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L'antifascismo all'estero
Periodico socialista stampato a Parigi (1931)
Nella storia dell'emigrazione antifascista vanno
distinte almeno due fasi. Un primo esodo si era verificato fin dall'inizio degli Anni
Venti, quando molti militanti dovettero imboccare la via dell'esilio per sfuggire alle
persecuzioni dello squadrismo, che puntava all'eliminazione fisica degli avversari o
quanto meno a rendere loro la vita impossibile nei luoghi di residenza e di lavoro. Questo
tipo di emigrazione riguardava soprattutto lavoratori ed esponenti locali dei partiti
antifascisti. Bisogna aggiungere che molti di questi esuli - i più decisi e determinati -
rientrarono in Italia nel periodo del delitto Matteotti e dell'Aventino, quando sembrava
che la situazione potesse evolvere verso un ritorno alla normalità. Ma l'ondata
migratoria senza dubbio più significativa si verificò dopo che il fascismo, superata con
la complicità della monarchia la tempesta determinata dall'assassinio del parlamentare
polesano, cominciò a consolidare il suo potere e a trasformarsi in vero e proprio regime
con il varo delle leggi cosiddette "fascistissime", lo scioglimento del
Parlamento, la soppressione delle libertà fondamentali anche sul piano giuridico. A quel
punto, per i dirigenti delle forze politiche disciolte, non restava che la via
dell'abbandono del territorio nazionale, non soltanto per ragioni di sopravvivenza fisica,
ma anche per poter continuare una battaglia che in Italia era divenuta impossibile se non
nella clandestinità. Si può facilmente immaginare quale fosse la vita di questi
esponenti politici sradicati dall'ambiente in cui avevano sempre operato, attanagliati
dalle difficoltà della sopravvivenza, costretti spesso ai lavori più umili, in un
contesto in cui pullulavano spie, provocatori e talvolta - come nel caso dei fratelli
Rosselli - veri e propri assassini reclutati e finanziati dal regime fascista. Per questo
periodo l'angolo visuale più interessante può essere quello dei tentativi di stabilire
un'unità di tutte le forze antifasciste, al di là delle polemiche sul passato e sulle
rispettive responsabilità che continuavano a infuriare rendendo l'emigrazione ancora più
debole di quanto inevitabilmente non fosse per ragioni oggettive.
a cura di Lucio Cecchini
Il primo tentativo in questo senso fu fatto dal
Partito socialista italiano, che nell'aprile 1927 inviò al Partito comunista, al Partito
socialista dei lavoratori italiani, al Partito repubblicano e ai gruppi anarchici la
lettera di cui riproduciamo il testo: "Dai centri di lavoro e dalle galere, dai
domicili coatti come dai luoghi di emigrazione, quotidianamente giungono al nostro partito
le invocazioni più accorate all'unità di intenti e di azione dei partiti proletari
italiani contro la dittatura fascista. Il proletariato intuisce che il periodo delle sue
sconfitte tramonterà il giorno in cui cesseranno le disastrose risse intestine fra i
partiti che derivano da esso la dottrina e la forza. Credete voi, compagni del PCDI, del
PSDI, del PRI e dei GAI, di poter continuare nell'azione di critica esclusivamente
negativa al regime fascista, di sottile differenziazione teorica, tra di noi, di
iniziative particolaristiche e discorsi? Ritenete veramente con la perseveranza in questi
sistemi di assolvere ai fini che sono la ragione di esistenza e di sviluppo dei rispettivi
organismi di partito e di degnamente corrispondere alla aspettativa fiduciosa che i
lavoratori d'Italia ripongono in noi? Il Partito socialista italiano pensa che la
continuazione in questo indirizzo sia un tradimento verso noi stessi e verso le masse che
ci seguono. Esso ritiene giunto il momento in cui i partiti debbono compiere un gesto che
segni l'inizio di una nuova era di attività e di lotta, destinato ad unificare le forze
della battaglia e quindi a ridestare le energie delle masse italiane disorientate e
depresse. Non è difficile la ricerca di una base comune di programma e di azione. Essa
balza spontanea ed evidente dall'esame della situazione italiana e dalla visione degli
ideali e degli interessi della classe lavoratrice. Alla dittatura fascista, espressione
politica della più spietata dominazione capitalistica, opporre il programma della
repubblica socialista sotto il controllo delle libere organizzazioni proletarie italiane,
per l'avviamento all'opera di completa redenzione morale ed economica delle classi
lavoratrici e del paese tutto intiero. Su questa base comune che è al fondo delle nostre
dottrine, tutta una serie di iniziative immediate ed urgenti può avere sviluppo. Dalla
creazione di una unica grande opera di soccorso in favore delle vittime del terrore
fascista, al perseverante lavoro presso le Internazionali politiche e sindacali per
un'azione di boicottaggio del regime dittatoriale italiano, fino al completo
raggiungimento della meta propostaci, tutto un lungo cammino gli aggruppamenti politici
del proletariato italiano possono e debbono compiere insieme. Alla sola condizione che,
deposti gli esclusivismi, i rancori, le meschine abilità del passato, essi sappiano e
vogliano portare nella comune battaglia un'anima nuova di fraternità e di stima reciproca
ardente solo del desiderio della lotta e della vittoria. Il Partito socialista italiano
attende da voi questa risposta che gli operai ed i contadini d'Italia invocano e
sperano".
