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L'antifascismo all'estero

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Periodico socialista stampato a Parigi (1931)

 

Nella storia dell'emigrazione antifascista vanno distinte almeno due fasi. Un primo esodo si era verificato fin dall'inizio degli Anni Venti, quando molti militanti dovettero imboccare la via dell'esilio per sfuggire alle persecuzioni dello squadrismo, che puntava all'eliminazione fisica degli avversari o quanto meno a rendere loro la vita impossibile nei luoghi di residenza e di lavoro. Questo tipo di emigrazione riguardava soprattutto lavoratori ed esponenti locali dei partiti antifascisti. Bisogna aggiungere che molti di questi esuli - i più decisi e determinati - rientrarono in Italia nel periodo del delitto Matteotti e dell'Aventino, quando sembrava che la situazione potesse evolvere verso un ritorno alla normalità. Ma l'ondata migratoria senza dubbio più significativa si verificò dopo che il fascismo, superata con la complicità della monarchia la tempesta determinata dall'assassinio del parlamentare polesano, cominciò a consolidare il suo potere e a trasformarsi in vero e proprio regime con il varo delle leggi cosiddette "fascistissime", lo scioglimento del Parlamento, la soppressione delle libertà fondamentali anche sul piano giuridico. A quel punto, per i dirigenti delle forze politiche disciolte, non restava che la via dell'abbandono del territorio nazionale, non soltanto per ragioni di sopravvivenza fisica, ma anche per poter continuare una battaglia che in Italia era divenuta impossibile se non nella clandestinità. Si può facilmente immaginare quale fosse la vita di questi esponenti politici sradicati dall'ambiente in cui avevano sempre operato, attanagliati dalle difficoltà della sopravvivenza, costretti spesso ai lavori più umili, in un contesto in cui pullulavano spie, provocatori e talvolta - come nel caso dei fratelli Rosselli - veri e propri assassini reclutati e finanziati dal regime fascista. Per questo periodo l'angolo visuale più interessante può essere quello dei tentativi di stabilire un'unità di tutte le forze antifasciste, al di là delle polemiche sul passato e sulle rispettive responsabilità che continuavano a infuriare rendendo l'emigrazione ancora più debole di quanto inevitabilmente non fosse per ragioni oggettive.

a cura di Lucio Cecchini

Il primo tentativo in questo senso fu fatto dal Partito socialista italiano, che nell'aprile 1927 inviò al Partito comunista, al Partito socialista dei lavoratori italiani, al Partito repubblicano e ai gruppi anarchici la lettera di cui riproduciamo il testo: "Dai centri di lavoro e dalle galere, dai domicili coatti come dai luoghi di emigrazione, quotidianamente giungono al nostro partito le invocazioni più accorate all'unità di intenti e di azione dei partiti proletari italiani contro la dittatura fascista. Il proletariato intuisce che il periodo delle sue sconfitte tramonterà il giorno in cui cesseranno le disastrose risse intestine fra i partiti che derivano da esso la dottrina e la forza. Credete voi, compagni del PCDI, del PSDI, del PRI e dei GAI, di poter continuare nell'azione di critica esclusivamente negativa al regime fascista, di sottile differenziazione teorica, tra di noi, di iniziative particolaristiche e discorsi? Ritenete veramente con la perseveranza in questi sistemi di assolvere ai fini che sono la ragione di esistenza e di sviluppo dei rispettivi organismi di partito e di degnamente corrispondere alla aspettativa fiduciosa che i lavoratori d'Italia ripongono in noi? Il Partito socialista italiano pensa che la continuazione in questo indirizzo sia un tradimento verso noi stessi e verso le masse che ci seguono. Esso ritiene giunto il momento in cui i partiti debbono compiere un gesto che segni l'inizio di una nuova era di attività e di lotta, destinato ad unificare le forze della battaglia e quindi a ridestare le energie delle masse italiane disorientate e depresse. Non è difficile la ricerca di una base comune di programma e di azione. Essa balza spontanea ed evidente dall'esame della situazione italiana e dalla visione degli ideali e degli interessi della classe lavoratrice. Alla dittatura fascista, espressione politica della più spietata dominazione capitalistica, opporre il programma della repubblica socialista sotto il controllo delle libere organizzazioni proletarie italiane, per l'avviamento all'opera di completa redenzione morale ed economica delle classi lavoratrici e del paese tutto intiero. Su questa base comune che è al fondo delle nostre dottrine, tutta una serie di iniziative immediate ed urgenti può avere sviluppo. Dalla creazione di una unica grande opera di soccorso in favore delle vittime del terrore fascista, al perseverante lavoro presso le Internazionali politiche e sindacali per un'azione di boicottaggio del regime dittatoriale italiano, fino al completo raggiungimento della meta propostaci, tutto un lungo cammino gli aggruppamenti politici del proletariato italiano possono e debbono compiere insieme. Alla sola condizione che, deposti gli esclusivismi, i rancori, le meschine abilità del passato, essi sappiano e vogliano portare nella comune battaglia un'anima nuova di fraternità e di stima reciproca ardente solo del desiderio della lotta e della vittoria. Il Partito socialista italiano attende da voi questa risposta che gli operai ed i contadini d'Italia invocano e sperano".

