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La marcia su Roma e la reazione dei partiti democratici
a cura di Lucio Cecchini
Dopo marcia su Roma del 28 ottobre 1922 e la
formazione del Governo Mussolini, alla Camera ci furono opposizioni, come testimoniano gli
interventi, che riproduciamo, di Filippo Turati e di Giovanni Conti.
Il leader socialista disse, come è documentato negli atti
parlamentari:
Turati "Mi ero scritto in questi appunti, che speravo di
svolgere nella seduta di ieri, che la gravità tragica dell'ora consiglia a tutti, anche a
noi, socialisti unitari, dichiarazioni assolutamente sobrie e soprattutto serene. La
politica, come disse uno dei tanti defenestrati (poiché non era il caso per lui di un
guiderdone) di queste ultime radiose giornate...".
Mussolini, presidente del consiglio dei ministri, ministro degli
interni e ad interim degli affari esteri "Certamente sono radiose!".
Turati "Dirò dunque, di queste giornate più che mai
radiose...".
Mussolini "Lo saranno ancora di più! (Commenti. Rumori
all'estrema destra). E poi verrà il bello!".
Turati "... la politica non può e non deve essere una somma
di sentimenti e di risentimenti.
Anche se il cuore ci sanguini, anche se la ressa dei ricordi ci risospinga
alla gola i più amari disgusti, noi dobbiamo saperli stoicamente rintuzzare. D'altronde
non ne abbiamo bisogno! Questo a un dipresso io mi ero scritto su questa tessera. Non so,
peraltro, se io debba conservare codesto esordio dopo la giornata parlamentare di ieri;
nella quale, più che di un'ora tragica, si ebbe l'impressione di un'ora inverosimile, di
un'ora tolta dalle fiabe, dalle leggende; quasi direi di un'ora gaia. Dopo, infatti, che
il nuovo presidente del consiglio, con esempio ignoto fin qui agli annali di tutti i
parlamenti civili - non conosco la storia dei parlamenti turchi o egizi - ci aveva, anzi
vi aveva parlato, evidentemente tra la distrazione del nostro illustre presidente,
naturale tutore della Camera - non dimesso né dimissionario, perché la nuova istoria
esige in tutto cose nuove - dopo che, dicevo, il nuovo presidente del consiglio vi aveva
parlato col frustino in mano, come nel circo un domatore di belve - oh! belve, d'altronde
deh quanto narcotizzate! - e lo spettacolo delle groppe offerte allo scudiscio e del
ringraziamento di plausi ad ogni nerbata, aveva risuscitato nel ricordo dei malinconiosi
di quest'aula l'ultimo giambo dell'Ode in morte dei fratelli Cairoli, o l'invettiva del
poeta maremmano al "popolo d'Italia", non al vostro di carta, onorevole
Mussolini, che ancora stamane mi onora delle sue ingiurie, e tratta la Camera...".
Mussolini "Come si merita!".
Turati "... e tratta la Camera da "supina e arrendevole
femmina consumata"...".
Mussolini "Come si merita!".
Turati "... dopo tutto ciò, dicevo, potevamo udire a nostro
conforto la gaia e fiorita filosofia di un ex sottosegretario di Stato alle Belle arti
spandere sull'ora triste tanta giocondità di scettico sorriso fiorentino.
Un sorriso, forse amaro al di dentro, come quello dell'homme qui rit del
grande poeta francese, come quello di quei forzati giullari leggendari delle nostre
vecchie corti, che dissimulavano, nell'ostentata adulazione al signore, le verità
sferzatrici, che sarebbe stato troppo imprudente pronunciare semplici e ignude. L'Italia,
dopo tutto, anche nelle ore più fosche, si rivela sempre un po', ed è forse la sua
suprema saggezza, quella che gli inglesi definirono la nazione-carnevale; e Roma è
veramente, in questo, la capitale d'Italia, e Montecitorio veramente il cuore di Roma...
Questa Camera può vivere, a sua scelta, "due giorni o due anni".
Essa è dunque perfettamente libera di optare: quale maggiore
riconoscimento vi può essere della sovranità dell'Assemblea elettiva?! Con questo metodo
rivoluzionario, che oggi si dice "fascistico", - e sebbene esso non dica nulla,
adottiamo pure, per intenderci, questo aggettivo - la Camera non è chiamata a discutere e
a deliberare la fiducia; è chiamata a darla; e, se non la dà, il governo se la prende.
È insomma la marcia su Roma, che per voi è cagione di onore, la quale prosegue, in
redingote inappuntabile, dentro il parlamento...".
Mussolini "Con la camicia nera sotto!".
Turati "Appunto, stavo per dirlo, lo stiffelius mal nasconde
la camicia nera col fatidico teschio. Il che significa - spero, onorevoli colleghi, non
occorra documentarlo - che, nel pensiero del governo, ma anche con l'acquiescenza del voto
che vi apprestate fra qualche ora a concedere, il parlamento italiano ha cessato di
esistere...".