***
La risposta comunista non si fece attendere e fu
una risposta di taglio decisamente polemico, in cui cominciò ad adombrarsi, accanto alle
fratture del passato, un nuovo elemento: il PCI era l'unica forza ad aver conservato in
Italia una struttura clandestina diffusa sul territorio. Quindi, mentre gli altri partiti
insistevano soprattutto sulla necessità del lavoro nell'emigrazione per sensibilizzare
l'opinione internazionale, i comunisti guardavano prevalentemente all'Italia e alla
necessità di mantenervi viva e vitale l'opposizione: "Ci viene trasmesso - replicò
il PCI - il n. 8 del vostro bollettino, contenente un appello "per l'unità
proletaria nella lotta antifascista". Da esso non appare se si tratta soltanto del
lavoro tra l'emigrazione italiana all'estero, o anche di quello, per noi ben più
importante e decisivo, che occorre svolgere in Italia. Tuttavia il Comitato centrale del
PC d'Italia nella sua recente riunione ha tenuto conto ugualmente di quel documento, nel
corso della discussione sulla situazione italiana e sui compiti del nostro partito nella
lotta antifascista. A quanto pare, vi sareste finalmente decisi ad adottare la formula:
"blocco operaio contro blocco borghese", che invano vi abbiamo proposto nel
periodo aventiniano; così pure sarebbe caduta la vostra pregiudiziale degli accordi
"caso per caso", che nel passato ha impedito qualsiasi serio sviluppo di un
lavoro di fronte unico classista. Se così è, prendiamo atto della rettifica avvenuta
nelle vostre direttive. Noi faremo altrove una critica radicale della formula
programmatica da voi proposta: "Repubblica socialista sotto il controllo delle libere
organizzazioni proletarie italiane". Non si vede come i lavoratori possano
"controllare" dal di fuori una repubblica "socialista". La sola
possibilità di controllare seriamente uno Stato consiste nel prenderne e tenerne il
potere. Il proletariato non può conservare il potere senza modificare profondamente la
struttura statale, foggiandola in modo da assicurare la progressiva realizzazione del
programma socialista e garantendo contro i ritorni offensivi della borghesia le conquiste
e gli sviluppi della rivoluzione. Non insistiamo, per ora, su questa questione, non
perché essa implichi soltanto una "sottile differenziazione teorica", ma
perché crediamo che nella situazione attuale all'azione del fronte unico necessita non
tanto una formula sul tipo di governo proletario che sarà realizzato sulla sconfitta del
fascismo, quanto il programma di lavoro concreto che occorre compiere in Italia per
preparare la caduta della dittatura borghese. Quello che importa oggi è riconoscere il
terreno sul quale la lotta antifascista può acquistare il massimo di intensità e
d'ampiezza. Il nostro partito crede che tale terreno sia quello della lotta
anticapitalistica. Il fascismo, come tentativo di stabilizzare la dittatura capitalistica
in Italia, è costretto a colpire sempre più gravemente gli interessi della gran
maggioranza della popolazione. La sua politica economica, con la piena complicità, sotto
la diretta imposizione degli industriali, degli agrari e dei banchieri, è rivolta a
garantire i profitti e l'egemonia del capitalismo e poggia tutta su questi elementi:
intensificato sfruttamento della mano d'opera; protezionismo ad oltranza e pressione
fiscale espropriatrice sui larghi strati dei contadini e della piccola borghesia. Una tale
politica, sostenuta da un regime interno di tipo coloniale, mentre da un lato radicalizza
la crisi economica italiana, spinge dall'altro le larghe masse popolari depauperate da una
sistematica rapina a reagire, a protestare, a riprendere la resistenza. Sintomi frequenti
indicano che lo stato di forzata passività delle masse comincia ad essere superato. Qui
il compito delle avanguardie proletarie appare chiaro: mettere in moto tutte le forze
attive anticapitalistiche, moltiplicare gli episodi di resistenza, di protesta, di
ribellione; collegarli in un'azione sempre più vasta che ostacoli la politica di
spoliazione della popolazione lavoratrice italiana da parte della borghesia capitalistica,
e in tal modo tagli i viveri al regime, e ne acceleri la crisi liquidatrice. Da ciò
risulta che nel prossimo periodo il lavoro sindacale assumerà una importanza prevalente.
Bisogna che i lavoratori si sentano sostenuti e guidati nelle loro agitazioni economiche
(che la campagna capitalistica in corso per l'ulteriore riduzione dei salari provocherà
ovunque) da un organismo di classe. Questo non può essere che l'organizzazione sindacale
tradizionale, la Confederazione generale del lavoro. La deliberazione di scioglimento
votata dal gruppo dei traditori, ai quali per troppo tempo - nostro malgrado - è stata
affidata la direzione dell'organizzazione classista, ha provocato una vivace reazione nel
campo operaio. Dalla periferia, dalle varie località una ondata di sdegno ha fatto fin
d'ora fallire il turpe tentativo. La volontà di far vivere la Confederazione, malgrado i
traditori e malgrado il fascismo, è profondamente radicata nelle masse lavoratrici
italiane. Le forme di questa vita non possono che essere illegali, cioè al coperto - il
più possibile - dalla repressione poliziesca e governativa. Ma allo scioglimento non si
risponde che in un sol modo: la vita della Confederazione, spostando il suo centro di
gravità nella fabbrica, mobilitando le energie locali, assicurando lo sviluppo
dell'inquadramento sindacale classista coll'affidargli un compito attivo di direzione
delle agitazioni proletarie sul terreno delle rivendicazioni immediate. La lotta
antifascista non può essere condotta soltanto coi quadri sindacali per quanto la nostra
azione vi possa far rifluire nuovi contingenti e nuovo vigore. Anche le larghe masse non
organizzate sindacalmente devono essere mobilitate contro il fascismo sul terreno della
lotta economica e politica. A tale scopo i partiti proletari devono tendere a far sorgere
ovunque comitati di fronte unico, abbraccianti i lavoratori di tutte le tendenze politiche
ma decisi a difendere i loro interessi di classe e a lottare contro il regime. Tali
organismi possono sorgere in determinate circostanze, sul terreno di determinate
rivendicazioni, o formarsi come raggruppamenti di fronte unico politico (comitati
d'agitazione; comitati proletari antifascisti). Gli uni e gli altri dovrebbero tendere a
diventare organi permanenti di lotta, e a porsi in ragione del loro estendersi e
rafforzarsi, obiettivi sempre più vasti. Essi realizzano così la direzione proletaria
della lotta antifascista, facendola poggiare su una mobilitazione di classe e dandole
spirito di decisione e coerenza e continuità di propositi. Riassumiamo i criteri pratici
di un serio ed immediato lavoro di fronte unico nei seguenti punti: 1) la lotta
antifascista si deve svolgere principalmente in Italia, perché il fascismo non può
essere battuto che in Italia; 2) il fascismo sarà travolto dalla insurrezione delle
larghe masse popolari, sotto la guida del proletariato; 3) la lotta si deve impegnare
soprattutto sul terreno delle rivendicazioni immediate dei lavoratori e dei ceti
depauperati dalla politica economica del regime (lotta per l'aumento dei salari, contro il
caro vita, contro la pressione fiscale); 4) questa lotta richiede la continuazione della
vita dell'organizzazione classista in Italia (Confederazione generale del lavoro), che la
deve suscitare, dirigere, sviluppare; 5) i lavoratori di tutte le tendenze politiche
devono essere inquadrati in organismi di fronte unico politico, che col loro estendersi
costituiranno la mobilitazione della classe lavoratrice contro la dittatura capitalistica;
6) la politica estera del governo fascista dovrà essere seguita con particolare
attenzione e un intenso lavoro di agitazione dovrà essere condotto in mezzo alle masse
contro di essa che sta diventando sempre più uno strumento della reazione capitalistica
internazionale. Questi punti offrono una base solida di un lavoro dal quale nessun
proletario deve rimanere assente. Essi tengono conto della esperienza viva della lotta di
classe di questi ultimi anni e pongono il problema del fronte unico su un terreno concreto
di realizzazione. È d'accordo codesta direzione su tale programma preciso di lavoro? E se
non lo è, cosa vi sostituisce? Il vostro appello non contiene nulla che riguardi il
lavoro in Italia. Vi si accenna invece a due proposte: quella di sollecitare un'azione di
boicottaggio da parte delle Internazionali politiche e sindacali, e quella di un accordo
per l'aiuto alle vittime della reazione fascista. Sulla questione del boicottaggio,
affermiamo che il nostro partito è pronto ad impegnarsi per esso con tutte le sue forze,
purché non si riduca ad una minaccia demagogica e si ponga invece sul piano seriamente
meditato di una pratica attuazione. Per l'aiuto alle vittime voi non ignorate che esiste
in Italia un'organizzazione, sopravvissuta malgrado le feroci persecuzioni, la quale ha
compiuto verso le vittime di tutte le tendenze politiche un'azione assistenziale di cui
possiamo fornire in ogni momento la precisa documentazione. Soltanto nel 1926 sono state
raccolte a questo scopo ed erogate parecchie centinaia di migliaia di lire. Se voi avete
altre iniziative da proporre, altri e nuovi mezzi che possano rafforzare l'azione svolta
dal "Soccorso vittime" e ad essa collegarsi, non mancherà purtroppo l'occasione
di utilizzarle. Ma il problema fondamentale é quello della lotta antifascista in Italia
in ragione della quale devono essere determinati i criteri ed il programma del fronte
unico proletario".