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La risposta comunista non si fece attendere e fu una risposta di taglio decisamente polemico, in cui cominciò ad adombrarsi, accanto alle fratture del passato, un nuovo elemento: il PCI era l'unica forza ad aver conservato in Italia una struttura clandestina diffusa sul territorio. Quindi, mentre gli altri partiti insistevano soprattutto sulla necessità del lavoro nell'emigrazione per sensibilizzare l'opinione internazionale, i comunisti guardavano prevalentemente all'Italia e alla necessità di mantenervi viva e vitale l'opposizione: "Ci viene trasmesso - replicò il PCI - il n. 8 del vostro bollettino, contenente un appello "per l'unità proletaria nella lotta antifascista". Da esso non appare se si tratta soltanto del lavoro tra l'emigrazione italiana all'estero, o anche di quello, per noi ben più importante e decisivo, che occorre svolgere in Italia. Tuttavia il Comitato centrale del PC d'Italia nella sua recente riunione ha tenuto conto ugualmente di quel documento, nel corso della discussione sulla situazione italiana e sui compiti del nostro partito nella lotta antifascista. A quanto pare, vi sareste finalmente decisi ad adottare la formula: "blocco operaio contro blocco borghese", che invano vi abbiamo proposto nel periodo aventiniano; così pure sarebbe caduta la vostra pregiudiziale degli accordi "caso per caso", che nel passato ha impedito qualsiasi serio sviluppo di un lavoro di fronte unico classista. Se così è, prendiamo atto della rettifica avvenuta nelle vostre direttive. Noi faremo altrove una critica radicale della formula programmatica da voi proposta: "Repubblica socialista sotto il controllo delle libere organizzazioni proletarie italiane". Non si vede come i lavoratori possano "controllare" dal di fuori una repubblica "socialista". La sola possibilità di controllare seriamente uno Stato consiste nel prenderne e tenerne il potere. Il proletariato non può conservare il potere senza modificare profondamente la struttura statale, foggiandola in modo da assicurare la progressiva realizzazione del programma socialista e garantendo contro i ritorni offensivi della borghesia le conquiste e gli sviluppi della rivoluzione. Non insistiamo, per ora, su questa questione, non perché essa implichi soltanto una "sottile differenziazione teorica", ma perché crediamo che nella situazione attuale all'azione del fronte unico necessita non tanto una formula sul tipo di governo proletario che sarà realizzato sulla sconfitta del fascismo, quanto il programma di lavoro concreto che occorre compiere in Italia per preparare la caduta della dittatura borghese. Quello che importa oggi è riconoscere il terreno sul quale la lotta antifascista può acquistare il massimo di intensità e d'ampiezza. Il nostro partito crede che tale terreno sia quello della lotta anticapitalistica. Il fascismo, come tentativo di stabilizzare la dittatura capitalistica in Italia, è costretto a colpire sempre più gravemente gli interessi della gran maggioranza della popolazione. La sua politica economica, con la piena complicità, sotto la diretta imposizione degli industriali, degli agrari e dei banchieri, è rivolta a garantire i profitti e l'egemonia del capitalismo e poggia tutta su questi elementi: intensificato sfruttamento della mano d'opera; protezionismo ad oltranza e pressione fiscale espropriatrice sui larghi strati dei contadini e della piccola borghesia. Una tale politica, sostenuta da un regime interno di tipo coloniale, mentre da un lato radicalizza la crisi economica italiana, spinge dall'altro le larghe masse popolari depauperate da una sistematica rapina a reagire, a protestare, a riprendere la resistenza. Sintomi frequenti indicano che lo stato di forzata passività delle masse comincia ad essere superato. Qui il compito delle avanguardie proletarie appare chiaro: mettere in moto tutte le forze attive anticapitalistiche, moltiplicare gli episodi di resistenza, di protesta, di ribellione; collegarli in un'azione sempre più vasta che ostacoli la politica di spoliazione della popolazione lavoratrice italiana da parte della borghesia capitalistica, e in tal modo tagli i viveri al regime, e ne acceleri la crisi liquidatrice. Da ciò risulta che nel prossimo periodo il lavoro sindacale assumerà una importanza prevalente. Bisogna che i lavoratori si sentano sostenuti e guidati nelle loro agitazioni economiche (che la campagna capitalistica in corso per l'ulteriore riduzione dei salari provocherà ovunque) da un organismo di classe. Questo non può essere che l'organizzazione sindacale tradizionale, la Confederazione generale del lavoro. La deliberazione di scioglimento votata dal gruppo dei traditori, ai quali per troppo tempo - nostro malgrado - è stata affidata la direzione dell'organizzazione classista, ha provocato una vivace reazione nel campo operaio. Dalla periferia, dalle varie località una ondata di sdegno ha fatto fin d'ora fallire il turpe tentativo. La volontà di far vivere la Confederazione, malgrado i traditori e malgrado il fascismo, è profondamente radicata nelle masse lavoratrici italiane. Le forme di questa vita non possono che essere illegali, cioè al coperto - il più possibile - dalla repressione poliziesca e governativa. Ma allo scioglimento non si risponde che in un sol modo: la vita della Confederazione, spostando il suo centro di gravità nella fabbrica, mobilitando le energie locali, assicurando lo sviluppo dell'inquadramento sindacale classista coll'affidargli un compito attivo di direzione delle agitazioni proletarie sul terreno delle rivendicazioni immediate. La lotta antifascista non può essere condotta soltanto coi quadri sindacali per quanto la nostra azione vi possa far rifluire nuovi contingenti e nuovo vigore. Anche le larghe masse non organizzate sindacalmente devono essere mobilitate contro il fascismo sul terreno della lotta economica e politica. A tale scopo i partiti proletari devono tendere a far sorgere ovunque comitati di fronte unico, abbraccianti i lavoratori di tutte le tendenze politiche ma decisi a difendere i loro interessi di classe e a lottare contro il regime. Tali organismi possono sorgere in determinate circostanze, sul terreno di determinate rivendicazioni, o formarsi come raggruppamenti di fronte unico politico (comitati d'agitazione; comitati proletari antifascisti). Gli uni e gli altri dovrebbero tendere a diventare organi permanenti di lotta, e a porsi in ragione del loro estendersi e rafforzarsi, obiettivi sempre più vasti. Essi realizzano così la direzione proletaria della lotta antifascista, facendola poggiare su una mobilitazione di classe e dandole spirito di decisione e coerenza e continuità di propositi. Riassumiamo i criteri pratici di un serio ed immediato lavoro di fronte unico nei seguenti punti: 1) la lotta antifascista si deve svolgere principalmente in Italia, perché il fascismo non può essere battuto che in Italia; 2) il fascismo sarà travolto dalla insurrezione delle larghe masse popolari, sotto la guida del proletariato; 3) la lotta si deve impegnare soprattutto sul terreno delle rivendicazioni immediate dei lavoratori e dei ceti depauperati dalla politica economica del regime (lotta per l'aumento dei salari, contro il caro vita, contro la pressione fiscale); 4) questa lotta richiede la continuazione della vita dell'organizzazione classista in Italia (Confederazione generale del lavoro), che la deve suscitare, dirigere, sviluppare; 5) i lavoratori di tutte le tendenze politiche devono essere inquadrati in organismi di fronte unico politico, che col loro estendersi costituiranno la mobilitazione della classe lavoratrice contro la dittatura capitalistica; 6) la politica estera del governo fascista dovrà essere seguita con particolare attenzione e un intenso lavoro di agitazione dovrà essere condotto in mezzo alle masse contro di essa che sta diventando sempre più uno strumento della reazione capitalistica internazionale. Questi punti offrono una base solida di un lavoro dal quale nessun proletario deve rimanere assente. Essi tengono conto della esperienza viva della lotta di classe di questi ultimi anni e pongono il problema del fronte unico su un terreno concreto di realizzazione. È d'accordo codesta direzione su tale programma preciso di lavoro? E se non lo è, cosa vi sostituisce? Il vostro appello non contiene nulla che riguardi il lavoro in Italia. Vi si accenna invece a due proposte: quella di sollecitare un'azione di boicottaggio da parte delle Internazionali politiche e sindacali, e quella di un accordo per l'aiuto alle vittime della reazione fascista. Sulla questione del boicottaggio, affermiamo che il nostro partito è pronto ad impegnarsi per esso con tutte le sue forze, purché non si riduca ad una minaccia demagogica e si ponga invece sul piano seriamente meditato di una pratica attuazione. Per l'aiuto alle vittime voi non ignorate che esiste in Italia un'organizzazione, sopravvissuta malgrado le feroci persecuzioni, la quale ha compiuto verso le vittime di tutte le tendenze politiche un'azione assistenziale di cui possiamo fornire in ogni momento la precisa documentazione. Soltanto nel 1926 sono state raccolte a questo scopo ed erogate parecchie centinaia di migliaia di lire. Se voi avete altre iniziative da proporre, altri e nuovi mezzi che possano rafforzare l'azione svolta dal "Soccorso vittime" e ad essa collegarsi, non mancherà purtroppo l'occasione di utilizzarle. Ma il problema fondamentale é quello della lotta antifascista in Italia in ragione della quale devono essere determinati i criteri ed il programma del fronte unico proletario".