Mussolini "Questo!". Turati "... non questo
soltanto, ma, con esso, implicitamente, ogni parlamento italiano eletto liberamente dagli
italiani. (Applausi all'estrema sinistra. Commenti. Rumori) O almeno, come fu ieri
significato a palazzo Madama, esiste ancora un Senato che intona l'inno
"Giovinezza" (commenti, interruzioni); non esiste più la bassa Camera elettiva.
Peggio ancora, onorevoli colleghi, esiste la sua maschera, esiste il suo cadavere, esiste
la sua parodia. Così è, onorevole Mussolini, che voi - che potevate - non avete voluto
stravincere.
E ve ne siete fatto vanto di saggezza. Potevate, diceste, "sprangare
il parlamento", potevate in "quest'aula grigia e sorda fare il bivacco dei
manipoli": l'onorevole De Nicola poteva essere nominato vivandiere. (Rumori.
Commenti) Francamente: vi pare dunque, onorevole Mussolini - guardatevi intorno - di aver
fatto qualche cosa di diverso? (Movimenti dell'onorevole presidente del consiglio.
Commenti prolungati.) Ora, che fiducia può accordare una Camera in queste condizioni? Una
Camera di morti, di imbalsamati, come già fu diagnosticata dai medici del quarto potere?
Quale beffa, onorevole Mussolini, quale atroce beffa, onorevoli colleghi, noi facciamo,
votando, alla nazione e a noi stessi!... Noi neghiamo alla vostra ascesa al potere il
carattere di rivoluzione!".
Mussolini "Ve ne accorgerete!".
Turati "Ce ne accorgeremo di certo! Noi neghiamo che essa
abbia obbedito alla logica necessaria sia di una rivoluzione, sia di una rivolta che si
rispetta. Perché una logica vi è pure, anche in queste cose. Voi siete venuti da Napoli
a Roma col proposito, apertamente proclamato - e del resto lo confermaste ieri con
meritoria schiettezza nel vostro discorso - di "prendere alla gola questa miserabile
classe politica dominante", di cui questa Camera è la più tipica espressione.
Prenderla per la gola, dunque, buttarla via! A che pro allora i
compromessi, gli approcci, i voti di fiducia, i temporeggiamenti, gli indugi? A buttarla
via, questa "miserabile" Camera vi impegnava la vostra promessa, vi impegnava il
rispetto della dignità reciproca".
Mussolini "Manterrò questa promessa!".
Turati "Me ne compiaccio, ma si doveva fare prima".
Mussolini. "In dieci giorni!... Questa è una rivoluzione che
aveva uno sviluppo da decenni!".
Turati "Si doveva fare prima, perché chi offende la dignità
dei propri collaboratori, collaboratori da voi ora invocati, e se ne fa un passivo
strumento del proprio arbitrio, offende insieme ed innanzi tutto la dignità propria. Voi
eravate una trentina in questa Camera; voi eravate quaranta o cinquanta - non fo questione
di piccole cifre - se assommiamo a voi, malgrado gli abissi profondi e mal dissimulati che
vi separa i nazionalisti e la destra così detta liberale: lucus a non lucendo". Una
voce a destra "Abbiamo il paese con noi". (Rumori)
Turati "Non avrete da me nessuna reticenza! E voi pretendete
diventare d'un tratto trecento, imprimendo il fascio littorio nei cervelli dei vostri
compiacenti colleghi, come lo avete impresso nel timbro dello Stato; imponendo a tutti il
saluto con la mano protesa. Tutto ciò, convenitene, è troppo acrobatico, è troppo
abracadabrante perché possa aggiungere serietà non dirò alla Camera - ciò non vi
interessa - ma a voi stessi".
Mussolini "Non preoccupatevi di questo!".
Turati "Ora, ho detto, anche i colpi di Stato devono avere
logica. Voi giustificate il vostro, o signori che mi interrompete, ed io ve lo ammetto col
dire che, per quanto recente, la Camera non rispecchia più la volontà del paese; che le
vostre unità qui dentro sono troppo inferiori alle forze che conquistate nel paese; che
insomma - per usare una frase consacrata - voi uscite dalla legalità per rientrare
nell'ordine. Ma il dirlo, e il dirlo voi, non basta: conveniva documentarlo. Non bisogna,
non è bello, speculare sull'altrui viltà per trarne una parvenza di forza e di
legittimazione. Napoleone il piccolo, dopo il suo infame due dicembre, indisse il
plebiscito; cercò nel plebiscito, comunque addomesticato, la propria legittimazione; la
quale, se fu impura, attese dopo alcuni istanti i presagiti chátiments della storia, il
solenne castigo di Sedan, ma salvaguardò almeno le apparenze, che voi non cercate neppure
di salvare. Voi dovevate dunque appellarvi al paese, nel quale siete forti, appellarvi al
suffragio universale, sciogliere questa "miserabile" Camera di morti e di
imbalsamati...Voi siete dunque il governo del volontarismo nietzschiano e stirneriano...
un'espressione letteraria o filosofica...".