***
Peraltro i socialisti insistettero e riproposero al PCI l'ipotesi di una
"concentrazione antifascista" redatta dal PSLI e dal PRI: "Da parte della
direzione del Partito socialista dei lavoratori italiani e del Partito repubblicano
italiano, abbiamo ricevuta l'acclusa proposta di intesa antifascista. Fedeli al nostro
programma di unità d'azione integrale delle forze proletarie antifasciste, noi
consideriamo insufficiente qualsiasi tentativo che non sia il risultato dell'intesa di
tutti i partiti politici ed organizzazioni del proletariato. Favorevoli, in linea di
massima, al programma di lavoro pratico che ci è stato proposto noi sollecitiamo la
vostra adesione alla iniziativa, impegnandoci a sostenere presso i partiti proponenti la
necessità della vostra presenza nella coalizione proposta. Nell'attesa di un sollecito
riscontro, accogliete i nostri saluti cordiali".
***
Carlo Rosselli
Lo schema delineato dai repubblicani e dai socialisti
riformisti e sostenuto da altri, tra cui la CGIL, diceva: "Ad iniziativa del Partito
socialista dei lavoratori italiani, dei Partito socialista italiano, del Partito
repubblicano italiano, della Lega italiana dei diritti dell'uomo e della Confederazione
generale del lavoro italiano sarà costituito un Comitato che prenderà il nome di
Concentrazione di azione antifascista e che si ispirerà ai seguenti criteri: 1) autonomia
dei partiti e delle organizzazioni aderenti; 2) dichiarazione di lotta a fondo contro il
fascismo, i suoi complici e i suoi ausiliari; 3) organizzazione dell'antifascismo
all'estero: a) fondazione di un giornale quotidiano colla emissione di un prestito o di
azioni; b) costituzione di sezioni di propaganda antifascista in tutti i centri di
emigrazione; c) fiancheggiamento dell'azione della Confederazione generale del lavoro e
dei suoi cinque punti programmatici comunicati ai partiti; 4) azione internazionale: a)
accordo con le organizzazioni antifasciste operaie, politiche, culturali internazionali
per suscitare e disciplinare la propaganda antifascista; b) costituzione di uffici di
stampa a Parigi, Londra, Berlino, Ginevra, New York e Buenos Aires; c) organizzazione di
manifestazioni contro il regime di terrore in Italia, pro vittime del fascismo e contro il
pericolo permanente di guerra rappresentato dal regime fascista; 5) azione in Italia: a)
contatto permanente ed organico con le masse a mezzo di appositi comitati e fiduciari; b)
guidare ed assistere le masse operaie nei loro movimenti sociali e politici; c) diffusione
di stampe, manifesti e opuscoli; d) organizzazione dei servizi di passaggio di frontiera;
6) soccorso alle vittime politiche: a) intensificazione e coordinamento attorno
all'esistente Comitato confederato di assistenza per le vittime del fascismo di tutte le
iniziative tendenti a questo fine; 7) finanziamento: a) organizzazione di Comitato di
finanziamento di tutte le iniziative di cui sopra". Su questa base si giunse nei mesi
successivi alla formazione della "Concentrazione antifascista", alla quale
aderirono repubblicani, socialisti dei due partiti e la CGIL.
***
Ancora ispirata prevalentemente a motivi polemici la
risposta dei comunisti, che ne restarono fuori: "Ci viene trasmessa, con ritardo, la
vostra lettera in data 6 aprile, contenente una nuova proposta di fronte unico. La cosa ci
è parsa talmente strana, che abbiamo dovuto rivolgerci costì per averne conferma. La
nostra sorpresa derivava dal fatto che sull'Avanti! del 20 febbraio cotesta direzione
pubblicava un appello ai vari partiti, esclusa l'opposizione democratica e costituzionale,
nel quale si poneva come base del fronte unico una formula politica ("repubblica
socialista sotto il controllo ecc. ecc."), da cui pareva che il periodo aventiniano
fosse per i massimalisti finalmente superato. Siccome il documento vostro veniva a poche
settimane dalla mozione di Nérac-Parigi, ed implicitamente le si contrapponeva, il nostro
partito ha fatto l'ipotesi che si potesse trattare di un passo verso il blocco
"proletario", da noi sempre sostenuto e opposto dal 1924 alla concentrazione
aventiniana a cui avete anche allora aderito. Perciò il nostro Comitato centrale, nella
sua riunione del marzo scorso, esaminava il vostro appello e vi rispondeva fissando alcuni
criteri tattici e di lavoro pratico sui quali vi proponeva di fondare una effettiva unità
proletaria nella lotta antifascista. La lettera del nostro Comitato centrale è rimasta
senza risposta e non è neppure stata fatta conoscere ai vostri aderenti, perché
potessero giudicare direttamente le nostre proposte: invece di risponderci, ci trasmettete
una nuova proposta concentrazionista, nella quale si abbandona non solo la pregiudiziale
repubblicana, ma anche quella proletaria. Nel blocco dovrebbero entrare anche la
Confederazione generale del lavoro e la Lega dei diritti dell'uomo. Orbene, ci risulta che
nessun invito di tal genere è pervenuto alla Confederazione generale del lavoro, che in
Italia continua ed intensifica la lotta per far naufragare il miserabile tentativo
inserzionista di un gruppo di traditori, al quale il vostro partito ha purtroppo prestato
man forte durante parecchi anni, preferendo l'alleanza e la complicità con essi invece
che la collaborazione coi comunisti. Inoltre la partecipazione della Lega dei diritti
dell'uomo non è che una mascheratura per rendere possibile la collaborazione della
democrazia liberale e massonica, alla quale non avete avuto il coraggio di impegnarvi
apertamente. Il nostro partito, che non ha dimenticato, come voi fate con inguaribile
leggerezza, l'esperienza negativa del primo Aventino, non può certo con il proprio
intervento valorizzarne il secondo, e non solo non partecipa alla nuova combinazione
politica di ispirazione massonica, ma la combatterà opponendole la mobilitazione delle
forze indipendenti e classiste del proletariato. Noi crediamo che il proletariato italiano
meriti, almeno, da parte dei partiti che ad esso si richiamano, che i suoi problemi siano
esaminati con un minimo di serietà. Orbene, in pochi mesi codesta direzione ha lanciato
tre formule diverse di fronte unico: quella della mozione di Nérac-Parigi; quella
dell'appello del 20 febbraio per la "repubblica socialista"; quella del secondo
Aventino, mutando direttive secondo le esigenze della piccola politica dell'emigrazione.