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Peraltro i socialisti insistettero e riproposero al PCI l'ipotesi di una "concentrazione antifascista" redatta dal PSLI e dal PRI: "Da parte della direzione del Partito socialista dei lavoratori italiani e del Partito repubblicano italiano, abbiamo ricevuta l'acclusa proposta di intesa antifascista. Fedeli al nostro programma di unità d'azione integrale delle forze proletarie antifasciste, noi consideriamo insufficiente qualsiasi tentativo che non sia il risultato dell'intesa di tutti i partiti politici ed organizzazioni del proletariato. Favorevoli, in linea di massima, al programma di lavoro pratico che ci è stato proposto noi sollecitiamo la vostra adesione alla iniziativa, impegnandoci a sostenere presso i partiti proponenti la necessità della vostra presenza nella coalizione proposta. Nell'attesa di un sollecito riscontro, accogliete i nostri saluti cordiali".

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Carlo Rosselli

Lo schema delineato dai repubblicani e dai socialisti riformisti e sostenuto da altri, tra cui la CGIL, diceva: "Ad iniziativa del Partito socialista dei lavoratori italiani, dei Partito socialista italiano, del Partito repubblicano italiano, della Lega italiana dei diritti dell'uomo e della Confederazione generale del lavoro italiano sarà costituito un Comitato che prenderà il nome di Concentrazione di azione antifascista e che si ispirerà ai seguenti criteri: 1) autonomia dei partiti e delle organizzazioni aderenti; 2) dichiarazione di lotta a fondo contro il fascismo, i suoi complici e i suoi ausiliari; 3) organizzazione dell'antifascismo all'estero: a) fondazione di un giornale quotidiano colla emissione di un prestito o di azioni; b) costituzione di sezioni di propaganda antifascista in tutti i centri di emigrazione; c) fiancheggiamento dell'azione della Confederazione generale del lavoro e dei suoi cinque punti programmatici comunicati ai partiti; 4) azione internazionale: a) accordo con le organizzazioni antifasciste operaie, politiche, culturali internazionali per suscitare e disciplinare la propaganda antifascista; b) costituzione di uffici di stampa a Parigi, Londra, Berlino, Ginevra, New York e Buenos Aires; c) organizzazione di manifestazioni contro il regime di terrore in Italia, pro vittime del fascismo e contro il pericolo permanente di guerra rappresentato dal regime fascista; 5) azione in Italia: a) contatto permanente ed organico con le masse a mezzo di appositi comitati e fiduciari; b) guidare ed assistere le masse operaie nei loro movimenti sociali e politici; c) diffusione di stampe, manifesti e opuscoli; d) organizzazione dei servizi di passaggio di frontiera; 6) soccorso alle vittime politiche: a) intensificazione e coordinamento attorno all'esistente Comitato confederato di assistenza per le vittime del fascismo di tutte le iniziative tendenti a questo fine; 7) finanziamento: a) organizzazione di Comitato di finanziamento di tutte le iniziative di cui sopra". Su questa base si giunse nei mesi successivi alla formazione della "Concentrazione antifascista", alla quale aderirono repubblicani, socialisti dei due partiti e la CGIL.