Mussolini "Politica!...".
Turati "... politicamente arcaica ed arcadica, che si vanta
dernier cri perché riproduce esattamente, in formula, in vernice nuova, l'ideale del
"principe illuminato", che gli italiani credevano spodestato e messo in soffitta
per sempre...".
Una voce all'estrema destra "Come Carlo Marx! ...".
Turati "Di Carlo Marx riavrete notizie fra non molto, non ne
dubitate!...Voi avete, dunque, fatto, o, creduto di fare, una rivoluzione che vantate
pacifica ed incruenta (Interruzione all'estrema destra). Ciò fa onore ai vostri buoni
sentimenti cristiani. Ma il vanto è un po' millanteria. Perché, se fu incruenta o quasi,
non è merito vostro. Quando tutti fuggono o fanno acquiescenza, dalla Corona all'ultimo
brigadiere di pubblica sicurezza, la vittoria è facile, ma non merita il nome di
vittoria. Salvo che voi diceste - ma non lo dite e l'avete smentito ieri con le parole del
presidente del consiglio - che, ove una vera resistenza si fosse affacciata, minacciante
guerra civile, voi vi sareste ritratti. No, voi non siete andati più in là perché i
complici e i succubi vi avevano già fatto stravincere. Ma la vostra rivoluzione, ripeto,
non affaccia un principio nuovo. Non è animata da un lievito rinnovatore, che, se fosse
tale, notare, potrebbe trovarci benevoli, anche se non coincidesse perfettamente coi
nostri schemi teorici e mentali. La vostra rivoluzione, finché non si liberi (pigliatelo
come un augurio) dagli elementi reazionari che l'hanno generata e che la dominano, non
può essere, piuttosto, che una involuzione, ossia una enorme perdita di tempo, un aumento
delle angosce, delle aberrazioni e delle convulsioni, cui la guerra, il dopoguerra, la
pace senza pace, hanno condotto il mondo e soprattutto l'Italia... Intanto il proletariato
si prepari; i partiti socialisti non si lascino cogliere alla sprovvista un'altra volta;
si preparino all'immancabile e provvida successione, forse non lontana, certo
irrevocabile. (Rumori) Perché questa è la vita dell'evoluzione necessaria. Signori di
quella parte della Camera! Chi la contrasta è pazzo; e sarà infranto! (Vivissimi e
reiterati applausi all'estrema sinistra. Rumori. Commenti)".
***
Il repubblicano Giovanni Conti pronunciò
un discorso sicuramente incisivo, ma esemplare anche per un altro aspetto, in quanto in
esso erano sottolineate le divergenze esistenti tra gli stessi partiti di sinistra che,
inevitabilmente, e soprattutto in una situazione disperata, ne indebolivano
l'azione.
Conti "Onorevoli colleghi, credo che non dispiaccia neppure al
Presidente del Consiglio di udire una parola di opposizione più precisa, e più chiara di
quella pronunziata testé dall'on. Turati; una parola ispirata non già ad un programma di
Governo o di collaborazione come quella dell'on. Turati, ma ispirata alle idee, agli
ideali, anzi, di un partito, del partito repubblicano, che non cede le armi di fronte alla
dittatura che si inaugura oggi in Italia. Io credo, on. Mussolini, che voi abbiate trovato
nel socialismo riformista di oggi, così come è accaduto nel passato ad altri dominatori,
il vostro migliore alleato. Voi conoscete i vostri ex compagni così come li conosco io.
Credo che possiamo essere d'accordo in questo giudizio: se avete pensato di aver paura di
costoro, nessuna paura".
Mussolini "Nemmeno di voi".
Presidente "Facciano silenzio".
Conti "La lotta, onorevoli colleghi di parte socialista, è
quella che è stata da cinquant'anni a questa parte in Italia e che voi non avete voluto e
non avete saputo risolvere: è la lotta tra la monarchia e la democrazia".
Presidente "Onorevole Conti!".
Conti "La lotta resta quella che fu nel passato. Voi la
potevate risolvere nel passato. Non so se la potrete risolvere nell'avvenire. On.
Mussolini, veniamo a noi. Io vi voglio dire l'opinione, il pensiero deciso del partito
repubblicano, di quella parte almeno, ed è l'assoluta maggioranza, la quale non si è
fatta abbacinare dallo specchietto del vostro tendenzialismo repubblicano. Cosa vecchia,
questa, on. Mussolini. Ma la ricordo, perché non avendo fatto paura al vostro sovrano non
farà più paura a nessuno".
Mussolini "Nemmeno a voi".
Conti "Oh, no davvero. A noi non l'ha mai fatta. Noi siamo
contro il vostro Governo per tre ragioni".
Vicini "Se siete in due".
Conti "Non posso raccogliere le interruzioni, perché intendo
andar diritto con poche parole a render conto del mio pensiero. La prima ragione, on.
