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Biografia

pallanimred.gif (323 byte) Giuseppe Granata

Nacque a Girgenti il 6 maggio 1900, da Luigi e da Giuseppa Messana.  Era il maggiore di cinque figli. Veniva da una famiglia piccolo-borghese. Frequentò il ginnasio-liceo e conseguí la licenza liceale, non sappiamo se prima o dopo la chiamata alle armi. Già, perché l'essere nato nel '900 ebbe come conseguenza una chiamata anticipata al servizio militare obbligatorio. Fu  inviato ai corsi accelerati per allievi ufficiali, e raggiunse il grado di sottotenente.  Nel dopoguerra, si iscrisse alla Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Palermo che era un centro vivace di lotta politica. Fra gli studenti c'era un nucleo di giovani militanti dell'ala estrema del socialismo, fra i quali primeggiava Giuseppe Berti (1901-1969), che prima fecero parte della Federazione giovanile socialista e nel '20 costituirono le basi di un raggruppamento di studenti della sinistra "comunista" all'interno del Psi. Nel '21 questo gruppo confluí nel Pci. Fra di loro troviamo Granata, che si laureò in filosofia col professor Vito Fazio Allmayer. Diventato segretario provinciale della sezione giovanile comunista, il 7 febbraio del '23 fu arrestato e deferito all'autorità giudiziaria per i reati di cui agli articoli 134 e 135 codice penale. Si cercava con questo tipo di imputazione generica di eliminare il partito comunista dalla scena politica e mettere fuori legge i comunisti, a prescindere dalla verifica degli atti concreti previsti dal codice penale come imputabili ai singoli. Bastava la qualifica di comunista per essere incriminato di reati contro la sicurezza dello Stato. Ma non sempre, anzi solo di rado e in presenza di atti concreti, l'autorità giudiziaria portò avanti, fino alla condanna, processi imbastiti su cosí fragili basi. Cosí si comportò anche la Sezione di accusa della Corte di Assise di Palermo, che concesse la libertà provvisoria a Granata fin dall'11 aprile 1923, ma disgraziatamente fece attendere piú di un anno la sentenza assolutoria. Finalmente con ordinanza del 26 gennaio 1924 pronunziò non doversi procedere contro il Granata "per cospirazione" per insufficienza di prove; e, per i fatti costituenti il reato di "pubblico eccitamento alla rivolta", declassò l'imputazione al reato di eccitamento all'odio tra classi sociali ma dichiarò di non doversi procedere perché "estinta l'azione penale per amnistia".

Colpito dalla rimozione dal grado e dall'impiego, Granata si allontana dalla sua città, va a Palermo e compie alcune scelte importanti per la sua vita presente e futura. Nell'ottobre del 1924 è assunto come professore nel Liceo privato "Giuseppe Ferro" di Alcamo, fissa la sua dimora in questa città e il 21 dicembre si sposa a Palermo con la diciannovenne Irea Scaffidi, figlia del noto propagandista comunista Rosario e sorella del non meno noto Iffrido. In tutte queste vicende Granata è seguito passo passo dalle piú alte autorità di polizia, che hanno cura anche di accertare la qualità politica del suo insegnamento.

Il 28 agosto del 1925 si trasferì a Napoli con tutta la famiglia, su chiamata di Rosario Scaffidi per prendere la guida dell'organizzazione giovanile comunista in Campania e poi addirittura nel Mezzogiorno, coadiuvato dal giovane cognato Iffrido. Scoperto dalla polizia fascista, fu nuovamente arrestato e deferito. Il 12 febbraio 1926 ottenne la libertà provvisoria e fu assunto quale insegnante presso il Liceo comunale di Rossano Calabro. Il processo fu celebrato in Corte d'Assise a Napoli. Il 27 gennaio 1927 Granata e Scaffidi furono assolti, e secondo quello che Granata affermò subito dopo la sentenza della Corte e ripeté piú volte, sarebbe stata proprio questa «inattesa» assoluzione a convincerlo ad abbandonare la lotta politica, a ottenere la cancellazione dal Casellario politico centrale e, poi, addirittura a presentare domanda di iscrizione al sindacato e al partito fascista.

Tuttavia, Granata svolgeva ancora una certa attività semicospirativa, e, mentre al ministero affluivano le rassicuranti «schede» dei prefetti che presumevano una sua conversione verso la normalità fascista, altri fatti ci fanno pensare che egli non avesse abbandonato del tutto le sue attività di antifascista, come dimostra la formazione di un gruppo di studenti antifascisti che frequentavano la sua casa.