Il nostro partito ha esaminato il vostro appello del 20 febbraio nel corso di un'analisi,
che riteniamo giusta, e che non si è neppur tentato di confutare, della natura del
fascismo, del carattere della situazione italiana e delle sue prospettive. Noi abbiamo,
rispondendovi allora, voluto "riconoscere il terreno sul quale la lotta antifascista
può acquistare il massimo di intensità e ampiezza", e vi abbiamo comunicato il
risultato del nostro esame. Dal canto nostro non abbiamo ragione alcuna per credere
superate le conclusioni a cui giungevamo nelle nostre proposte, e se voi avete
frettolosamente abbandonato il timido orientamento verso un blocco proletario e
anticapitalistico che l'appello del febbraio pareva indicare, ciò è certamente dannoso
alla causa antifascista, ma il danno dipende unicamente da voi. Per il nostro partito la
lotta antifascista e la ricerca dei mezzi per assicurarne il successo e gli sviluppi sono
questioni importanti, ed è perciò che non possiamo prendere sul serio la vostra nuova
improvvisazione di fronte unico (terza edizione). Se, sotto la pressione degli eventi,
vorrete o dovrete riprendere il problema dell'unità proletaria e rivoluzionaria nella
lotta contro il regime borghese in Italia, la lettera del nostro Comitato centrale, che
attende ancora una risposta, può servire di base a una proficua discussione, ad una
fattiva collaborazione".
***
Soltanto nel 1934 fu possibile giungere a una prima
intesa tra il PSI e il PCI, vale a dire tra i due maggiori partiti della sinistra
italiana. L'accordo fu sancito nel "patto" che riproduciamo: "I - Le
delegazioni del Partito comunista d'Italia e del Partito socialista italiano, riunitesi
per discutere i problemi dell'unità d'azione proletaria, hanno constatato che sul piano
generale dei princìpi e sul giudizio sulla situazione internazionale sussistono tra di
loro divergenze fondamentali di dottrina, di metodo, di tattica che si oppongono ad un
fronte politico generale e, a maggior ragione, ad una fusione organica. Ma queste
divergenze non tolgono che esista una confluenza dei due partiti su punti precisi concreti
attuali della lotta proletaria contro il fascismo e contro la guerra. Ubbidendo quindi
alla esigenza di sviluppare al massimo la tensione e la concentrazione delle forze
popolari cui essi si indirizzano e di assicurare al proletariato - interprete degli
interessi generali della società - la direzione della lotta politica, i due partiti
stabiliscono tra di loro un patto di accordo in vista degli obiettivi seguenti: a) contro
l'intervento in Austria e in genere contro la minaccia di guerra che scaturisce dagli
antagonismi degli interessi imperialisti e della politica fascista di provocazione alla
guerra. Le direttive di questa azione sono state precisate nel manifesto comune del 31
luglio cui devono ispirarsi nella loro azione locale le sezioni, i gruppi e i militanti
tutti dei due partiti; b) per strappare dalle prigioni e dalle isole di deportazione le
vittime del Tribunale speciale e della repressione ed imporre l'amnistia totale ed
incondizionata; per la partecipazione attiva alla campagna internazionale per la
liberazione di Thaelmann, di Seitz e di tutte le vittime del fascismo; c) per la difesa e
il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori; contro ogni riduzione dei salari
e degli stipendi, per il sussidio a tutti i disoccupati, contro i sequestri, per
l'annullamento dei debiti e delle imposte ai contadini poveri, per tutte le rivendicazioni
immediate delle masse lavoratrici; d) contro il sistema corporativo, per la libertà
sindacale, per la rappresentanza dei lavoratori nelle aziende, per la libertà di
organizzazione, di stampa e di sciopero, per la elezione libera di tutte le cariche
sindacali, per la rivendicazione di tutte le libertà popolari. II - I due partiti,
tenendo presenti le possibilità locali, si impegnano a dare alle rispettive
organizzazioni di base, di gruppi e a tutti i militanti le istruzioni necessarie per
promuovere e coordinare, nelle forme che risulteranno più adatte alle particolari
situazioni, delle azioni comuni per gli obiettivi fissati nel presente patto. III - I due
partiti si impegnano a dare istruzioni alle rispettive organizzazioni dei paesi di
emigrazione italiana perché associno le loro forze nell'azione per sostenere le lotte
all'interno del proletariato italiano e contro la penetrazione del fascismo tra le masse
emigrate e perché, attraverso le organizzazioni sindacali e politiche indigene,
assicurino la difesa degli immigrati. IV - I due partiti, nei limiti della disciplina
verso le rispettive Internazionali, useranno della loro influenza per spianare la via in
ogni paese ad una politica di unità d'azione. V - I due partiti conservano la loro piena
ed intera autonomia funzionale e dottrinaria. Ognuno di essi continua la sua specifica
propaganda ed azione, impegnandosi di valersi dell'incontrastato diritto di esprimersi con
piena franchezza sui dissensi dottrinali e tattici che tuttora si oppongono ad un fronte
politico generale ed alla fusione organica, in modo tale da non urtare ed ostacolare lo
svolgimento delle azioni comuni già concordate. VI - I due partiti conservano piena
libertà di sviluppare il proprio reclutamento. Essi convengono che nel corso dell'azione
comune si asterranno da ogni intervento nel seno dell'altro partito, per disgregarne le
organizzazioni e romperne la disciplina. VII - Le delegazioni dei due partiti si
manterranno in collegamento e si potranno convocare a richiesta di una delle due, per
esaminare e concretizzare nuove eventuali proposte interessanti la realizzazione del
presente accordo e per risolvere nello spirito di questo accordo ogni eventuale punto di
contrasto che sorgesse".