Mussolini, è questa: siamo contro il governo del fascismo perché reputiamo (e intendete
la parola nel suo significato politico, senza interpretazione offensiva) perché reputiamo
che l'avvento al potere del fascismo sia il risultato di un equivoco politico, e di un
metodo demagogico di agitazione e di lotta. Siamo contro (ecco la seconda ragione) perché
riteniamo che il Ministero che avete composto rappresenti, per la qualifica che si è
dato, e per la sua composizione, un equivoco politico e morale. Siamo, infine, contro di
voi perché voi rappresentate l'antidemocrazia, rappresentate un tentativo di deviazione
del cammino storico dell'Italia verso la più pura democrazia, verso la libertà ed i più
alti ideali di redenzione delle classi lavoratrici. Ieri voi parlaste di rivoluzione.
È questa una parola grossa, on. Mussolini, che piace ai giovani che
vogliono giustificare se stessi di fronte alla propria coscienza, che fa impressione a
tutti coloro che vogliono cullarsi in qualche illusione, e che è, in ogni modo, a voi
necessaria per tenere a bada le 300mila camicie nere in mezzo alle quali sono molti
giovani sinceri, ingenuamente entrati nella lotta, i quali un giorno faranno parte di
quella forza che continuerà l'opera iniziata dalla guerra: abbatterà la monarchia contro
di voi".
Presidente "Onorevole Conti!".
Conti "Rivoluzione no. Se mai, on. colleghi, una rivoluzione
di palazzo. In ogni modo mi permetterete almeno di osservare che novità di gesti, di
atteggiamenti, novità di pose anche non sgradevoli non significano rivoluzione.
Il vero, io credo, sta in quel che ieri interrompendo non ricordo quale
collega, disse l'on. Mussolini: c'è un mutamento di metodo di governo. C'è un mutamento
di indirizzo deciso e brutale, e non del governo, inteso come Ministero, ma della
monarchia. La monarchia, on. colleghi, ha camminato nelle pantofole democratiche per venti
anni, guida e maestro l'on. Giolitti. Ora ha smesso le pantofole democratiche e ha calzato
un paio di vecchi calzari del Medio Evo, che il vostro sovrano ha ritrovato nei musei
della sua dinastia. Voi, on. Mussolini, soggiungete che è cambiato anche il metodo del
Governo come Ministero. Voi dite che avete un indirizzo e un programma. E sta bene, ed io
credo che potrete anche ritenere di essere capace di fare quello che dite".
Modigliani "Ma questa è opposizione?".
Conti "Già, on. Modigliani, per voi la opposizione è stata
sempre una guerricciola con le persone. Io non faccio codesta opposizione. Il nostro
bersaglio è la monarchia. Lo dico a voi, on. Modigliani, che volevate la repubblica...
quando l'Italia era in pericolo e la avete dimenticata poi per i passatempi del
parlamentarismo. On. Mussolini, è davvero mutato - almeno improvvisamente - il metodo.
Coloro che hanno governato prima di voi erano veramente i seguaci del
metodo insegnato da Napoleone I, quello di Sant'Elena, non quello della incoronazione di
Milano. Quando era a Sant'Elena Napoleone I si era accorto che buona parte di governo non
era quella che aveva seguito nei tempi felici della sua onnipotenza, ma "quella di
servire Dio, in modo che il diavolo non se l'abbia a male". I governanti della
monarchia hanno cercato per vent'anni di compiacere gli spiriti rivoluzionari che si
trovavano un po' dappertutto, e di tenere in piedi le istituzioni monarchiche. Ora la
monarchia è sulle braccia del nazionalismo antidemocratico. Ho detto che l'avvento al
potere del fascismo è stato il risultato di un equivoco. Dico che il vostro movimento di
massa è stato il prodotto di quella demagogia che avete attribuito a tutti i partiti
estremi ed anche al partito repubblicano che voi, romagnolo, ben conoscete e sapete che
demagogico non è stato mai e non è. Voi foste demagoghi. I giovani sono venuti sotto i
vostri gagliardetti non perché convinti della bontà e della giustizia del vostro
programma reazionario, ma perché illusi dalle promesse sbandierate da voi in concorrenza
perfino con questi nostri... odiatissimi colleghi socialisti e da un programma che non è
quello di oggi che noi ricordiamo ed a me piace rileggerlo".
Mussolini "L'ho fatto io".
Conti "Udite: "Noi vogliamo per il problema politico: a)
Suffragio universale e scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale,
voto ed eleggibilità per le donne. b) Il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18
anni, quello per i deputati ai 25 anni". E sta bene. "c) L'abolizione del
Senato". Oh, che avrebbero detto ieri i venerandi ed illustri senatori di Palazzo
Madama se ieri quando avete deposto ai piedi dell'Alta Camera la vostra alta deferenza
aveste ricordato questi vostri, così truculenti propositi? Ancora? "d) La
convocazione di una assemblea nazionale per la durata di tre anni il cui primo compito sia
quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato". E perché onorevole
Presidente del Consiglio, non riprendete subito questo comma del vostro programma?
