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Biografia
Giovanni Orfeo
Landini
"Il Commissario
Piero"
a cura di Giovanna Giannini
Giovanni Orfeo Landini nacque a
Fabbrico in provincia di Reggio Emilia nel 1913. Il padre era proprietario di
unindustria meccanica che negli anni 30 era molto nota in Romagna. Rimasto
orfano, si trasferì a Milano con la madre e le tre sorelle. Qui Giovanni frequentò
lIstituto Tecnico Feltrinelli e trovò impiego presso la Società dellOrto. A
24 anni ne era già il direttore tecnico. Nel 1936 fu richiamato alle armi e, nonostante
sia già indicato in odore di antifascismo negli ambienti dellOVRA, partirà per
lAfrica come sottotenente nello stesso reparto dove operava Indro Montanelli. In
quegli anni Landini frequentava assiduamente il Circolo Filologico Milanese di via
Clerici, una scuola più che centenaria di lingue e di varia cultura dove entrò in
contatto con gli esponenti più accesi dellantifascismo del tempo. Questo circolo
andava alla ricerca del materiale che il fascismo non permetteva di trovare. Fu tramite
questo istituto che Landini entrò in contatto con uomini del clandestino Partito
Comunista. Ma nel 1942 a causa della sua attività sovversiva fu arrestato a Milano dalla
polizia fascista. LOVRA aveva rilevato il suo nome in un taccuino incautamente
conservato tra le carte di un compagno di lotta catturato in precedenza. Il tribunale lo
condannò a 18 anni di carcere. Fu prima trasferito a San Vittore e successivamente a
Civitavecchia in una prigione definita lUniversità dellAntifascismo, dove
venivano rinchiusi coloro che dovevano scontare condanne superiori ai 15 anni. Quando nel
corso della guerra Civitavecchia venne bombardata, il carcere fu evacuato e Landini
trasferito nelle prigioni di Castelfranco Emilia, dove fu liberato solo verso la fine
dellottobre del 1943 dopo uno sciopero della fame messo in atto per sensibilizzare
lopinione pubblica. Alluscita dal carcere trovò esponenti del Partito
Comunista che lo inserirono nella propria rete organizzativa e militare. Da questo momento
Giovanni Orfeo Landini assunse il nome di battaglia di Piero e venne subito coinvolto
nelluccisione del federale fascista Aldo Resega il 18 dicembre 1943. Con
luccisione del federale la posizione del Landini si fece troppo pericolosa e il
partito lo obbligò ad allontanarsi dalla città e gli dette lincarico di
commissario politico nellOltrepò pavese. In questa zona trovò bande irregolari di
ribelli che trasformò in formazioni regolari. Il 2 settembre 1944 nel contesto della
riorganizzazione delle Brigate dOltrepò, si costituì la Divisione Aliotta di cui
Landini fu nominato commissario. Il suo compito era di ricercare elementi locali non
compromessi con il regime fascista per dare vita ad una giunta comunale su cui il
movimento partigiano potesse effettivamente contare. Il 17 novembre 1944 partecipò ad un
incontro con il comando tedesco di Voghera. I tedeschi proponevano di lasciarli liberi
nelle loro zone a patto che cessassero ogni ostilità nei loro confronti. Lincontro
non ebbe esito, anzi, la reazione dei tedeschi fu molto violenta; effettuarono un
rastrellamento tale da spaventare gli stessi vertici dellorganizzazione partigiana.
A seguito di questo grave episodio, Piero si trasferì nella Val Curone dove venne accolto
da una formazione di Bisagno. In questa zona trascorse lintero inverno fino al
gennaio del 1945 quando fu catturato a Pavia e rinchiuso nel carcere tedesco di Novi
Ligure. Inaspettatamente però ricevette lordine di trasferimento a Pavia, non
cerano dubbi lavrebbero fucilato. Fu così che, il giorno della partenza,
decise di tentare la fuga. Due soldati tedeschi erano già sul fondo dellautocarro
che lo avrebbe trasportato a Pavia insieme ad altri prigionieri, altri due armati erano
nel centro della cabina. Occorreva disarmare le guardie, ma al primo assalto il soldato
coinvolto si agitò al punto che accorsero altri soldato. Approfittando del caos generale,
Landini saltò fuori dallautocarro e infilò un filare di viti. Allalba
arrivò a Casale Monferrato e in primavera venne messo a capo del SIP ( Servizio
Informazioni e Polizia ). Siamo nellaprile del 1945 e da ora in poi il destino del
Landini si incrocerà con quello di Mussolini. Il Duce, dopo il fallito incontro in
Arcivescovado a Milano con i partigiani che gli imponevano la resa senza condizioni, si
rifugia nella prefettura di Como insieme agli ultimi uomini rimastigli fedeli. Da qui
tenterà lassurda fuga verso la Svizzera, ma a Dongo verrà catturato dai
partigiani. Nel frattempo a Milano il Colonnello Valerio, Walter Audisio, decise di
organizzare una spedizione per prelevare il Duce e portarlo a Milano vivo nel rispetto
degli accordi con gli alleati, come si sia arrivati alla decisione di ucciderlo è ancora
poco chiaro. Scelse gli uomini migliori e li affidò a Piero il quale, ricordiamo, era a
capo del SIP, una formazione costituita dagli uomini migliori di ogni reparto. I 12
ragazzi prescelti erano stati forniti di divise americane color cachi con relativi
berretti a bustina, alcuni di loro saranno ripresi in fotografie scattate a Piazzale
Loreto vicino ai cadaveri. Queste uniformi erano state dotate di contrassegni delle
Brigate Garibaldi ( coccarde tricolori ). Giunti a Como il Landini, anziché attendere
levolversi della delicata situazione, arrestò un fascista a lui noto, tale
Scoppolis, riuscito a restare in servizio alla prefettura di Como. Luomo fu subito
messo al muro, ma non venne ucciso per il tempestivo intervento del prefetto Bertinelli.
