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Biografie

pallanimred.gif (323 byte) Leo Valiani

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Nacque il 9 febbraio del 1909 a Fiume. Terra di frontiera, bollente incontro di popoli e nazionalità. Dalla sua città assistette all'inarrestabile ascesa del regime di Benito Mussolini. A dodici anni aveva assistito sgomento all'incendio di una sede sindacale da parte degli squadristi. Fino al 1926, quando il varo delle leggi speciali, lo portò alla grande scelta: quella della clandestinità. Scelse di militare nel Partito comunista, l'unico che a lui, poco più che ragazzo, sembrava incarnare con maggiore forza gli ideali egualitari e antiautoritari di cui la sua famiglia lo aveva imbevuto. Fu arrestato nel 1928, condannato e confinato a Ponza. Poi il Tribunale speciale gli comminò una pena ancora più grave. Scontata anche quella riparò in Francia e da lì passò in Spagna dove partecipò alla guerra nella doppia veste di giornalista e militante. Una esperienza che a lungo segnò la sua esistenza. Tanto che, quando nei mesi passati, il commentatore Sergio Romano ha aperto la polemica sulla Repubblica spagnola come "un prolungamento delle purghe staliniane", Valiani è tornato con forza a difendere le ragioni di quella vicenda. "Il ruolo dell'Unione sovietica fu certo cospicuo, ma assai meno determinante di quanto qualcuno oggi creda. È noto che, alle elezioni del febbraio 1936, vinte in Spagna dal Fronte popolare, i comunisti raccolsero appena sedici deputati su circa trecento che formavano la maggioranza di sinistra: gli altri erano equamente divisi fra socialisti e democratici laici".
Ma la rottura con il partito comunista e l'Unione sovietica sarebbe arrivata, per Valiani, poco dopo. Nel 1939 quando, poco prima dello scoppio della guerra mondiale, i russi sottoscrissero con i tedeschi il patto Molotov-Ribbentrop. "Quel patto - scrisse Valiani tempo dopo in una lettera a Paolo Spriano - mise termine ai miei dubbi. Esso provava l'innocenza dei trotskisti e dei buchariniani che Stalin aveva accusato di essere agenti della Germania nazista".
Poi venne il rientro in Italia, l'invasione dei tedeschi dopo l'8 settembre del '43, la guerra partigiana. Valiani fu protagonista di primissimo piano sul fronte milanese, a fianco di Pertini, di Longo e di Sereni. Tra i vari polmoni delle Resistenza, scelse quello del Partito d'Azione, il più prolifico sotto il profilo culturale, ma anche il meno radicato nelle masse operaie. Insieme a Luigi Longo, Sandro Pertini ed Emilio Sereni, decretò la fucilazione senza processo di Mussolini.
Nell'Assemblea costituente eletta nel 1946, il piccolo gruppo "azionista" perse quasi tutte le sue battaglie: per il sistema uninominale e per la repubblica presidenziale, per il decentramento amministrativo e regionale, per lo stato laico. Quando gli esponenti di spicco del partito decisero poi di confluire nel Partito repubblicano di Ugo La Malfa o nei socialisti di Pietro Nenni, Valiani rimase a guardare. La sua militanza politica continuò soprattutto nella forma di una feconda attività giornalistica. Cresciuto in una famiglia ebraica con il cognome originario di Weiczen, poliglotta fin dall'infanzia, dedicò importanti saggi storici agli ultimi anni dell'impero austro - ungarico e alle vicende del movimento socialista. Con il tempo aveva abbandonato il socialismo e si era avvicinato, senza mai prendere tessere, al Pri del suo ex compagno azionista Ugo La Malfa, di cui condivideva la linea di rigore economico. Poi era stato molto vicino a Giovanni Spadolini. Restava tuttavia un battitore libero, difficilmente inquadrabile. Nel dicembre del 1955 fu tra i fondatori del Partito radicale, inizialmente denominato Partito Radicale dei Democratici e dei Liberali Italiani, insieme a Guido Calogero, Francesco Compagna, Giovanni Ferrara, Felice Ippolito, Franco Libonati, Alberto Mondadori, Arrigo Olivetti, Marco Pannella, Mario Pannunzio, Leopoldo Piccardi, Rosario Romeo, Ernesto Rossi, Nina Ruffini, Eugenio Scalfari, Paolo Ungari. Per molto tempo fu pressoché isolato, a sinistra, nel sostenere la Repubblica presidenziale, fedele alla posizione che era stata di Piero Calamandrei e del PdA. Aveva a lungo deplorato il dilagare della corruzione (lui la chiamava, con un termine un po' desueto, "corruttela"), ma di recente aveva proposto l'amnistia per il reato di finanziamento illecito dei partiti. Il 1° dicembre 1980 il suo compagno di mille battaglie Sandro Pertini (insieme, la mattina del 26 aprile 1945, a Milano, ordinarono l'insurrezione generale), lo chiamò a Palazzo Madama conferendogli la carica di senatore a vita. E' morto a Milano il 17 settembre del 1999.

(a cura di Giancarlo Mola)

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