***
Dal punto di vista delle prese di posizione
antifasciste, riveste un certo interesse il documento contro la guerra d'Abissinia
approvato nell'ottobre 1935 dal "congresso degli italiani" che si riunì a
Bruxelles: "Rappresentanti dei lavoratori d'Italia, dei partiti della democrazia e
della classe operaia italiana, di associazioni di emigrati italiani d'Europa e di America,
designati da centinaia di migliaia di italiani di ogni età, sesso, di ogni condizione
sociale e di ogni opinione politica e religiosa sparsi per il mondo e reduci dalle carceri
e dalle isole fasciste; in cospetto della rappresentanza dell'Internazionale operaia
socialista, dell'Internazionale comunista e delle organizzazioni sindacali internazionali,
venute a portare al popolo italiano il solidale appoggio del proletariato mondiale in
lotta contro il fascismo e contro la guerra; ci siamo riuniti il 12 e il 13 ottobre 1935,
nella sala Matteotti della Maison du Peuple di Bruxelles, in un "Congresso degli
italiani", per dichiarare alto e forte l'angoscia del popolo italiano di fronte alla
guerra scatenata il 3 ottobre, e la sua volontà di pace, per dire ai nostri fratelli
soldati in Italia e in Etiopia, e agli italiani tutti, una parola che susciti nei loro
spiriti un incrollabile proposito d'azione contro la guerra, per separare, davanti alla
opinione pubblica mondiale, la responsabilità del popolo italiano da quella del fascismo,
il quale sta consumando contro la indipendenza del popolo etiopico e contro l'umanità, il
più abominevole delitto. La guerra iniziatasi in Africa non è guerra dell'Italia, ma del
fascismo! Essa è la conclusione di 13 anni di una folle politica liberticida di
asservimento delle masse ad un pugno di sfruttatori e di profittatori, politica che - dopo
aver tentato invano l'ultima sua giustificazione con una inconsistente esperienza
corporativa - cerca uno sbocco nella esasperazione dello sciovinismo, seguendo così il
destino di tutte le dittature capitaliste e militariste, le quali, dopo avere creduto di
risolvere od eludere le crisi politiche ed economiche, da cui furono portate al potere,
con l'assassinio della libertà, si lusingano poi di poter coprire o allontanare
l'inevitabile fallimento sotto gli allori insanguinati di effimere vittorie militari. La
guerra, lungi dal risolvere i problemi del pane e del lavoro, riduce i lavoratori ad una
più grande miseria, getta in un baratro di sangue le già stremate risorse del paese,
crea nuove servitù aggravando la stretta degli egoismi capitalisti, falcidia sulle aride
ed inclementi ambe africane il fiore della gioventù italiana. Già per la breccia aperta
dal cannone fascista si affacciano tutti gli appetiti e i contrasti imperialisti e sulle
orme fasciste si preparano a marciare tutte le forze reazionarie che in Germania e altrove
covano un odio mortale contro la Unione Sovietica e verso ciò che sopravvive delle
libertà democratiche. Di fronte agli uomini e di fronte alla storia, noi dichiariamo che
il fascismo è il solo responsabile della guerra, delle sue conseguenze e delle sue
complicazioni. Il fascismo ha disonorato l'Italia rompendo con le migliori tradizioni del
suo popolo, il quale ha sempre aiutato tutte le lotte di libertà e di indipendenza
nazionale; ha esposto l'Italia al disprezzo universale rompendo i patti di pacifica
convivenza tra i popoli, tradendo la parola data del rispetto della indipendenza abissina;
ha fatto decidere contro l'Italia le sanzioni che la Società delle Nazioni aveva previsto
contro gli aggressori; ha sollevato la riprovazione del mondo civile con i bombardamenti
aerei di popolazioni indigene. In queste condizioni lottare contro la guerra africana,
imporre con tutti i mezzi la cessazione immediata della guerra significa lottare per la
salvezza del popolo italiano, significa evitare all'umanità una spaventosa catastrofe.
Noi dichiariamo pertanto solennemente che il congresso è fiero di mettersi alla testa di
questa lotta. Esso fa appello ai soldati, alle madri, ai lavoratori, agli spiriti liberi
d'Italia e del mondo intiero, agli stessi fascisti cui la guerra rivela la vera natura
della dittatura mussoliniana, per imporre la immediata cessazione delle ostilità e il
ritiro delle truppe dall'Etiopia! Esso chiede ai lavoratori d'Italia di unirsi per
organizzare la resistenza e il sabotaggio delle misure di guerra e difendere la loro vita,
il loro pane, il loro avvenire. Esso invoca la solidarietà di tutti i popoli fratelli e
chiede alle organizzazioni operaie internazionali il boicottaggio dei rifornimenti di
guerra ed alla Società delle Nazioni l'applicazione delle sanzioni per far cessare la
guerra, nella convinzione che le sanzioni economiche, se saranno sollecite ed energiche, e
soprattutto perché saranno potenziate dalla solidarietà operaia internazionale,
potrebbero far piegare il regime fascista anche prima che - in conformità della speranza
terribile di Mussolini - le sanzioni militari vengano ad aggravare ancor più il pericolo
di una guerra mondiale già minacciante. Esso si attende dalle masse emigrate uno sforzo
più energico contro la guerra e contro il fascismo. Con questo spirito e questi
intendimenti, il congresso delega a un Comitato d'azione, in cui siano rappresentate tutte
le correnti politiche che hanno risposto al suo appello unitario, il mandato di
organizzare e di stimolare sul piano nazionale e internazionale le misure concrete della
lotta, chiamando a raccolta tutto il popolo lavoratore, attorno alla parola d'ordine: Pace
immediata con l'Etiopia! Via Mussolini!".
