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La vita dei confinati
di Monica Favaro
Se la vita di chi rimaneva a casa era fatta di stenti e solitudine, al confino si
lamentavano "tante piccole cose, che pur nel complesso finiscono per rendere molto
più gravosa la già di per se stessa monotona vita di confinati" (A. C.).
Il regolamento delle colonie prescriveva di "non frequentare luoghi di pubblico
trattenimento, né locali di riunioni pubbliche o private": la proibizione "in
termine assoluto di avvicinare o di abitare con altri confinati - scrive un confinato - mi
mette nella impossibilità di vita sotto ogni rapporti" (S. B.).
"Io credo la diffida a non avvicinare confinati contraria allo spirito e alla lettera
della legge di Pubblica Sicurezza che regola il confino e chiedo pertanto a codesto
Onorevole Ministero di accertare la verità di quanto affermo e mettermi in condizioni di
eguaglianza con gli altri confinati" (A. C.).
Il controllo costante a cui i confinati sono soggetti, impedisce loro una vita privata e
sociale accettabile: I "militi... profittano di ogni occasione per far del male ai
confinati: [...] era facile imputarci di assembramento dato che lo spazio che è
consentito dai limiti di confine è molto ristretto" (S. B.).
"Ritengo che l'On.le Ministero si renderà facilmente conto che non è cosa piacevole
l'esser continuamente pedinato da un milite in divisa il quale mi segue a non più di due
o tre passi di distanza, il non poter uscire dal camerone se non accompagnato dal milite,
in una parola il non poter muovermi, fare un passo senza avere il custode al mio fianco.
Anche la forma con la quale il pedinamento viene eseguito è tale da renderlo ancora più
fastidioso, ho l'impressione di essere un cane tenuto alla catena" (P. S.).
"Le autorità locali stanno riducendo il confino politico ad un vero carcere, perché
alla fine ci costringono a starcene in camera: le passeggiate non si possono fare che vi
mettono subito in contravvenzione. I bagni di mare ci sono pure stati proibiti, sebbene in
possesso del relativo certificato medico dichiarante che si ha bisogno di essi, qui si
comincia a mancare di umanità! Si mira allora ad esasperare i confinati!" (L. R.).
"Perché trovati innocentemente a passeggiare a un chilometro e mezzo dal centro
veniamo processati" (L. R.).
Regola numero uno: "Darsi a stabile lavoro"
Il confino sulle isole, come alle Tremiti, o a Ponza, comportava l'impossibilità di
trovare un lavoro anche umile: "In questo Comune è negata, per forza maggiore, ogni
possibilità, ed ogni probabilità, per l'avvenire, non solo di una occupazione adatta
alla sua professione, ma anche di un qualsiasi lavoro manuale, al quale pur si
adatterebbe" (E. G.).
Un ex tornitore meccanico si sente "sfinito dall'amore che porta al suo lavoro,
profondamente accorato di dover vivere così oziosamente, mentre fino al triste giorno del
suo arresto aveva sempre avuto l'onore di rappresentare il lavoro d'officina" (C.
C.).
In questo clima di forzato riposo, la concessione a corrispondere con amici e parenti era
una consolazione: le opportunità di incontrare i famigliari erano molto rare anche a
causa della distanza da percorrere e dei costi che il viaggio comportava. "Prego
vivamente codesto On.le Ministero a voler concedermi alcuni giorni di licenza, affinché
io possa rivedere i miei famigliari che da molti anni non vedo" (P. S.).
Non sono infrequenti le richieste di potersi recare a visitare il confinato, talvolta con
un sussidio per le spese di viaggio gentilmente corrisposto dal Ministero: "I
sottoscritti [...] rivolgiamo rispettosa domanda a cotesto Ministero degli Interni onde
voglia compiacersi di autorizzarci entrambi di portarsi nell'Isola di P. dove sta
confinato il nostro fratello S." (fratelli di S. M.).
I confinati lamentano anche le condizioni igieniche degli alloggi in cui sono relegati:
"Il sottoscritto, causa provvedimento generale è costretto a dormire nell'unico
locale governativo, già bagno penale. Detto locale è composto di varie camerette e due
corridoi, i quali, nei tempi borbonici, servivano esclusivamente di passaggio al personale
di custodia e all'accesso a dette camerette. Ora invece, causa la penuria di locali, i
corridoi sono stati adibiti a dormitori [...] La struttura del locale non è adatta per
tale impiego. In esso sono inevitabili correnti d'aria, fortissime in inverno, tanto che
parecchi confinati sono già raffreddati e se non si provvede vi saranno certamente
malattie più gravi" (L. V.).