Finalmente si parte per Dongo. Fu una corsa sfrenata, condotta senza curarsi degli
ostacoli e travolgendo i posti di blocco. Giunti a Dongo Piero ebbe lincarico di
sorvegliare con i suoi uomini i gerarchi arrestati con Mussolini rinchiusi al piano
superiore del Municipio, condannati a morte da un improvvisato Tribunale di Guerra. Il
Duce invece era stato trasferito a Bonzanigo in casa dei De Maria da cui verrà prelevato
e, secondo una versione rilasciata nel dopoguerra dal Landini, fucilato . Solo
successivamente sarebbe stato portato con la Petacci a Villa Belmonte, dove venne
organizzata una finta fucilazione. Ritornato a Dongo, Piero si diresse in Municipio dove i
gerarchi attendevano la loro esecuzione. Dopo aver letto loro una rapida sentenza di
morte, dispose il plotone , si affiancò loro e partecipò allesecuzione. Fu lui
stesso a dare i colpi di grazia, e secondo la sua testimonianza alcuni erano ancora vivi :
" Mi sembrava il minimo che potessi fare: se uno sta per morire, finiscilo!".
Nel dopoguerra, l8 gennaio del 1946, fu avviata unazione penale nei suoi
confronti e un mandato di cattura. Fu accusato di aver fucilato 13 militari
nellinverno del 1944 presenti nel campo di concentramento di Barostro. In realtà
nelle sue intenzioni i fucilati dovevano essere 70 e non 13. Questa esecuzione si era resa
necessaria dal momento che i rastrellamenti dei tedeschi erano aumentati e occorreva
smantellare quel campo di concentramento. Piero temeva che se i prigionieri fossero stati
messi in libertà, avrebbero potuto fornire al nemico preziose informazioni sulle
posizioni logistiche dei partigiani. Nel 46 i familiari delle vittime sporsero
denuncia nei confronti del Landini. Listruttoria terminò nel 1953, tratto in
arresto e rinchiuso nelle carceri di Voghera, il commissario Piero ammise le sue colpe,
precisando però di aver agito eseguendo un ordine scritto dei suoi superiori. Rimesso in
libertà due mesi dopo larresto, a seguito di una sentenza della Corte
dAppello di Milano, Landini fu rinviato a giudizio il 23 febbraio del 1957 presso la
Corte dAssise di Pavia che, il 6 maggio successivo lo dichiarò colpevole di
omicidio volontario continuato, condannandolo a diciotto anni di reclusione, dal momento
che tra le 13 vittime cerano anche 4 civili. Trattandosi poi di fatti commessi in
tempo di guerra si ritenne di non dover procedere per altri reati commessi. Il 29 aprile,
nel corso di unudienza, Landini fu aggredito dai parenti delle vittime e posto in
salvo dai carabinieri di servizio. Durante il processo egli sostenne di aver eseguito un
ordine, peraltro mai esibito agli atti, ricevuto dal quartier generale del Corpo Volontari
consegnatoli dal partigiano Lucio ( Lucio Martinelli ). Nessuno dei testi confermò la
trasmissione di quellordine mentre lopinione pubblica si divise tra chi vide
nellintervento la necessità di evitare intralci durante la ritirata e chi lo volle
quale mera esecuzione dellordine di rappresaglia del 10 agosto 1944 per la morte di
detenuti politici in piazzala Loreto. Questultima tesi sembrò avere il sopravvento.
Si considerò che in quel frangente, con il rastrellamento incombente, non esisteva più
alcuna autorità costituta se non quella dei capi partigiani delle singole formazioni che
si orientavano sulle direttive impartite dal CVL, il quale, secondo la difesa del Landini,
aveva autorizzato i responsabili di formazione a misure di rappresaglia nei confronti di
ostaggi, qualora si fossero verificate fucilazioni di civili, prigionieri e feriti. Di
diversa opinione fu il Pubblico Ministero che non intravide nellazione consumata un
atto di guerra, ma un comune omicidio dettato da movente esclusivamente politico. Fu solo
unamnistia di Togliatti che gli concesse di non scontare pienamente la pena in
carcere. Morirà ottantenne dopo aver rilasciato le sue memorie sui fatti di Dongo in
alcune interviste. |