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Al confino a Ventotene
di Nello Ajello
Di Ventotene si parla nelle autobiografie dei più celebri
antifascisti italiani. Quell'isola a sud di Ponza, a un braccio di mare da Santo Stefano
(sede d'un tetro penitenziario) ospitò ciò che può definirsi il Gotha dell'opposizione
al regime. Ottocento "confinati" abitarono, ben sorvegliati da trecentocinquanta
fra militi fascisti e poliziotti, un lembo di terra lungo 2700 metri e largo meno d'un
terzo. "Una ciabatta in mare" così definì l'isola la dirigente comunista
Camilla Ravera. Altiero Spinelli - che vi compose e firmò nel 1941, con Ernesto Rossi ed
Eugenio Colorni, quel manifesto di Ventotene che resta la Bibbia dell'europeismo
democratico - la considererà per tutta la vita il "luogo dell'elezione".
Sia Spinelli che la Ravera vi sbarcano, fra molti altri, nel luglio del 1939. Con l'arrivo
dei confinati, la popolazione dell'isola raddoppia. La metà, quattrocento circa, sono
comunisti. Ma vi è rappresentato ogni partito o corrente dell'antifascismo: anarchici,
socialisti, repubblicani, militanti di Giustizia e Libertà, "antigovernativi"
senza bandiera.
Sotto la direzione di Mauro Scoccimarro e di Luigi Longo, i militanti del Pci formano a
Ventotene uno di quei "collettivi" che sono tipici nella disciplina carceraria
del bolscevismo. Riuniti in gruppi di tre persone, le "troike", seguono le
lezioni impartite da Girolamo Li Causi e Pietro Secchia. Come in un'"università
proletaria", studiano i classici del marxismo, l'"ABC del comunismo", le
opere di Lenin e di Stalin. Gestiscono sette mense e una lavanderia. Cominciano a
coltivare un podere con bovini, conigli, pollame. Ma proprio all'interno di questa
comunità che sembrava politicamente unanime divampa ben presto un dissidio drammatico. A
innescarlo è, nell'agosto del '39, il trattato Molotov-Ribbentrop, cioè l'improvviso
patto di non-aggressione stipulato dall'Unione sovietica con il governo nazista. Nelle sue
memorie Camilla Ravera parla del "dissenso" espresso da lei e da Umberto
Terracini, anche lui deportato nell'isola, in contrasto con il "rigido
dogmatismo" professato dalla maggioranza dei compagni confinati. Di fatto, si
trattò, ai danni dei due, d'un vero apartheid. Per oltre tre anni, Umberto Terracini
visse accanto a Scoccimarro senza mai scambiarsi una parola.
"Smarrimento fra i comunisti", chiosa il socialista Sandro Pertini, arrivato a
Ventotene dopo complesse peripezie carcerarie. E un altro socialista, Alberto Jacometti,
descriverà in un libro di memorie la coppia dei "reprobi", Terracini e Ravera.
Sembrano "venuti fuori da un romanzo di Thomas Mann", lei "con quegli occhi
luminosi", lui, "lindo, netto, dai brevi gesti aggraziati. Si direbbero diretti
a un concerto". Anche del confinato Pertini, Jacometti ha lasciato un ritratto vivace
e stupito. "Come fa Sandro", si chiede, "ad essere, su questo scoglio,
così elegante?". Chic e pirotecnico: "un uomo- miccia".
A Ventotene un ruolo di rilievo lo svolgono, non ostante l'esiguità del numero, i futuri
militanti del partito d'Azione.
Fra questi, i più autorevoli (oltre a Riccardo Bauer) sono Ernesto Rossi e Altiero
Spinelli: uscito, quest'ultimo, da una lunga militanza comunista. Al Manifesto del '41
accennavo all'inizio. Occorre aggiungere che per via di quel documento l'isola è oggi,
agli occhi di molti, sinonimo di europeismo. "Se Ventotene ha lasciato in me un segno
indelebile", scriverà Spinelli, "anch'io l'ho a mia volta segnata. Quel
manifesto ha reso il nome dell'isola, prima oscuro, noto in tutta Europa". Ma ancor
prima di varare il Manifesto, i due, Rossi e Spinelli, erano divenuti inseparabili.
Diversissimi - il primo, "animale da tavolino" come lo definisce Giuseppe Fiori,
l'altro vigoroso, gran camminatore e nuotatore, dedito, da confinato, alle attività più
varie: orologiaio, contadino, allevatore di polli - li univa un anticonformismo istintivo,
la capacità di sorridere.
E' a Ventotene che Spinelli decide di unire la sua vita a quella di Ursula Hirschman,
moglie del suo amico Colorni, della quale si è profondamente invaghito. E' lì che Rossi,
nel dicembre del '39, consuma la prima notte di nozze con sua moglie Ada, da lui sposata
in carcere otto anni prima e mai incontrata nell'intimità. La sposa ha avuto un permesso
di "visita natalizia". I due fissano una stanza in una pensioncina all'angolo
della piazza Castello. Fuori dell'uscio c'è un militare di guardia. "Dal
letto", ricorderà Rossi, "udivamo i suoi sbadigli e quando si soffiava il naso.
Era un modo piuttosto incompleto di sentirsi "finalmente soli"". E tuttavia
Ernesto scrive a sua sorella: "Passo questi giorni con l'Ada facendo una vita da
Pascià". Un esile Pascià antifascista su uno scoglio d'Italia, nel fatale 1939.
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