Cucina e salute
Il cambiamento del clima e delle abitudini alimentari, la scarsità di risorse economiche
creavano problemi soprattutto per coloro i quali, avendo problemi di salute, avrebbero
necessitato di cure e di un'adeguata alimentazione: "Appena giunsi qui da P. venni
assegnata ad una mensa che, per il tipo di cibi che cucinava non era conveniente per la
mia salute, che debbo particolarmente guardare essendo stata da non molto operata di
colecistite [...] Solo dopo aver insistito molto presso la Direzione e presso il sanitario
della Colonia fui autorizzata a lasciare la mensa ed assegnata a quella nella quale sono
destinati i confinati di delicata salute e che in genere hanno bisogno di cibi più
facilmente digeribili" (A. C.); "il confinato politico [...] domanda
rispettosamente a questo Onorevole Ministero, e sperando nella sua magnanimità, a
volergli concedere un supplemento latte, trovandosi effetto da dispepsia e deperimento
organico e inoltre mutilato nella mano sinistra per la quale deve dipendere per la pulizia
personale a terze persone" (R. B.). "Devo fare noto che questo stato di salute
è attribuito al chlima [sic] che non posso sopportare e soprattutto al vento,
questo fu sempre riconosciuto dal medico della colonia in tutte le domande che feci, che
mi furono rifiutate o respinte. Ora domando, se mi rifiuta la terra ferma, sarei disposto
di essere inviato a U., essendo questa isola di un chlima più dolce e senza vento, che mi
irrita costantemente i nervi" (T. C.).
Non è raro che le malattie siano state contratte durante la prima guerra mondiale o le
imprese coloniali in Africa: un confinato a T. lamenta la mancanza "assoluta e
completa delle verdure e della frutta fresca, che dovrebbero costituire la dieta vittuaria
di un malarico cronico, la cui età giovanile risente degli effetti disastrosi dell'antica
infezione contratta in servizio militare".
Tra le righe riscontriamo anche questioni che affliggevano tutti gli italiani in quegli
anni, come quello dello smodato aumento dei prezzi non calmierati, e dell'impossibilità
di procurarsi cibi adatti: "Ancora una volta, voglio ricordare la malattia cui sono
affetto: malaria cronica, deperimento organico e esaurimento nervoso, inoltre la mancanza
di 24 denti e i rimanenti guasti. Con questo stato fisico è evidente che non posso vivere
con 150 grammi di pane e qualche erba, le patate da mesi che qui non le ho viste, e i
qualche alimenti che si potrebbe comperare liberamente, sono a dei prezzi proibitivi,
all'infuori del calmiere che si trova nel continente. Questa è la situazione che mi
trovo. Senza un miglioramento la fine è certa" (T. C.).
Gli scriventi, talvolta, descrivono il loro stato fisico con dovizia di particolari:
"Fa notare che le due radici e un dente gli vennero estratti quasi contemporaneamente
alla messa a punto dell'apparecchio e questo non andava limato una volta su. Il medesimo
quindi si vede costretto ad informare questo On. Ministero che non può introdurre roba
solida coi soli denti inferiori pure artificiali, la protesi superiore non funzionando
affatto - come non l'avesse, scivola via al semplice contatto con una ciliegia" (L.
R.).
"Faccio presente che dall'epoca del mio ritorno dal Sanatorio [...] a oggi deperii di
kg. 11.500, già ebbi a tre riprese sputi sanguigni, che mi costrinsero a tenere il letto
per più giorni in stato febbricitante, e sottopormi a punture antiematoiche" (R.
Z.).
Vi è una ferrea logica nella descrizione dei fatti, come nel caso seguente: "Prego
l'On. Ministero di concedergli medicinali adatti alle caratteristiche della sua
infermità, e l'aumento del sussidio giornaliero, affinché possa procurarsi qualche
alimento corroborante di cui ha bisogno.
Continuando la sua condizione la bronchite cronica potrebbe finire in enfisema polmonare,
eventualità che egli vorrebbe evitare, perché inguaribile" (E. B.).