***
Ma torniamo alle vicende dei partiti antifascisti
all'estero e ai tentativi di raggiungere una piattaforma unitaria. Importante, anche se
senza esiti immediati, l'iniziativa di "Giustizia e Libertà", il movimento che
si era costituito sul finire del 1929 a iniziativa soprattutto dei fratelli Carlo e Nello
Rosselli che, durante la guerra di Spagna, sarebbero stati uccisi in Francia da sicari
prezzolati dal fascismo. Il 24 aprile 1936 GL si rivolse in questi termini agli altri
partiti: "Cari compagni, dopo quasi sette mesi di guerra, all'approssimarsi di un
periodo che costringerà il fascismo a una stasi sul settore militare, mentre la pressione
economica si aggrava e quella internazionale è probabile si rinnovi, noi pensiamo che si
imponga a tutti i movimenti antifascisti un esame rapido e realistico della situazione, a
fini non di polemica retrospettiva, ma di un nuovo energico impulso da darsi all'azione,
possibilmente comune. Indubbiamente la posizione del fascismo è migliorata dopo le
recenti vittorie e non si può escludere che esso riesca anche a strappare un compromesso
favorevole a Ginevra (nel qual caso ci troveremmo confrontati con prospettive del tutto
diverse). Ma se, come noi propendiamo a credere in base a vari elementi (resistenza
inglese, riavvicinamento franco-inglese in caso di vittoria della sinistra in Francia,
ricerca di successo totale da parte del fascismo, impossibilità di ottenerlo in poche
settimane, ripresa abissina, ecc.), la guerra dovesse prolungarsi, il miglioramento della
situazione per il fascismo potrebbe rivelarsi precario e far luogo ad un aggravamento
rapido con nuove possibilità di crisi acuta. Il fatto solo che questa eventualità non
possa essere esclusa deve spingerci a intensificare gli sforzi e a ricercare per quali
vie, e con quali mezzi, l'antifascismo rivoluzionario possa riuscire, più di quanto non
abbia potuto per il passato, ad accelerare il processo di crisi in Italia intervenendovi
in modo visibile e attivo. Una realistica valutazione impone di riconoscere che la
attività contro la guerra svolta finora dall'antifascismo non è stata feconda di grandi
risultati. A parte ogni discussione sui metodi, il maggiore sforzo compiuto è stato
controbilanciato da una serie di fattori, alcuni caratteristici di ogni incipiente crisi
bellica, altri propri del sistema totalitario e altri attinenti al diffuso e ad arte
eccitato risentimento antinglese e antileghista. Né si sono avute da nessuna parte
iniziative capaci di richiamare l'attenzione delle grandi masse italiane
sull'antifascismo. All'interno siamo considerati debolissimi e divisi. All'estero ci si
ignora, almeno come fattore attivo. Ciò non significa, beninteso, che l'azione svolta sin
qui debba considerarsi inutile. Qualunque possano essere stati gli errori e le deficienze,
tutti prevedevano che l'opposizione alla guerra si sarebbe sviluppata lentamente, in mezzo
alle più grandi difficoltà e che, agli inizi, specie in caso di vittorie militari, non
si sarebbero potuti verificare grandi fenomeni di resistenza. Non è comunque da
sottovalutarsi il fatto che tutte le correnti antifasciste, anziché incrinarsi, di fronte
alla crisi bellica, si siano rinsaldate, abbiano preso posizione netta contro, abbiano
allargato la loro sfera di influenza all'estero e mantenuto, talvolta anzi vivificato, i
focolai di resistenza all'interno. È un sintomo. Ma non si deve considerarlo come un dato
acquisito. Non bisogna nascondersi che i piccoli progressi attuali sono in funzione
soprattutto delle rinate speranze e che la congiuntura in cui si giuocano le sorti del
nostro paese e le nostre, non durerà a lungo. Se non riusciamo, durante questo periodo
limitato, a ottenere qualche risultato importante e visibile, aumenteremo di molto le
possibilità del fascismo di liquidare a suo favore la crisi. Dopo di che l'antifascismo
si troverà a dover partire da zero. Può accadere invece che in alcuni, sotto
l'impressione delle vittorie militari e delle incertezze della situazione interna e
internazionale, tenda a prevalere l'inclinazione a seguire da ora in là con una certa
passività gli eventi, nell'attesa che nuovi sviluppi offrano prese più decisive di
quelle che non si siano avute sinora. Secondo noi questo stato di spirito è pernicioso,
non già perché ci illudiamo che la rivoluzione sia problema di sola volontà e che si
possano improvvisare o a talento precipitare le situazioni storiche: ma perché
consideriamo che funzione del movimento rivoluzionario sia quella di intervenire
attivamente in tutti gli sviluppi di una crisi come l'attuale, per lenti e faticosi che
siano, anche anticipando, entro certi limiti, gli sviluppi stessi e precostituendo quella
forza politica organizzata che sola ci consentirebbe di profittare di tutte le
eventualità che potranno presentarsi. Si aggiunga che, nonostante l'euforia passeggera
provocata in limitati strati dalle vittorie, il prolungarsi della guerra accresce
inevitabilmente il malcontento delle masse e di vaste zone della stessa borghesia,
favorendo così lo sviluppo della nostra azione che, secondo un ragionevole criterio
tattico, deve via via rafforzarsi e non indebolirsi. L'intensificazione del nostro sforzo
ci è imposto anche da un'altra considerazione: dal cedimento, sia pure parziale, ma
improvviso e grande della resistenza abissina. Questo cedimento, accorciando il nostro
tempo di azione, e riducendo il contrasto sempre più ad un urto fascismo-estero, Italia
fascista-Inghilterra-lega, favorisce singolarmente la speculazione patriottarda della
dittatura, che riesce ancora a controllare la situazione interna e ad intervenirvi
attivamente. Naturalmente anche il nostro intervento solleva dei problemi e va studiato
con intelligenza. Ma sulla opportunità della sua esistenza non possono aversi dubbi. Il
disfattismo, in periodi di guerra combattuta, o soprattutto di questa guerra, è un
momento essenziale della lotta rivoluzionaria. Senonché non vale limitarsi agli enunciati
generici. Bisogna a questo punto proporre qualche cosa di positivo, di attuabile, di
rapidamente attuabile e che nello stesso tempo possa rappresentare una piattaforma comune
di lotta. Eternare la polemica svoltasi in questo ultimo anno non avrebbe senso. Tanto
varrebbe continuare ciascuno per la propria strada. L'esperienza ci ha dimostrato - almeno
è da crederlo - che non sia possibile arrivare ad un accordo generale fattivo, né sulle