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Ancora ispirata prevalentemente a motivi polemici la risposta dei comunisti, che ne restarono fuori: "Ci viene trasmessa, con ritardo, la vostra lettera in data 6 aprile, contenente una nuova proposta di fronte unico. La cosa ci è parsa talmente strana, che abbiamo dovuto rivolgerci costì per averne conferma. La nostra sorpresa derivava dal fatto che sull'Avanti! del 20 febbraio cotesta direzione pubblicava un appello ai vari partiti, esclusa l'opposizione democratica e costituzionale, nel quale si poneva come base del fronte unico una formula politica ("repubblica socialista sotto il controllo ecc. ecc."), da cui pareva che il periodo aventiniano fosse per i massimalisti finalmente superato. Siccome il documento vostro veniva a poche settimane dalla mozione di Nérac-Parigi, ed implicitamente le si contrapponeva, il nostro partito ha fatto l'ipotesi che si potesse trattare di un passo verso il blocco "proletario", da noi sempre sostenuto e opposto dal 1924 alla concentrazione aventiniana a cui avete anche allora aderito. Perciò il nostro Comitato centrale, nella sua riunione del marzo scorso, esaminava il vostro appello e vi rispondeva fissando alcuni criteri tattici e di lavoro pratico sui quali vi proponeva di fondare una effettiva unità proletaria nella lotta antifascista. La lettera del nostro Comitato centrale è rimasta senza risposta e non è neppure stata fatta conoscere ai vostri aderenti, perché potessero giudicare direttamente le nostre proposte: invece di risponderci, ci trasmettete una nuova proposta concentrazionista, nella quale si abbandona non solo la pregiudiziale repubblicana, ma anche quella proletaria. Nel blocco dovrebbero entrare anche la Confederazione generale del lavoro e la Lega dei diritti dell'uomo. Orbene, ci risulta che nessun invito di tal genere è pervenuto alla Confederazione generale del lavoro, che in Italia continua ed intensifica la lotta per far naufragare il miserabile tentativo inserzionista di un gruppo di traditori, al quale il vostro partito ha purtroppo prestato man forte durante parecchi anni, preferendo l'alleanza e la complicità con essi invece che la collaborazione coi comunisti. Inoltre la partecipazione della Lega dei diritti dell'uomo non è che una mascheratura per rendere possibile la collaborazione della democrazia liberale e massonica, alla quale non avete avuto il coraggio di impegnarvi apertamente. Il nostro partito, che non ha dimenticato, come voi fate con inguaribile leggerezza, l'esperienza negativa del primo Aventino, non può certo con il proprio intervento valorizzarne il secondo, e non solo non partecipa alla nuova combinazione politica di ispirazione massonica, ma la combatterà opponendole la mobilitazione delle forze indipendenti e classiste del proletariato. Noi crediamo che il proletariato italiano meriti, almeno, da parte dei partiti che ad esso si richiamano, che i suoi problemi siano esaminati con un minimo di serietà. Orbene, in pochi mesi codesta direzione ha lanciato tre formule diverse di fronte unico: quella della mozione di Nérac-Parigi; quella dell'appello del 20 febbraio per la "repubblica socialista"; quella del secondo Aventino, mutando direttive secondo le esigenze della piccola politica dell'emigrazione. Il nostro partito ha esaminato il vostro appello del 20 febbraio nel corso di un'analisi, che riteniamo giusta, e che non si è neppur tentato di confutare, della natura del fascismo, del carattere della situazione italiana e delle sue prospettive. Noi abbiamo, rispondendovi allora, voluto "riconoscere il terreno sul quale la lotta antifascista può acquistare il massimo di intensità e ampiezza", e vi abbiamo comunicato il risultato del nostro esame. Dal canto nostro non abbiamo ragione alcuna per credere superate le conclusioni a cui giungevamo nelle nostre proposte, e se voi avete frettolosamente abbandonato il timido orientamento verso un blocco proletario e anticapitalistico che l'appello del febbraio pareva indicare, ciò è certamente dannoso alla causa antifascista, ma il danno dipende unicamente da voi. Per il nostro partito la lotta antifascista e la ricerca dei mezzi per assicurarne il successo e gli sviluppi sono questioni importanti, ed è perciò che non possiamo prendere sul serio la vostra nuova improvvisazione di fronte unico (terza edizione). Se, sotto la pressione degli eventi, vorrete o dovrete riprendere il problema dell'unità proletaria e rivoluzionaria nella lotta contro il regime borghese in Italia, la lettera del nostro Comitato centrale, che attende ancora una risposta, può servire di base a una proficua discussione, ad una fattiva collaborazione".

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Soltanto nel 1934 fu possibile giungere a una prima intesa tra il PSI e il PCI, vale a dire tra i due maggiori partiti della sinistra italiana. L'accordo fu sancito nel "patto" che riproduciamo: "I - Le delegazioni del Partito comunista d'Italia e del Partito socialista italiano, riunitesi per discutere i problemi dell'unità d'azione proletaria, hanno constatato che sul piano generale dei princìpi e sul giudizio sulla situazione internazionale sussistono tra di loro divergenze fondamentali di dottrina, di metodo, di tattica che si oppongono ad un fronte politico generale e, a maggior ragione, ad una fusione organica. Ma queste divergenze non tolgono che esista una confluenza dei due partiti su punti precisi concreti attuali della lotta proletaria contro il fascismo e contro la guerra. Ubbidendo quindi alla esigenza di sviluppare al massimo la tensione e la concentrazione delle forze popolari cui essi si indirizzano e di assicurare al proletariato - interprete degli interessi generali della società - la direzione della lotta politica, i due partiti stabiliscono tra di loro un patto di accordo in vista degli obiettivi seguenti: a) contro l'intervento in Austria e in genere contro la minaccia di guerra che scaturisce dagli antagonismi degli interessi imperialisti e della politica fascista di provocazione alla guerra. Le direttive di questa azione sono state precisate nel manifesto comune del 31 luglio cui devono ispirarsi nella loro azione locale le sezioni, i gruppi e i militanti tutti dei due partiti; b) per strappare dalle prigioni e dalle isole di deportazione le vittime del Tribunale speciale e della repressione ed imporre l'amnistia totale ed incondizionata; per la partecipazione attiva alla campagna internazionale per la liberazione di Thaelmann, di Seitz e di tutte le vittime del fascismo; c) per la difesa e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori; contro ogni riduzione dei salari e degli stipendi, per il sussidio a tutti i disoccupati, contro i sequestri, per l'annullamento dei debiti e delle imposte ai contadini poveri, per tutte le rivendicazioni immediate delle masse lavoratrici; d) contro il sistema corporativo, per la libertà sindacale, per la rappresentanza dei lavoratori nelle aziende, per la libertà di organizzazione, di stampa e di sciopero, per la elezione libera di tutte le cariche sindacali, per la rivendicazione di tutte le libertà popolari. II - I due partiti, tenendo presenti le possibilità locali, si impegnano a dare alle rispettive organizzazioni di base, di gruppi e a tutti i militanti le istruzioni necessarie per promuovere e coordinare, nelle forme che risulteranno più adatte alle particolari situazioni, delle azioni comuni per gli obiettivi fissati nel presente patto. III - I due partiti si impegnano a dare istruzioni alle rispettive organizzazioni dei paesi di emigrazione italiana perché associno le loro forze nell'azione per sostenere le lotte all'interno del proletariato italiano e contro la penetrazione del fascismo tra le masse emigrate e perché, attraverso le organizzazioni sindacali e politiche indigene, assicurino la difesa degli immigrati. IV - I due partiti, nei limiti della disciplina verso le rispettive Internazionali, useranno della loro influenza per spianare la via in ogni paese ad una politica di unità d'azione. V - I due partiti conservano la loro piena ed intera autonomia funzionale e dottrinaria. Ognuno di essi continua la sua specifica propaganda ed azione, impegnandosi di valersi dell'incontrastato diritto di esprimersi con piena franchezza sui dissensi dottrinali e tattici che tuttora si oppongono ad un fronte politico generale ed alla fusione organica, in modo tale da non urtare ed ostacolare lo svolgimento delle azioni comuni già concordate. VI - I due partiti conservano piena libertà di sviluppare il proprio reclutamento. Essi convengono che nel corso dell'azione comune si asterranno da ogni intervento nel seno dell'altro partito, per disgregarne le organizzazioni e romperne la disciplina. VII - Le delegazioni dei due partiti si manterranno in collegamento e si potranno convocare a richiesta di una delle due, per esaminare e concretizzare nuove eventuali proposte interessanti la realizzazione del presente accordo e per risolvere nello spirito di questo accordo ogni eventuale punto di contrasto che sorgesse".