"e) La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell'industria, dei
trasporti, dell'igiene sociale, delle comunicazioni ecc. eletti dalle collettività
professionali o di mestiere, con poteri legislativi e col diritto di eleggere un
Commissario Generale con poteri di Ministro"".
Mussolini "Sono mantenuti, li mantengo...".
Conti "... e pure puzzano di socialismo e di sindacalismo,
tanto che noi repubblicani nel nostro programma ai consigli di classe preferiamo le
assemblee di popolo, cioè le espressioni della democrazia. Ma procediamo nella lettura.
"Noi vogliamo. Per il problema sociale: a) La sollecita promulgazione di una legge
dello Stato che sancisca per tutti i lavoratori la giornata legale di 8 ore di
lavoro"".
Mussolini "È rimasto tutto questo nel programma".
Conti "È questione di intendersi".
Una voce "E il Senato?".
Conti "b) I minimi di paga; c) La partecipazione dei
rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria; d) L'affidamento
alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della
gestione di industrie o servizi pubblici". Onorevoli Olivetti e Tofani, sorgete!
"e) La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei
trasporti; f) Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione
sull'invalidità e sulla vecchiaia, abbassando il limite di età proposto attualmente da
65 a 55 anni". Ma il programma continua: "Noi vogliamo: per il problema
militare: a) L'istituzione di una Milizia Nazionale con breve periodo d'istruzione,
compito esclusivamente difensivo. b) La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e
di esplosivi. c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare nelle competizioni
pacifiche della civiltà la nazione italiana nel mondo".
E ancora, onorevoli colleghi: "Noi vogliamo - dice il programma - per
il problema finanziario: a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere
progressivo, che abbia la forma di vera e propria espropriazione parziale di tutte le
ricchezze. b) Il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di
tutte le mense vescovili, che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un
privilegio per pochi". Qui io respiro e dico all'on. Mussolini: vedete un po' se
potete rintracciare almeno questo numero del vostro programma. Vediamo un po', onorevoli
colleghi, se in questa Camera nella quale si va creando una così unanime concordia, non
sia possibile trovar modo di creare una lotta almeno con i nostri colleghi
popolari".
Una voce al centro "Vi farebbe comodo".
Conti "Io sono un poveraccio. Non posso e non voglio diventare
ricco. L'ultimo comma del programma, ahi! anche questo quanto dimenticato, è: "c) La
revisione di tutti i contratti di forniture di guerra e il sequestro dell'85% dei profitti
di guerra". Con questo programma, con questo bandierone voi avete formato le file del
vostro partito. Ecco l'equivoco dell'origine. Parliamo dell'equivoco della conclusione.
On. Mussolini, voi dite: "noi siamo il Governo nazionale". Taluno più modesto
dice: "noi siamo il Governo dei partiti nazionali". Tutti gli altri partiti sono
dunque antinazionali. Tra questi ci siamo (bontà vostra!) anche noi, c'è anche il
partito repubblicano italiano. On. Mussolini, non facciamo scherzi. Noi siamo avversari da
tanto tempo.
Ci siamo anche personalmente conosciuti in un lontano comizio anconetano
contro la guerra di Tripoli, nel quale polemizzammo, come oggi, voi in difesa del partito
socialista, che chiamavate la testa di turco bersagliata da tutti coloro che vogliono
colpire qualche cosa, io in difesa di quella povera pregiudiziale repubblicana che ha,
oggi, per i nostri colleghi socialisti così amaro significato".
Mussolini "Ci sono tra i fascisti migliaia di combattenti, di
mutilati, decorati e invalidi; lo sapete".
Conti "Ma ce ne sono a migliaia anche fra noi. Ma riprendiamo
il discorso. Voi dunque siete il Governo nazionale. A consacrare il fatto e l'evento avete
chiamato al Governo nazionale, i due uomini che hanno suggellato con la vittoria l'ultima
pagina della nostra guerra. Poniamo, o colleghi, fuori d'ogni nostra discussione questi
uomini che simboleggiano un grande fatto. Essi hanno il nostro omaggio. Vorremmo però che
essi sentissero il dovere di lasciare un governo che è governo di parte. Ma con voi, on.
Mussolini, noi vogliamo discutere. Noi amiamo la patria da quando il nostro partito ci ha
insegnato ad amarla. Quando noi lottavamo per il nostro irredentismo, voi ci insultavate
nei vostri fogli e nei vostri comizi. Quando noi esaltavamo l'Italia, voi disprezzavate
l'immagine sacra della nostra Patria".
Paolucci "Ma poi ha fatto il caporale di fanteria in guerra,
cosa che non avete fatto voi".
Mazzolani "Anche l'on. Conti. Non c'è diritto di
privativa".
Conti "On. Paolucci, non ho medaglie d'oro. Pregiudicato
politico, sono stato per undici mesi caporale in un reggimento di artiglieria da campagna.
Al fronte sono stato agli ordini di ufficiali che avevano quindici anni meno di me. Ho
fatto il mio dovere".
