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Biografia
Angelo Pellegrino Sbardellotto

Quintogenito di undici figli, era nato il 1 agosto 1907 a Villa di Villa,
frazione di Mel (BL), piccolo paese costruito su una collina posta sulla riva sinistra del
Piave, tra Feltre e Belluno. Nei primi mesi del 1924, ancora minorenne, aveva seguito
nell'emigrazione il padre, Luigi: prima in Francia, poi in Lussemburgo, infine in Belgio,
lavorando come minatore e come operaio meccanico. È questo certamente il periodo in cui
il suo antifascismo maturò nel senso di una entusiastica adesione all'ideale anarchico.
Nel 1928 la madre, con l'ausilio della maestra, gli scrisse per convincerlo a tornare in
Italia, dato che era arrivata la cartolina per la chiamata alle armi. Angelo rispose con
una lettera assai polemica nei confronti dell'esercito e del fascismo, dichiarando la sua
fede anarchica e affermando di volere sottrarsi alla coercizione militare. La madre,
Giovanna, cattolica osservante e di mentalità tradizionalista, trasalì quando la maestra
le lesse la risposta del figlio, e chiese consiglio al parroco del paese. Uno di questi
due il parroco o la maestra pensò bene di segnalare alle autorità il
contenuto della lettera: così si ricava da una informativa del 1929 spedita a Roma al
casellario politico centrale dal prefetto di Belluno. Fu allora che Sbardellotto venne
iscritto nel registro dei renitenti alla leva e nella Rubrica di Frontiera, schedato come
anarchico, segnalato tra i 270 antifascisti italiani più pericolosi del Belgio e
sottoposto a sorveglianza a Seraing, in provincia di Liegi (Belgio), dove risiedeva (in
una pensione sita in Rue de Marai 91) e dove lavorava (nella miniera di carbone di Ougrer
Marihai). Gli ambienti degli antifascisti italiani in esilio all'estero, dei
"fuoriusciti", come venivano chiamati allora, pullulavano di spie, di confidenti
della polizia politica fascista, di infiltrati: per gli anarchici, come per gli altri
gruppi antifascisti, era difficile sottrarsi ai tentacoli dell'Ovra.
Rientrato in Italia, venne arrestato il 4 giugno del 1932 con un
passaporto falso, una pistola e unordigno e confessò di avere avuto lintenzione
di uccidere Mussolini. Dopo la confessione o presunta tale si svolse una rapida
istruttoria di due soli giorni (11-13 giugno 1932), condotta dal procuratore generale
Vincenzo Balzamo. La mattina del 16 (dalle 9.00 alle 11.15) nella famosa aula della IV
sezione del palazzo di giustizia di Roma, Sbardellotto venne rapidamente e sommariamente
giudicato colpevole dei reati ascrittigli dal Tribunale Speciale presieduto da Guido
Cristini e condannato a morte. Nelle ore successive alla lettura della sentenza egli
evitò di presentare la domanda di grazia. "Ma che pentito e pentito, io rimpiango
solo di non averlo ammazzato", pare abbia detto all'avvocato d'ufficio che lo aveva
invitato ad elemosinare pietà al duce. All'alba del giorno seguente, alle ore 5.45 del 17
giugno, dopo aver rifiutato il prete, Sbardellotto fu fucilato a Forte Bretta da un
drappello di militi capitanati da Armando Giuia. |