afflosciavano sul corpo dimagrito. Aveva quasi sempre al fianco la sua Sofia, più
          giovane di lui, ma anzi tempo appassita. La trattava come una bambina di scarso
          discernimento; lei, però, sentiva la grandezza morale del suo Oddino e gli tributava
          un'assistenza se non sempre riposante, sempre devota e premurosa. 
           
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