Mussolini "Ma che sapevano morire bene, i plotonisti. I
giovani ufficiali si sono battuti benissimo".
Mazzolani "Noi ci inchiniamo".
Mussolini "Ho sempre riconosciuto il vostro patriottismo ed ho
cercato di avere con voi rapporti di buon vicinato. Voi mi avete respinto".
Conti "E vi respingeremo, on. Mussolini, ormai
irrevocabilmente a meno che non pensiate di tradire anche il re. Onorevole Mussolini,
continuiamo. Quando voi facevate l'apologia della diserzione..."
Mussolini "Mai!".
Conti "... quando facevate l'apologia del
regicidio".
Mussolini. Mai!
Conti "Sì! E lo ha scritto di questi giorni il vostro amico
Nenni. Nel carcere di Forlì voi deploraste il gruppo repubblicano che per bocca di
Giovanni Bovio aveva attestato la santità d'ogni lotta, ma aveva dichiarato l'avversione
dei repubblicani alla uccisione del tiranno. Ebbene quando voi teorizzavate in ogni modo
contro la Patria, contro la Nazione, noi eravamo come siamo ora, modestamente, ma
fermamente, al nostro posto a combattere per le nostre idealità, per l'Italia, per la
Repubblica, per il popolo lavoratore. Lo dovete riconoscere. Se non ce lo riconoscerete
sarà lo stesso. Voi avete scritto sulle bandiere, sui gagliardetti del fascismo quella
tal frase che non è bene ripetere qua dentro, per non avere dal nostro Presidente un
richiamo. Io non la scrivo in nessun gagliardetto, ma l'ho qui dentro, nell'anima. Noi
abbiamo la coscienza tranquilla da quando siamo nelle file del nostro partito. Vi esorto a
non perpetuare l'equivoco che avete creato qualificando antinazionali coloro che sono
antifascisti. La terza ragione per la quale noi siamo contrari al vostro Governo è
questa: noi non crediamo al miracolismo di un uomo. Non vogliamo che il bene ed il male
siano prodotti dall'opera di un padrone. Noi siamo per la democrazia, noi vogliamo un
Governo nel quale tutto il popolo abbia voce e potenza. Respingiamo la dittatura e il
Governo di pochi.
Io non vorrei dare un dispiacere a quei trentanove milioni di italiani i
quali, a dire del collega on. Paolucci, penderebbero dalle labbra del capo del Governo, in
attesa di grandi cose".
Paolucci "Se lo merita".
Mazzolani "Sì, perché gli date il voto".
Conti "Io che sono nato, pur essendo oggi una pecorella
smarrita, entro i quadri della religione cristiana e cattolica, io mi faccio ebreo - non
si impensierisca l'on. Modigliani! - di fronte alla situazione che si è creata. Si dice e
si pensa, se non proprio da trentanove milioni di italiani, che oggi finalmente abbiamo il
Messia".
Mussolini "L'uomo che farà il suo dovere tranquillamente,
senza tante pose gladiatorie, anche contro di voi".
Conti "Io non credo al Messia, e sarò tra gli ebrei anche
quando egli sarà crocefisso. Non sono tra coloro che aspettano che dall'on. Mussolini
venga salute all'Italia...".
Mussolini "Verrà da voi".
Conti "No. Voi sapete che per la nostra dottrina non dagli
individui, ma dalle coordinate forze del popolo può derivare il bene".
Mussolini "Noi abbiamo coordinato quelle forze...".
Conti "... sì, per bastonare la gente. Noi non crediamo alla
vostra opera personale, non crediamo alla possibilità che il vostro genio acclamato salvi
l'Italia; non ci crediamo, perché il problema italiano non è problema di uomini. Il
despota illuminato non serve, come non servono i re magnanimi, i re galantuomini
quand'anche ci fossero...".
Mussolini "Serve il presidente della
Repubblica...".
Conti "Il problema è un problema di istituti politici e
sociali".
Mussolini "Ce n'è un campionario di repubbliche".
Conti "Non so che cosa vogliate dire".
Mussolini "Le migliori sono quelle che sono le più
monarchiche".
Conti "So che l'on. Mussolini ha scoperto molte cose, e per
questo è stato una volta socialista, una volta tendenzialmente repubblicano, ed oggi è
devoto servitore di Sua Maestà. Non mi meraviglio dunque di quest'ultima scoperta. Gli
debbo dire però che noi non abbiamo bisogno di campioni. La Repubblica che noi
vagheggiamo è quella di Giuseppe Mazzini".
Giunta "Questa è scolastica".
Conti "Lascia stare. Giunta, figlio caro: anche la scuola
gioverebbe a molti. La nostra Repubblica rappresenta...".
Vicini "Quattro gatti".
Conti "I quattro gatti, on. Vicini, furono quelli che
convinsero, nel 1914, l'on. Mussolini a diventare interventista; i quattro gatti sono
coloro che hanno persuaso l'Italia a compiere il patriottico sacrificio della guerra, e
che hanno convinto la monarchia sabauda, che voleva marciare accanto alla Germania e
all'Austria...".