Scarpe, rasoio e paletò
Anche per la mancanza degli oggetti più banali, come le scarpe o il vestiario, la vita al
confino era complicata: scarseggiando il denaro, si era costretti a richiedere sussidi:
"Trovandomi in pieno inverno ad una altitudine abbastanza elevata e non avendo potuto
ottenere un paleto e scarpe col pacco inviatomi dato che i punti della Carta di
Abbigliamento non erano sufficienti fui obbligato ad inderizzarmi ad un calzolaio per
ottenere la rimonta e il fondo delle mie ormai logorate scarpe: lavoro cui richiese la
spesa di L. 200, dico duecento, somma ch'io non ho potuto disporre, visto ch'io devo
vivere del sussidio cui percepisco ed i miei famigliari non si trovano finanziariamente in
grado di potere affrontare simile spesa; perciò allego questa mia ricevuta dell'
artigiano"4
(P. B.).
"[Il sottoscritto] fa presente che ancora non ha ricevuto il palto' invernale, e
soffrendo di dolori reumatici nonché artritici (postumi della grande guerra) ne ha
assoluto bisogno. Tiene l'impermeabile, ma essendo vecchio, ci passa l'acqua, e non giova
più" (L. R.).
"Il retroscritto effettivamente possiede un unico paio di scarpe (Chi non ne ha un
paio? Ha fatto del resto dei sacrifici per acquistarle: semplicemente si è tolto il pane
di bocca). E quando sono rotte come ripararle? Che il cuoio non si trova e la gomma è
costosa, di qualità pessima e non dura niente. Sono personali, private, di riserva, che
gelosamente custodisce e conserva per le grandi occasioni: deve sposarsi e anche perché
gli fanno male. Sono poi scarpine estive, basse, leggere, infine cittadine, per T. non
vanno. In attesa calza gli zoccoli, con cui, non essendo abituato, stenta a camminare, che
i piedi nudi gli scivolano facilmente e qualche storta è sempre all'ordine del giorno,
quindi deve rimettersi le scarpe, e quali, se questo On. Ministero non gliele
fornisce!" (L. R.).
"Il sottoscritto attualmente confinato politico nell'Isola di [...] rivolge la
presente istanza a codesto On.le Ministero, onde autorizzi la Direzione di questa Colonia
a fornirlo di un pantalone del tipo lana, nonché di una camicia e mutande" (G. B.).
Il confino era generalmente "cosa da uomini", e una confinata lamenta una sorta
di discriminazione sessuale: "L'onorevole Ministero passa a tutti i confinati maschi
un vestito, scarpe, camicia e mutande. Ora, se ciò è necessario per i confinati, come
ciò non è necessario per le confinate, ed almeno per la sottoscritta alla quale le è
stata rifiutata per ben quattro volte la richiesta del sussidio annuale vestiario?"
(A. C.).
Per ottenere il sussidio era necessario avere - è il caso di dirlo - le carte in regola:
"Notifico a cotesto Onorevole ministero che son in possesso della carta annonaria
vestiari in perfetta regola. Precisamente degli 83 punti richiesti per i 3 capi di
vestiario tipo lana" (I. M.).
Non sempre, però, si otteneva con tempestività quanto spettava di diritto: "Sono
tre o quattro mesi che ho spedito le tessere d'abigliamento domandando se potevate farmi
avere un vestito oppuramente una giubba a panciotto e sopra le tessere c'era scritto
quello che avevo ottenuto e finora non o ancora ricevuto più gnente del tutto e avrei
anche bisogno delle tessere per comperarmi del filo per cucire" (L. Q.).
Sorgeva quindi il problema di riuscire a risparmiare, anche a causa del carovita:
"Ogni confinato che non sia uno scioperato deve pur provvedere a fare qualche
risparmio per far fronte alle necessità della vita. Un vestito modestissimo non costa
oggi meno di 300 lire, due maglie di lana 120 lire, un paio di scarpe 80 lire, com'è
possibile provvedere a queste spese senza mettere da parte un po' per volta i soldi?"
(P. S.).
Si scriveva al duce anche nel caso in cui, nel trasferimento al confino si fossero persi
degli oggetti personali e del denaro: "Il sottoscritto fa appello a codesto Onorevole
Ministero affinché voglia interessarsi del caso e fargli recapitare il denaro come pure i
2 rasoi, uno nuovo fiammante e l'altro seminuovo ma tutti e due di valore e di marca
Solinge" (F. L.).
Nota: tratto dal saggio di Monica Favaro
"Caro duce...", sulle lettere dei confinati vercellesi e biellesi, in
"l'impegno", a. XIX, n. 2, agosto 1999, Istituto per la storia della Resistenza
e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli
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