basi proposte dal Comitato di Bruxelles, né su quelle proposte da GL. L'idea empirica di
molti, che all'accordo si possa arrivare attraverso una reciproca transazione, è errata,
perché questa transazione, non applicandosi ad una posizione centrale comune, finisce per
sterilizzare ciò che di vivo e di vitale ci può essere nella tesi di ciascuno, lasciando
sussistere solo i rami morti. No. La via per arrivare ad un accordo è un'altra. Bisogna
ricercare una nuova piattaforma comune e ricercarla in comune, in modo che essa non appaia
come un accomodamento degli uni agli altri, ma come lo spontaneo incontro di gente che,
dopo aver seguito vie diverse, da una comune esperienza è spinta a riunirsi. Il momento
è particolarmente propizio, sia perché le prospettive sono mutate e legittimano ogni
revisione, sia perché proprio di questi giorni è l'annunzio dei gruppi aderenti al
movimento di Bruxelles di un nuovo convegno. Noi, dal nostro canto, ci dichiariamo decisi
a fare un supremo sforzo per arrivare rapidamente ad un accordo generale e concreto di
azione. Non facciamo e non faremo nessuna questione di forma. Guarderemo solo alla
sostanza. E anche per la sostanza, siamo animati dal desiderio di tenere nel massimo conto
le esigenze altrui. Ecco le nostre proposte; nelle quali preghiamo i compagni dei vari
gruppi di non voler vedere l'espressione delle idee care a GL, ma già una prima bozza di
possibile accordo in cui il più largo posto è stato fatto a tesi che già fortemente
avversammo. 1 - Convocazione entro il maggio di un convegno riservato di tutti i gruppi
antifascisti rivoluzionari per un esame comune della situazione e per la elaborazione di
un concreto piano di propaganda, di organizzazione, di lotta. Il piano - che ci riserviamo
di presentare a voce nei dettagli - dovrebbe limitarsi alla fase di attacco, quindi non
mettere in primo piano i problemi di successione o di governo; riferirsi ad un periodo
determinato (per es. sei mesi); assicurare i mezzi finanziari relativi. Sui punti
essenziali del piano, come sul finanziamento, un accordo di massima dovrebbe raggiungersi
prima del convegno, affinché quest'ultimo possa svolgere una opera positiva con la
partecipazione delle forze che sono già in massima concordi. Non vedremmo difficoltà a
trasformare in convegno generale il prossimo convegno annunciato dai gruppi di Bruxelles,
alla sola condizione che sia pubblico e l'organizzazione venga fatta in comune. 2 -
L'esecuzione del piano viene affidata ad un tempo ai partiti o movimenti componenti e ad
un organismo comune al quale ultimo, oltre che una funzione generale di rappresentanza e
di coordinazione politica, spettano una precisa serie di iniziative che, per la loro
importanza e significato, per i mezzi ingenti che richiedono, per l'impulso generale che
danno all'azione, debbon essere decise e condotte in comune. Ai gruppi e partiti, che
conservano la loro piena autonomia politica e organizzativa, viene riconosciuto come
compito precipuo (ma senza una assoluta esclusiva) quello della organizzazione di base in
Italia o all'estero, della propaganda, come pure di tutte quelle iniziative che essi
credano utile prendere nell'interesse dello sviluppo del loro movimento. Il movimento
comune dovrebbe assumere una denominazione che, pur indicando esplicitamente il suo
carattere di alleanza di tutti i partiti e movimenti antifascisti, sia tale da attirare
verso di sé le simpatie delle masse che profondamente aspirano a lottare in un fronte
comune. Proponiamo come nomi: Fronte rivoluzionario antifascista (Far), oppure Alleanza
rivoluzionaria antifascista (Ara). Accettiamo che nel corso della propaganda del movimento
comune si ricordino i gruppi aderenti. 3 - Il movimento comune non dovrebbe esistere solo
al centro, ma alla periferia. Esso sarebbe diretto da un comitato generale formato dai
rappresentanti dei vari gruppi. Alle sue dipendenze sarebbe un esecutivo. I gruppi e
partiti aderenti dovrebbero impegnarsi ad assicurare agli organi comuni centrali e locali
un certo numero di elementi e a metterlo in rapporto con le varie organizzazioni
internazionali. Per quanto riguarda le finalità e i metodi di azione ci limitiamo a
precisare: a) lotta rivoluzionaria diretta a combattere il fascismo non solo nei suoi
effetti, ma nelle sue cause; b) sviluppo della propaganda e organizzazione di massa,
facendo leva essenzialmente sulla classe lavoratrice; c) sforzo immediato per appoggiare
l'azione generale con una serie di iniziative che servano a scuotere il sentimento
pubblico, a rompere lo sbarramento totalitario, a rendere popolare l'azione del movimento
comune; d) sforzo principale diretto verso l'Italia o in Italia. Per l'azione estera i
gruppi e partiti dovrebbero impegnarsi a coordinare la loro azione sopprimendo
possibilmente i duplicati e armonizzando le iniziative, affinché l'attività di tutti, e
in particolare dei più giovani e volenterosi, venga convogliata verso gli obiettivi
essenziali. Queste, in sintesi, le nostre proposte, che potremmo già dire vostre, perché
in esse si ritrovano vari dei punti sui quali altri gruppi, in particolare i socialisti
per quanto concerne l'autonomia e azione dei partiti, e i comunisti per l'azione di massa,
insistettero. Se vi sembra che su queste basi sia possibile un accordo di massima vi
proponiamo di incontrarci al più presto. Crediamo che occorra procedere con una certa
rapidità. Il tempo corre e già molto se ne è perduto. Crediamo che anche voi siate
convinti che in accordi di questo tipo, quel che soprattutto vale, specie agli inizi, è
lo spirito con cui si fanno. Se c'è una reale volontà di condurre nei prossimi mesi un
grosso sforzo in comune, l'accordo non potrà mancare. La notizia di questo accordo, se
riuscissimo a farla arrivare largamente all'interno, non mancherà di avere ripercussioni
notevoli sulle masse che attendono ansiose un segno di vita e di speranza; e ci
permetterà anche all'estero di esercitare una maggiore influenza". Ma già incombeva
la guerra di Spagna, con la sollevazione dei generali fascisti contro il governo legittimo
della Repubblica. E la guerra di Spagna fu un forte reagente che diede all'antifascismo
nel suo complesso, se non l'unità formale, la coscienza largamente comune che in difesa
della Spagna repubblicana si sarebbe consumata la prima sfida internazionale tra fascismo
e antifascismo.