Voci "Non è vero! Non è vero!".
Conti "... alla guerra per Trento e Trieste. La nostra
Repubblica, on. Mussolini, rappresenta l'organizzazione della democrazia. Il nostro
eminente collega Turati ha insegnato per trenta anni ai suoi compagni che far la
repubblica non valeva la pena poiché si trattava di null'altro che del cambiamento delle
insegne dei tabaccai. Ora io credo che la dura esperienza abbia convinto anche lui... Si
tratta dunque di dare all'Italia nuove istituzioni".
Mussolini "Quali?".
Conti "...quelle che corrispondono alla realtà democratica
del nostro paese che non è paese di grandi commercianti, di industriali, di
banchieri...".
Mussolini "Gran parte dei quali sono nel vostro
partito".
Mazzolani "Peccato che non li conosciamo".
Conti "On. Mussolini, non siate ingiusto e non ributtate nella
discussione le frasi fatte del vostro repertorio socialista. Voi sapete bene che nel
partito repubblicano disgraziatamente i ricchi non ci sono. Il nostro è un partito di
operai, di contadini, di piccoli proprietari e di idealisti che sacrificano sé per la
battaglia repubblicana che noi continuiamo per la bellezza dell'idea con la rinunzia di
ogni vantaggio personale. Dicano coloro che sventolano le vostre bandiere se la loro
partecipazione alla vita politica è disinteressata come la nostra.
Si tratta dunque di dare istituzioni le quali permettano l'efficace
svolgimento della sovranità popolare; istituzioni le quali diano modo alle regioni
d'Italia di vivere nella loro libertà e nella loro autonomia. Un vostro cenno non vorrei
significasse assenso a quello che dico, on. Mussolini. Mi dispiacerebbe convertirvi alla
nostra dottrina federalista. In questo caso vi dico che potrei andare a rintracciare una
vostra manifestazione di simpatia...".
Mussolini "Ancora una?".
Conti "...per quel Partito sardo di azione contro il quale ora
- mutando parere - avete lanciato l'accusa di separatismo".
Mussolini "...seguita da un telegramma di simpatia al
direttorio, quando ho conosciuto come stavano le cose".
Cao "Dio ce ne guardi di questa simpatia!".
Conti "Precisamente: quando le file del fascismo non erano
nutrite di uomini come oggi, quando andavate cercando in tutti i campi e specialmente nel
nostro campo repubblicano le forze per costituire le vostre squadre, allora avete offerto
la solidarietà del vostro giornale e del vostro partito a costoro che lottavano per una
nobilissima causa regionale, ed ai quali ora avete lanciato, voi e il vostro collega Finzi
(simpatico giovane, ma sottosegretario che ha bisogno di centri inibitori più pronti e
più validi) l'accusa di separatismo... È vero. Non la dittatura dunque può risolvere
l'angoscioso problema nazionale.
Non una coalizione di partiti e di uomini reazionari. L'Italia è nata
nella libertà, nella libertà deve trovare la sua salvezza. L'Italia ha su di sé un
istituto politico che nega al popolo lavoratore il suo avvenire. Voi credete, on.
Mussolini, di avere arrestato il suo cammino e di avere fermato la storia. No, onorevole
Presidente del Consiglio. Avevate ragione dicendo all'on. Turati che la storia non cammina
su binari obbligati, perché le idee e la volontà degli uomini fanno la storia. On.
Mussolini, con la vostra teorica affermiamo che per la forza delle idee e per la volontà
degli uomini, può finire il regime che voi avete difeso con la violenza, e che volete
perpetuare con la vostra dittatura. Noi repubblicani proseguiamo nella nostra battaglia,
continuiamo ad agitare la fiaccola delle nostre idee. La vostra dittatura - questo
dispiace al vostro collega Federzoni - è la defenestrazione del vostro sovrano. Il Regime
è finito. E noi andremo incontro anche al diavolo per affrettare il suo crollo e fondare
la Repubblica sulle sue rovine".
È di poco posteriore - risale al 28 aprile 1923 -
una analisi di grande acutezza che apparve sul giornale Il Lavoratore di Trieste sotto il
titolo "Sviluppi inesorabili" e che è dovuta alla penna di Palmiro Togliatti:
"Avvenimenti di questi giorni, quali discorsi ufficiali ed ufficiosi
di cui sono prodighi i capi del fascismo e la rinuncia di Mussolini alla collaborazione
dei popolari, vengono a confermare le nostre previsioni sulla strada che seguirà il
fascismo nei suoi sviluppi inesorabili. "Inesorabili" è il termine appropriato
non solo perché il fascismo si propone di schiantare tutti gli ostacoli che incontrerà
nella sua via ma anche e più ancora perché esso non ha facoltà di scelta ed è
inesorabilmente costretto da una dura ed inviolabile legge di vita a continuare la sua
opera di asservimento delle classi operaie e si troverà ben tosto costretto dalla stessa
legge a portare a compimento la sua offensiva contro il medio ceto.