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Dal punto di vista delle prese di posizione antifasciste, riveste un certo interesse il documento contro la guerra d'Abissinia approvato nell'ottobre 1935 dal "congresso degli italiani" che si riunì a Bruxelles: "Rappresentanti dei lavoratori d'Italia, dei partiti della democrazia e della classe operaia italiana, di associazioni di emigrati italiani d'Europa e di America, designati da centinaia di migliaia di italiani di ogni età, sesso, di ogni condizione sociale e di ogni opinione politica e religiosa sparsi per il mondo e reduci dalle carceri e dalle isole fasciste; in cospetto della rappresentanza dell'Internazionale operaia socialista, dell'Internazionale comunista e delle organizzazioni sindacali internazionali, venute a portare al popolo italiano il solidale appoggio del proletariato mondiale in lotta contro il fascismo e contro la guerra; ci siamo riuniti il 12 e il 13 ottobre 1935, nella sala Matteotti della Maison du Peuple di Bruxelles, in un "Congresso degli italiani", per dichiarare alto e forte l'angoscia del popolo italiano di fronte alla guerra scatenata il 3 ottobre, e la sua volontà di pace, per dire ai nostri fratelli soldati in Italia e in Etiopia, e agli italiani tutti, una parola che susciti nei loro spiriti un incrollabile proposito d'azione contro la guerra, per separare, davanti alla opinione pubblica mondiale, la responsabilità del popolo italiano da quella del fascismo, il quale sta consumando contro la indipendenza del popolo etiopico e contro l'umanità, il più abominevole delitto. La guerra iniziatasi in Africa non è guerra dell'Italia, ma del fascismo! Essa è la conclusione di 13 anni di una folle politica liberticida di asservimento delle masse ad un pugno di sfruttatori e di profittatori, politica che - dopo aver tentato invano l'ultima sua giustificazione con una inconsistente esperienza corporativa - cerca uno sbocco nella esasperazione dello sciovinismo, seguendo così il destino di tutte le dittature capitaliste e militariste, le quali, dopo avere creduto di risolvere od eludere le crisi politiche ed economiche, da cui furono portate al potere, con l'assassinio della libertà, si lusingano poi di poter coprire o allontanare l'inevitabile fallimento sotto gli allori insanguinati di effimere vittorie militari. La guerra, lungi dal risolvere i problemi del pane e del lavoro, riduce i lavoratori ad una più grande miseria, getta in un baratro di sangue le già stremate risorse del paese, crea nuove servitù aggravando la stretta degli egoismi capitalisti, falcidia sulle aride ed inclementi ambe africane il fiore della gioventù italiana. Già per la breccia aperta dal cannone fascista si affacciano tutti gli appetiti e i contrasti imperialisti e sulle orme fasciste si preparano a marciare tutte le forze reazionarie che in Germania e altrove covano un odio mortale contro la Unione Sovietica e verso ciò che sopravvive delle libertà democratiche. Di fronte agli uomini e di fronte alla storia, noi dichiariamo che il fascismo è il solo responsabile della guerra, delle sue conseguenze e delle sue complicazioni. Il fascismo ha disonorato l'Italia rompendo con le migliori tradizioni del suo popolo, il quale ha sempre aiutato tutte le lotte di libertà e di indipendenza nazionale; ha esposto l'Italia al disprezzo universale rompendo i patti di pacifica convivenza tra i popoli, tradendo la parola data del rispetto della indipendenza abissina; ha fatto decidere contro l'Italia le sanzioni che la Società delle Nazioni aveva previsto contro gli aggressori; ha sollevato la riprovazione del mondo civile con i bombardamenti aerei di popolazioni indigene. In queste condizioni lottare contro la guerra africana, imporre con tutti i mezzi la cessazione immediata della guerra significa lottare per la salvezza del popolo italiano, significa evitare all'umanità una spaventosa catastrofe. Noi dichiariamo pertanto solennemente che il congresso è fiero di mettersi alla testa di questa lotta. Esso fa appello ai soldati, alle madri, ai lavoratori, agli spiriti liberi d'Italia e del mondo intiero, agli stessi fascisti cui la guerra rivela la vera natura della dittatura mussoliniana, per imporre la immediata cessazione delle ostilità e il ritiro delle truppe dall'Etiopia! Esso chiede ai lavoratori d'Italia di unirsi per organizzare la resistenza e il sabotaggio delle misure di guerra e difendere la loro vita, il loro pane, il loro avvenire. Esso invoca la solidarietà di tutti i popoli fratelli e chiede alle organizzazioni operaie internazionali il boicottaggio dei rifornimenti di guerra ed alla Società delle Nazioni l'applicazione delle sanzioni per far cessare la guerra, nella convinzione che le sanzioni economiche, se saranno sollecite ed energiche, e soprattutto perché saranno potenziate dalla solidarietà operaia internazionale, potrebbero far piegare il regime fascista anche prima che - in conformità della speranza terribile di Mussolini - le sanzioni militari vengano ad aggravare ancor più il pericolo di una guerra mondiale già minacciante. Esso si attende dalle masse emigrate uno sforzo più energico contro la guerra e contro il fascismo. Con questo spirito e questi intendimenti, il congresso delega a un Comitato d'azione, in cui siano rappresentate tutte le correnti politiche che hanno risposto al suo appello unitario, il mandato di organizzare e di stimolare sul piano nazionale e internazionale le misure concrete della lotta, chiamando a raccolta tutto il popolo lavoratore, attorno alla parola d'ordine: Pace immediata con l'Etiopia! Via Mussolini!".