***
La nostra rassegna si conclude con il patto d'unità
d'azione tra comunisti e socialisti, sancito dalla cosiddetta "Nuova Carta" del
luglio 1937: "Il Partito socialista italiano ed il Partito comunista d'Italia;
solidali da tre anni in una politica di unità d'azione che in Italia, nell'emigrazione,
in Spagna, ha dato risultati importanti e si è rivelata essere uno strumento
indispensabile della lotta del proletariato contro il fascismo e la guerra; fermamente
risoluti a consolidare i risultati ottenuti ed a rafforzarli e svilupparli; concordano nei
punti seguenti che costituiscono la nuova carta dell'unità d'azione: I - Il Partito
socialista italiano e il Partito comunista d'Italia, avendo come fine comune
l'abbattimento del fascismo e del capitalismo e l'avvento di una società socialista,
decidono di consolidare i legami che li uniscono tanto sul terreno dell'azione politica
generale, quanto sul terreno del lavoro pratico quotidiano. Essi considerano l'esistenza
di un solido legame di fronte unico tra il partito comunista e il partito socialista come
una delle principali condizioni dell'unità di tutte le forze antifasciste e della
creazione in Italia di un movimento di fronte popolare. Il - Nella fase attuale della
lotta di classe e della lotta politica i due partiti si propongono di chiamare e
organizzare tutto il popolo italiano alla lotta per la conquista della libertà e della
democrazia e l'instaurazione di una repubblica democratica, presidiata dalla classe
operaia, che assicuri al popolo il pane, la pace e la libertà, prenda le misure
necessarie per distruggere alla radice le basi economiche della reazione e del fascismo
(nazionalizzazione del capitale monopolistico industriale e bancario, distruzione di ogni
feudalità rurale, ecc.) e apra la via alla marcia verso il socialismo. III - Allo scopo
di agevolare il raggiungimento di questo obiettivo i due partiti si impegnano a condurre
una azione per unire sul terreno della lotta antifascista tutti i partiti e le
organizzazioni antifasciste esistenti nel paese e nell'emigrazione, nonché per realizzare
l'unità tra i due centri sindacali esistenti nella emigrazione. In pari tempo decidono di
aprire una discussione pubblica nell'antifascismo, in Italia e nella emigrazione, per la
elaborazione del programma di un fronte popolare italiano. IV - Persuasi della necessità
imprescindibile di una lotta di massa contro la politica interna ed internazionale del
fascismo, sola via che conduce alla lotta per l'abbattimento del regime fascista, i due
partiti si impegnano a lottare uniti, nelle fabbriche, nelle organizzazioni fasciste di
massa (sindacati, dopolavoro, ecc.), nei quartieri cittadini, nelle organizzazioni
giovanili, nelle campagne, nelle scuole, nell'esercito, per agitarvi tutte le
rivendicazioni immediate, economiche e politiche delle masse popolari utilizzando a tale
fine anche tutte le possibilità legali del regime fascista. Strettamente legate alle
rivendicazioni economiche e politiche immediate delle masse popolari, i due partiti
promuoveranno la solidarietà assistenziale e politica con la Repubblica della Spagna, con
il suo esercito, con il suo popolo, e con il suo governo; condurranno un'azione mirante a
coordinare ed utilizzare tutte le forze ostili alla politica estera mussoliniana allo
scopo di costringere il governo fascista a ritirare il corpo di spedizione dalla Spagna e
di spezzare l'asse di guerra Berlino-Roma. I due partiti sostengono una politica
internazionale di pace che rafforzi la Società delle Nazioni sulla base di un sistema di
sicurezza collettiva e di mutua assistenza contro l'aggressore; si impegnano a lottare
uniti per la difesa dell'Unione dei Soviet e ad appoggiare attivamente lo sviluppo di un
vasto movimento delle masse popolari in tutti i paesi per il rispetto del patto della
Società delle Nazioni contro gli aggressori fascisti della Repubblica spagnola e per il
ritiro dalla Spagna degli eserciti fascisti di occupazione. I due partiti convengono di
mettere gli strumenti di agitazione in loro possesso a disposizione di questa politica. V
- Di fronte alla minaccia di un conflitto generale che il fascismo fa pesare sull'Europa e
sul mondo, i due partiti sono fermamente risoluti ad intensificare la mobilitazione delle
masse contro le provocazioni mussoliniane ed hitleriane ed a sostenere gli sforzi tendenti
a mantenere e consolidare la pace. Essi affermano che un conflitto generale può essere
evitato se la pace è strenuamente difesa dai popoli in tutti i paesi e se è denunciata
come contraria agli interessi della pace e della democrazia ogni politica di capitolazione
di fronte alle provocazioni ed ai ricatti dei regimi fascisti. Se un tale conflitto
scoppiasse malgrado tutto, il proletariato ne farà la tomba del fascismo difendendo
accanitamente le sue posizioni là dove è al potere e là dove gode degli elementari
diritti di libertà, sabotando la guerra là dove impera la reazione, sollevando contro il
fascismo interno e quello internazionale la bandiera della libertà e della solidarietà
dei popoli. VI - I due partiti collaboreranno a realizzare l'unità d'azione fra
l'Internazionale operaia socialista, l'Internazionale comunista e le Internazionali
sindacali, da attuarsi su scala mondiale e in ogni paese secondo le necessità concrete
della lotta antifascista. VII - I due partiti vedono nella unità d'azione un primo passo
verso il partito unico della classe operaia, che costituirà la più possente arma del
proletariato nella sua lotta contro il fascismo e il capitalismo. I problemi della unità
organica saranno approfonditi e discussi tra i due partiti, alla luce delle esperienze in
corso in Italia e negli altri paesi. VIII - I due partiti impegnano i militanti comunisti
e socialisti italiani nella emigrazione a lavorare insieme nel seno della Unione popolare
italiana, sorta in Francia, per svilupparvi la politica antifascista di unità d'azione di
fronte popolare. IX - I due partiti conservano la loro piena ed intera autonomia
funzionale e dottrinaria. Ognuno di essi continua la sua specifica propaganda ed azione
impegnandosi di valersi del diritto di esprimersi con piena franchezza sui dissensi
dottrinali e tattici, che tuttora si oppongono alla fusione, in modo tale da non urtare ed
ostacolare lo svolgimento dell'azione comune. I due partiti per assicurare i risultati
positivi dell'azione comune prenderanno le misure interne necessarie onde disciplinare
l'attività delle loro organizzazioni in modo che tutto converga al rafforzamento
dell'unità d'azione ed al raggiungimento dei fini comuni. X - I due partiti si impegnano
a collaborare strettamente sul terreno della lotta contro la provocazione e lo spionaggio
fascisti, in qualunque modo essi si manifestino. XI - I due partiti conservano piena
libertà di sviluppare il proprio reclutamento. Essi convengono che nel corso dell'azione
comune si asterranno da ogni intervento nel seno dell'altro partito per disgregarne le
organizzazioni e romperne la disciplina e di portare il discredito sul partito alleato.
XII - I due partiti realizzeranno l'unità d'azione per gli obiettivi e le forme indicate
nella presente Carta, in tutti i gradi delle loro organizzazioni. Essi si impegnano a
popolarizzare e ad illustrare questa Carta nel paese, accompagnandola con direttive che
aiutino i militanti dei due partiti nella sua applicazione; e si impegnano reciprocamente
ad esaminare insieme e preventivamente tutti i problemi e tutte le iniziative che
postulano l'unità d'azione".
***
La sommaria ricostruzione delle vicende dal primo antifascismo alla guerra
di Spagna è così conclusa. Quella unità, perseguita con grandi sforzi e impedita da
altrettanto rilevanti diversità di vedute, si sarebbe cementata nel vivo della lotta di
Resistenza, e anche questa volta non senza problemi, dal punto di vista politico e da
quello militare. Nei prossimi numeri di Patria ci sforzeremo di offrire ai nostri lettori
una rivisitazione dei documenti più importanti che accompagnarono la lotta di
Liberazione.
Da "Patria indipendente" n. 1 del 2000
Gli antifascisti
italiani rifugiati in Svizzera
Clandestini nel cielo. Il giorno in cui Bassanesi volò su Milano (11 luglio 1930)
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