Considerare la conquista del potere da parte del fascismo come una
conquista della piccola e della media borghesia, è un errore in cui sono caduti molti
scrittori politici e che ha generato previsioni inavverabili. Se il fascismo ha reclutato
gran parte dei suoi capi e dei suoi aderenti nei ceti medi, esso è tuttavia asservito
alla grande industria che ha così trovato un potente strumento per stroncare le
possibilità rivoluzionarie delle classi lavoratrici e per consolidare il proprio potere.
Non poter essere altro che uno strumento è la legge inesorabile che regola lo sviluppo
del fascismo. Questo spiega perché il fascismo non possa avere una propria dottrina,
spiega perché il fascismo abbia ben presto rinunciato alle sue tendenze laburiste, spiega
perché abbia rinunciato alla sua tendenzialità repubblicana, spiega molte incertezze dei
suoi capi e molti conflitti interni, spiega la corsa verso l'assolutismo e lo stato di
continua preoccupazione che detta agli uomini più rappresentativi parole di minaccia
contro nemici spesse volte immaginari.
Avere il proprio destino già segnato da una forza che la volontà non
può vincere, non potersi tracciare una via è, anche se il fascismo non ha coscienza di
ciò, il dramma del fascismo. Non sono pochi coloro che hanno creduto in un possibile
orientamento democratico del fascismo o che si sono illusi sulla possibilità di una
collaborazione del fascismo - che per un momento parve vicina a realizzarsi - coi capi
riformisti del movimento operaio. Queste soluzioni avrebbero segnato la morte del fascismo
che, posto ogni giorno di fronte al problema della propria esistenza, sarà perpetuamente
costretto a respingerlo. Non solo. Ma esso sarà costretto ad eliminare a mano a mano
tutte le scorie del passato regime ed a chiudersi in una intransigenza che renderà sempre
più aspra e tirannica la sua dittatura. Un altro fenomeno che merita di essere
considerato è l'ostinazione con la quale liberali, democratici e popolari continuarono a
sperare nella possibilità di inquadrare il fascismo nella costituzione. Fino ad oggi, si
può dire, si continuò a sperare in una vita effimera della dittatura, si continuò a
credere che il fascismo si sarebbe andato legalizzando. La costituzione della milizia
nazionale non bastò a scuotere queste speranze. L'atteggiamento del presidente del
consiglio verso la Camera dei deputati fu considerato come effetto di una collera che
sarebbe presto sfumata.
La soppressione di tutte le libertà fu considerata come uno strascico
inevitabile ma passeggero del passato illegalismo. È innegabile che i capi più
intelligenti del fascismo avrebbero accettato un avvicinamento cogli altri partiti
borghesi, ma esaminandone le conseguenze hanno dovuto rapidamente ritirarsi da questa
strada per evitare la rovina del fascismo. Essi devono ormai avere compreso di non avere
libertà di azione, di essere costretti a seguire fino in fondo la via senza ritorno per
la quale si sono cacciati. E così si è giunti alla cacciata dei popolari dal ministero e
così si giungerà domani a decretare l'ostracismo a tutti i partiti che tentino comunque
di differenziarsi dal fascismo. Sviluppi inesorabili. Tutti i tentativi di resistenza non
faranno che inasprire il fascismo e, poiché sono inevitabili, i caratteri tirannici
dell'attuale regime si accentueranno sempre più. Il governo rappresenta certi interessi
che difenderà e sosterrà, forte delle sue camicie nere. Parole assai chiare sono state
pronunciate a questo proposito e verranno mantenute appunto perché gli sviluppi del
fascismo sono inesorabili.
E se non troviamo ingiusto che chi ha fatto nascere il fascismo, ne ha
favorito lo sviluppo, lo ha spinto al trionfo, sopporti ora le conseguenze delle sue
azioni, non ci illudiamo per quanto ci riguarda. Sappiamo che il maggior peso della
tirannide graverà ancora e sempre sul proletariato, sappiamo che le rappresaglie e le
violenze colpiranno specialmente il proletariato e le sue avanguardie, sappiamo che gli
"sviluppi inesorabili" ci costringeranno forse a rinunciare a tutta la nostra
attività legale e ci prepariamo ad affrontare anche questa nuova bufera. E resisteremo
perché sappiamo che soltanto il proletariato potrà, se avrà una preparazione ed una
guida, compiere lo sforzo liberatore. La reazione plutocratica e la rivoluzione proletaria
si trovano di fronte e chi è nemico di questa non può affermarsi nemico di quella e deve
decidersi a scegliere - se crede che l'una e l'altra delle due soluzioni siano cattive -
scegliere tra i due mali il minore".
Il leader comunista sfatava tutte le illusioni su una possibile
"normalizzazione" e "legalizzazione" di un movimento che non aveva
altra strada se non quella di persistere nell'attacco armato e nelle tecniche da colpo di
Stato.
Da "Patria indipendente" n. 10 del 1999. |