Il mattino del 4 novembre 1937, fu trovata una bandiera rossa sventolante sul monumento ai caduti di Rossano. I sospetti si diressero subito verso gli allievi prediletti del professor Granata. Ma non c'erano prove e, a conclusione delle indagini condotte dalla polizia locale affiancata da un ispettore del ministero, Granata fu punito con il trasferimento «per servizio» al liceo di Matera. Rimase a Matera un solo anno. E   nell'ottobre del '39 fu trasferito al liceo di Perugia, dove molti studenti erano già nel movimento clandestino che faceva capo ad Aldo Capitini. In breve, anche Granata aderì al movimento liberalsocialista di Capitini, che aveva costituito una sezione dell'Istituto di studi filosofici che in realtà svolgeva attività antifascista. Intanto la situazione dell'Italia in guerra andava peggiorando e la tensione politica all'interno si faceva sentire sempre piú acuta. Il potere fascista cominciava a dare segno di qualche scricchiolio, e il governo rispondeva moltiplicando gli arresti degli antifascisti. Su Perugia si ripercossero gli arresti eseguiti a Firenze nel '41 per colpire il gruppo antifascista di Enriques Agnoletti. Vennero arrestati Capitini, Granata e Ottavio Prosciutti (che dopo la Liberazione fu il primo sindaco di Perugia), oltre a molti studenti e altri cittadini.  Rilasciato, Granata fu arrestato nuovamente il 23 maggio del 1943 «per attività antinazionale» per ordine del questore di Perugia, deferito al Tribunale speciale e reinserito nel Casellario politico centrale.

Dopo l'armistizio, il 18 ottobre 1943 venne arrestato dal comando provinciale della Milizia repubblicana di Perugia che dieci giorni dopo lo consegnò al campo di raccolta per prigionieri di Passignano sul Trasimeno, donde il 4 novembre successivo venne spedito in Germania.

La sua permanenza in Germania, iniziata ai primi di novembre del 1943, durò quasi un anno. Fu accolto dapprima in un Lager di prigionieri di guerra, poi, quando si scoprí che non era militare fu avviato al lavoro. Come Freiarbeiter (libero lavoratore) Granata fece prima il minatore in una cava di pietra presso Garmich e poi il facchino nella Brauerei di Peissemberg. Ma si ammalò a tal punto da costringere le autorità tedesche a rimpatriarlo.

Granata arrivò a Venezia verso la metà di agosto del '44. Per qualche mese riuscí a curarsi e a mantenersi con l'aiuto di qualche amico e di parenti. Poi il 24 ottobre del '44 presentò una domanda al locale provveditorato agli studi chiedendo di essere assegnato a una cattedra di un liceo di Venezia. La domanda era redatta in termini molto fieri, e senza concessioni politiche: Granata rivendicava il suo diritto, come professore di ruolo, di essere riassunto in servizio, dal quale era stato allontanato dal corso degli eventi determinati dalla guerra. Il provveditore trasmise la domanda al ministro, che a febbraio del '45 comunicò a Granata che gli era stata assegnata la cattedra di Filosofia e pedagogia nell'Istituto magistrale «N.Tommaseo».

Venne la Liberazione, e con l'autunno del '45 Granata riprese il suo posto nel liceo di Perugia. Nel 1949 chiese ed ottenne il trasferimento a Roma, al Liceo «Dante Alighieri», dove trovò un ambiente piccolo borghese, retto da un preside clericale e conservatore. Grazie alle sue qualità di studioso e di didatta, Granata non tardò ad affermarsi come docente e anche a segnalarsi come uomo di saldi principi politici, che mise presto in luce quando si rifiutò di leggere in classe una circolare ministeriale che diffidava gli alunni, sotto minaccia di gravi punizioni, dal prender parte alle manifestazioni indette per il giorno successivo dalle sinistre contro la presenza a Roma del generale Eisenhower, rappresentante degli Usa allora impegnati nella guerra di Corea e nella politica di forte ripresa della produzione di armamenti nella quale era coinvolta anche l'Europa e in particolare l'Italia.

Nel '56, Granata fin da principio prese posizione contro il movimento antisovietico dell'Ungheria e della Polonia, e si dichiarò favorevole alla repressione.

(sintesi della biografia di Gastone Manacorda)

 

 

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