***

Ma torniamo alle vicende dei partiti antifascisti all'estero e ai tentativi di raggiungere una piattaforma unitaria. Importante, anche se senza esiti immediati, l'iniziativa di "Giustizia e Libertà", il movimento che si era costituito sul finire del 1929 a iniziativa soprattutto dei fratelli Carlo e Nello Rosselli che, durante la guerra di Spagna, sarebbero stati uccisi in Francia da sicari prezzolati dal fascismo. Il 24 aprile 1936 GL si rivolse in questi termini agli altri partiti: "Cari compagni, dopo quasi sette mesi di guerra, all'approssimarsi di un periodo che costringerà il fascismo a una stasi sul settore militare, mentre la pressione economica si aggrava e quella internazionale è probabile si rinnovi, noi pensiamo che si imponga a tutti i movimenti antifascisti un esame rapido e realistico della situazione, a fini non di polemica retrospettiva, ma di un nuovo energico impulso da darsi all'azione, possibilmente comune. Indubbiamente la posizione del fascismo è migliorata dopo le recenti vittorie e non si può escludere che esso riesca anche a strappare un compromesso favorevole a Ginevra (nel qual caso ci troveremmo confrontati con prospettive del tutto diverse). Ma se, come noi propendiamo a credere in base a vari elementi (resistenza inglese, riavvicinamento franco-inglese in caso di vittoria della sinistra in Francia, ricerca di successo totale da parte del fascismo, impossibilità di ottenerlo in poche settimane, ripresa abissina, ecc.), la guerra dovesse prolungarsi, il miglioramento della situazione per il fascismo potrebbe rivelarsi precario e far luogo ad un aggravamento rapido con nuove possibilità di crisi acuta. Il fatto solo che questa eventualità non possa essere esclusa deve spingerci a intensificare gli sforzi e a ricercare per quali vie, e con quali mezzi, l'antifascismo rivoluzionario possa riuscire, più di quanto non abbia potuto per il passato, ad accelerare il processo di crisi in Italia intervenendovi in modo visibile e attivo. Una realistica valutazione impone di riconoscere che la attività contro la guerra svolta finora dall'antifascismo non è stata feconda di grandi risultati. A parte ogni discussione sui metodi, il maggiore sforzo compiuto è stato controbilanciato da una serie di fattori, alcuni caratteristici di ogni incipiente crisi bellica, altri propri del sistema totalitario e altri attinenti al diffuso e ad arte eccitato risentimento antinglese e antileghista. Né si sono avute da nessuna parte iniziative capaci di richiamare l'attenzione delle grandi masse italiane sull'antifascismo. All'interno siamo considerati debolissimi e divisi. All'estero ci si ignora, almeno come fattore attivo. Ciò non significa, beninteso, che l'azione svolta sin qui debba considerarsi inutile. Qualunque possano essere stati gli errori e le deficienze, tutti prevedevano che l'opposizione alla guerra si sarebbe sviluppata lentamente, in mezzo alle più grandi difficoltà e che, agli inizi, specie in caso di vittorie militari, non si sarebbero potuti verificare grandi fenomeni di resistenza. Non è comunque da sottovalutarsi il fatto che tutte le correnti antifasciste, anziché incrinarsi, di fronte alla crisi bellica, si siano rinsaldate, abbiano preso posizione netta contro, abbiano allargato la loro sfera di influenza all'estero e mantenuto, talvolta anzi vivificato, i focolai di resistenza all'interno. È un sintomo. Ma non si deve considerarlo come un dato acquisito. Non bisogna nascondersi che i piccoli progressi attuali sono in funzione soprattutto delle rinate speranze e che la congiuntura in cui si giuocano le sorti del nostro paese e le nostre, non durerà a lungo. Se non riusciamo, durante questo periodo limitato, a ottenere qualche risultato importante e visibile, aumenteremo di molto le possibilità del fascismo di liquidare a suo favore la crisi. Dopo di che l'antifascismo si troverà a dover partire da zero. Può accadere invece che in alcuni, sotto l'impressione delle vittorie militari e delle incertezze della situazione interna e internazionale, tenda a prevalere l'inclinazione a seguire da ora in là con una certa passività gli eventi, nell'attesa che nuovi sviluppi offrano prese più decisive di quelle che non si siano avute sinora. Secondo noi questo stato di spirito è pernicioso, non già perché ci illudiamo che la rivoluzione sia problema di sola volontà e che si possano improvvisare o a talento precipitare le situazioni storiche: ma perché consideriamo che funzione del movimento rivoluzionario sia quella di intervenire attivamente in tutti gli sviluppi di una crisi come l'attuale, per lenti e faticosi che siano, anche anticipando, entro certi limiti, gli sviluppi stessi e precostituendo quella forza politica organizzata che sola ci consentirebbe di profittare di tutte le eventualità che potranno presentarsi. Si aggiunga che, nonostante l'euforia passeggera provocata in limitati strati dalle vittorie, il prolungarsi della guerra accresce inevitabilmente il malcontento delle masse e di vaste zone della stessa borghesia, favorendo così lo sviluppo della nostra azione che, secondo un ragionevole criterio tattico, deve via via rafforzarsi e non indebolirsi. L'intensificazione del nostro sforzo ci è imposto anche da un'altra considerazione: dal cedimento, sia pure parziale, ma improvviso e grande della resistenza abissina. Questo cedimento, accorciando il nostro tempo di azione, e riducendo il contrasto sempre più ad un urto fascismo-estero, Italia fascista-Inghilterra-lega, favorisce singolarmente la speculazione patriottarda della dittatura, che riesce ancora a controllare la situazione interna e ad intervenirvi attivamente. Naturalmente anche il nostro intervento solleva dei problemi e va studiato con intelligenza. Ma sulla opportunità della sua esistenza non possono aversi dubbi. Il disfattismo, in periodi di guerra combattuta, o soprattutto di questa guerra, è un momento essenziale della lotta rivoluzionaria. Senonché non vale limitarsi agli enunciati generici. Bisogna a questo punto proporre qualche cosa di positivo, di attuabile, di rapidamente attuabile e che nello stesso tempo possa rappresentare una piattaforma comune di lotta. Eternare la polemica svoltasi in questo ultimo anno non avrebbe senso. Tanto varrebbe continuare ciascuno per la propria strada. L'esperienza ci ha dimostrato - almeno è da crederlo - che non sia possibile arrivare ad un accordo generale fattivo, né sulle basi proposte dal Comitato di Bruxelles, né su quelle proposte da GL. L'idea empirica di molti, che all'accordo si possa arrivare attraverso una reciproca transazione, è errata, perché questa transazione, non applicandosi ad una posizione centrale comune, finisce per sterilizzare ciò che di vivo e di vitale ci può essere nella tesi di ciascuno, lasciando sussistere solo i rami morti. No. La via per arrivare ad un accordo è un'altra. Bisogna ricercare una nuova piattaforma comune e ricercarla in comune, in modo che essa non appaia come un accomodamento degli uni agli altri, ma come lo spontaneo incontro di gente che, dopo aver seguito vie diverse, da una comune esperienza è spinta a riunirsi. Il momento è particolarmente propizio, sia perché le prospettive sono mutate e legittimano ogni revisione, sia perché proprio di questi giorni è l'annunzio dei gruppi aderenti al movimento di Bruxelles di un nuovo convegno. Noi, dal nostro canto, ci dichiariamo decisi a fare un supremo sforzo per arrivare rapidamente ad un accordo generale e concreto di azione. Non facciamo e non faremo nessuna questione di forma. Guarderemo solo alla sostanza. E anche per la sostanza, siamo animati dal desiderio di tenere nel massimo conto le esigenze altrui. Ecco le nostre proposte; nelle quali preghiamo i compagni dei vari gruppi di non voler vedere l'espressione delle idee care a GL, ma già una prima bozza di possibile accordo in cui il più largo posto è stato fatto a tesi che già fortemente avversammo. 1 - Convocazione entro il maggio di un convegno riservato di tutti i gruppi antifascisti rivoluzionari per un esame comune della situazione e per la elaborazione di un concreto piano di propaganda, di organizzazione, di lotta. Il piano - che ci riserviamo di presentare a voce nei dettagli - dovrebbe limitarsi alla fase di attacco, quindi non mettere in primo piano i problemi di successione o di governo; riferirsi ad un periodo determinato (per es. sei mesi); assicurare i mezzi finanziari relativi. Sui punti essenziali del piano, come sul finanziamento, un accordo di massima dovrebbe raggiungersi prima del convegno, affinché quest'ultimo possa svolgere una opera positiva con la partecipazione delle forze che sono già in massima concordi. Non vedremmo difficoltà a trasformare in convegno generale il prossimo convegno annunciato dai gruppi di Bruxelles, alla sola condizione che sia pubblico e l'organizzazione venga fatta in comune. 2 - L'esecuzione del piano viene affidata ad un tempo ai partiti o movimenti componenti e ad un organismo comune al quale ultimo, oltre che una funzione generale di rappresentanza e di coordinazione politica, spettano una precisa serie di iniziative che, per la loro importanza e significato, per i mezzi ingenti che richiedono, per l'impulso generale che danno all'azione, debbon essere decise e condotte in comune. Ai gruppi e partiti, che conservano la loro piena autonomia politica e organizzativa, viene riconosciuto come compito precipuo (ma senza una assoluta esclusiva) quello della organizzazione di base in Italia o all'estero, della propaganda, come pure di tutte quelle iniziative che essi credano utile prendere nell'interesse dello sviluppo del loro movimento. Il movimento comune dovrebbe assumere una denominazione che, pur indicando esplicitamente il suo carattere di alleanza di tutti i partiti e movimenti antifascisti, sia tale da attirare verso di sé le simpatie delle masse che profondamente aspirano a lottare in un fronte comune. Proponiamo come nomi: Fronte rivoluzionario antifascista (Far), oppure Alleanza rivoluzionaria antifascista (Ara). Accettiamo che nel corso della propaganda del movimento comune si ricordino i gruppi aderenti. 3 - Il movimento comune non dovrebbe esistere solo al centro, ma alla periferia. Esso sarebbe diretto da un comitato generale formato dai rappresentanti dei vari gruppi. Alle sue dipendenze sarebbe un esecutivo. I gruppi e partiti aderenti dovrebbero impegnarsi ad assicurare agli organi comuni centrali e locali un certo numero di elementi e a metterlo in rapporto con le varie organizzazioni internazionali. Per quanto riguarda le finalità e i metodi di azione ci limitiamo a precisare: a) lotta rivoluzionaria diretta a combattere il fascismo non solo nei suoi effetti, ma nelle sue cause; b) sviluppo della propaganda e organizzazione di massa, facendo leva essenzialmente sulla classe lavoratrice; c) sforzo immediato per appoggiare l'azione generale con una serie di iniziative che servano a scuotere il sentimento pubblico, a rompere lo sbarramento totalitario, a rendere popolare l'azione del movimento comune; d) sforzo principale diretto verso l'Italia o in Italia. Per l'azione estera i gruppi e partiti dovrebbero impegnarsi a coordinare la loro azione sopprimendo possibilmente i duplicati e armonizzando le iniziative, affinché l'attività di tutti, e in particolare dei più giovani e volenterosi, venga convogliata verso gli obiettivi essenziali. Queste, in sintesi, le nostre proposte, che potremmo già dire vostre, perché in esse si ritrovano vari dei punti sui quali altri gruppi, in particolare i socialisti per quanto concerne l'autonomia e azione dei partiti, e i comunisti per l'azione di massa, insistettero. Se vi sembra che su queste basi sia possibile un accordo di massima vi proponiamo di incontrarci al più presto. Crediamo che occorra procedere con una certa rapidità. Il tempo corre e già molto se ne è perduto. Crediamo che anche voi siate convinti che in accordi di questo tipo, quel che soprattutto vale, specie agli inizi, è lo spirito con cui si fanno. Se c'è una reale volontà di condurre nei prossimi mesi un grosso sforzo in comune, l'accordo non potrà mancare. La notizia di questo accordo, se riuscissimo a farla arrivare largamente all'interno, non mancherà di avere ripercussioni notevoli sulle masse che attendono ansiose un segno di vita e di speranza; e ci permetterà anche all'estero di esercitare una maggiore influenza". Ma già incombeva la guerra di Spagna, con la sollevazione dei generali fascisti contro il governo legittimo della Repubblica. E la guerra di Spagna fu un forte reagente che diede all'antifascismo nel suo complesso, se non l'unità formale, la coscienza largamente comune che in difesa della Spagna repubblicana si sarebbe consumata la prima sfida internazionale tra fascismo e antifascismo.

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La nostra rassegna si conclude con il patto d'unità d'azione tra comunisti e socialisti, sancito dalla cosiddetta "Nuova Carta" del luglio 1937: "Il Partito socialista italiano ed il Partito comunista d'Italia; solidali da tre anni in una politica di unità d'azione che in Italia, nell'emigrazione, in Spagna, ha dato risultati importanti e si è rivelata essere uno strumento indispensabile della lotta del proletariato contro il fascismo e la guerra; fermamente risoluti a consolidare i risultati ottenuti ed a rafforzarli e svilupparli; concordano nei punti seguenti che costituiscono la nuova carta dell'unità d'azione: I - Il Partito socialista italiano e il Partito comunista d'Italia, avendo come fine comune l'abbattimento del fascismo e del capitalismo e l'avvento di una società socialista, decidono di consolidare i legami che li uniscono tanto sul terreno dell'azione politica generale, quanto sul terreno del lavoro pratico quotidiano. Essi considerano l'esistenza di un solido legame di fronte unico tra il partito comunista e il partito socialista come una delle principali condizioni dell'unità di tutte le forze antifasciste e della creazione in Italia di un movimento di fronte popolare. Il - Nella fase attuale della lotta di classe e della lotta politica i due partiti si propongono di chiamare e organizzare tutto il popolo italiano alla lotta per la conquista della libertà e della democrazia e l'instaurazione di una repubblica democratica, presidiata dalla classe operaia, che assicuri al popolo il pane, la pace e la libertà, prenda le misure necessarie per distruggere alla radice le basi economiche della reazione e del fascismo (nazionalizzazione del capitale monopolistico industriale e bancario, distruzione di ogni feudalità rurale, ecc.) e apra la via alla marcia verso il socialismo. III - Allo scopo di agevolare il raggiungimento di questo obiettivo i due partiti si impegnano a condurre una azione per unire sul terreno della lotta antifascista tutti i partiti e le organizzazioni antifasciste esistenti nel paese e nell'emigrazione, nonché per realizzare l'unità tra i due centri sindacali esistenti nella emigrazione. In pari tempo decidono di aprire una discussione pubblica nell'antifascismo, in Italia e nella emigrazione, per la elaborazione del programma di un fronte popolare italiano. IV - Persuasi della necessità imprescindibile di una lotta di massa contro la politica interna ed internazionale del fascismo, sola via che conduce alla lotta per l'abbattimento del regime fascista, i due partiti si impegnano a lottare uniti, nelle fabbriche, nelle organizzazioni fasciste di massa (sindacati, dopolavoro, ecc.), nei quartieri cittadini, nelle organizzazioni giovanili, nelle campagne, nelle scuole, nell'esercito, per agitarvi tutte le rivendicazioni immediate, economiche e politiche delle masse popolari utilizzando a tale fine anche tutte le possibilità legali del regime fascista. Strettamente legate alle rivendicazioni economiche e politiche immediate delle masse popolari, i due partiti promuoveranno la solidarietà assistenziale e politica con la Repubblica della Spagna, con il suo esercito, con il suo popolo, e con il suo governo; condurranno un'azione mirante a coordinare ed utilizzare tutte le forze ostili alla politica estera mussoliniana allo scopo di costringere il governo fascista a ritirare il corpo di spedizione dalla Spagna e di spezzare l'asse di guerra Berlino-Roma. I due partiti sostengono una politica internazionale di pace che rafforzi la Società delle Nazioni sulla base di un sistema di sicurezza collettiva e di mutua assistenza contro l'aggressore; si impegnano a lottare uniti per la difesa dell'Unione dei Soviet e ad appoggiare attivamente lo sviluppo di un vasto movimento delle masse popolari in tutti i paesi per il rispetto del patto della Società delle Nazioni contro gli aggressori fascisti della Repubblica spagnola e per il ritiro dalla Spagna degli eserciti fascisti di occupazione. I due partiti convengono di mettere gli strumenti di agitazione in loro possesso a disposizione di questa politica. V - Di fronte alla minaccia di un conflitto generale che il fascismo fa pesare sull'Europa e sul mondo, i due partiti sono fermamente risoluti ad intensificare la mobilitazione delle masse contro le provocazioni mussoliniane ed hitleriane ed a sostenere gli sforzi tendenti a mantenere e consolidare la pace. Essi affermano che un conflitto generale può essere evitato se la pace è strenuamente difesa dai popoli in tutti i paesi e se è denunciata come contraria agli interessi della pace e della democrazia ogni politica di capitolazione di fronte alle provocazioni ed ai ricatti dei regimi fascisti. Se un tale conflitto scoppiasse malgrado tutto, il proletariato ne farà la tomba del fascismo difendendo accanitamente le sue posizioni là dove è al potere e là dove gode degli elementari diritti di libertà, sabotando la guerra là dove impera la reazione, sollevando contro il fascismo interno e quello internazionale la bandiera della libertà e della solidarietà dei popoli. VI - I due partiti collaboreranno a realizzare l'unità d'azione fra l'Internazionale operaia socialista, l'Internazionale comunista e le Internazionali sindacali, da attuarsi su scala mondiale e in ogni paese secondo le necessità concrete della lotta antifascista. VII - I due partiti vedono nella unità d'azione un primo passo verso il partito unico della classe operaia, che costituirà la più possente arma del proletariato nella sua lotta contro il fascismo e il capitalismo. I problemi della unità organica saranno approfonditi e discussi tra i due partiti, alla luce delle esperienze in corso in Italia e negli altri paesi. VIII - I due partiti impegnano i militanti comunisti e socialisti italiani nella emigrazione a lavorare insieme nel seno della Unione popolare italiana, sorta in Francia, per svilupparvi la politica antifascista di unità d'azione di fronte popolare. IX - I due partiti conservano la loro piena ed intera autonomia funzionale e dottrinaria. Ognuno di essi continua la sua specifica propaganda ed azione impegnandosi di valersi del diritto di esprimersi con piena franchezza sui dissensi dottrinali e tattici, che tuttora si oppongono alla fusione, in modo tale da non urtare ed ostacolare lo svolgimento dell'azione comune. I due partiti per assicurare i risultati positivi dell'azione comune prenderanno le misure interne necessarie onde disciplinare l'attività delle loro organizzazioni in modo che tutto converga al rafforzamento dell'unità d'azione ed al raggiungimento dei fini comuni. X - I due partiti si impegnano a collaborare strettamente sul terreno della lotta contro la provocazione e lo spionaggio fascisti, in qualunque modo essi si manifestino. XI - I due partiti conservano piena libertà di sviluppare il proprio reclutamento. Essi convengono che nel corso dell'azione comune si asterranno da ogni intervento nel seno dell'altro partito per disgregarne le organizzazioni e romperne la disciplina e di portare il discredito sul partito alleato. XII - I due partiti realizzeranno l'unità d'azione per gli obiettivi e le forme indicate nella presente Carta, in tutti i gradi delle loro organizzazioni. Essi si impegnano a popolarizzare e ad illustrare questa Carta nel paese, accompagnandola con direttive che aiutino i militanti dei due partiti nella sua applicazione; e si impegnano reciprocamente ad esaminare insieme e preventivamente tutti i problemi e tutte le iniziative che postulano l'unità d'azione".

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La sommaria ricostruzione delle vicende dal primo antifascismo alla guerra di Spagna è così conclusa. Quella unità, perseguita con grandi sforzi e impedita da altrettanto rilevanti diversità di vedute, si sarebbe cementata nel vivo della lotta di Resistenza, e anche questa volta non senza problemi, dal punto di vista politico e da quello militare. Nei prossimi numeri di Patria ci sforzeremo di offrire ai nostri lettori una rivisitazione dei documenti più importanti che accompagnarono la lotta di Liberazione.

Da "Patria indipendente" n. 1 del 2000

 

pallanimred.gif (323 byte) Gli antifascisti italiani rifugiati in Svizzera

pallanimred.gif (323 byte) Clandestini nel cielo. Il giorno in cui Bassanesi volò su Milano (11 luglio 1930)

 

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