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Il manifesto degli intellettuali
antifascisti
di Benedetto Croce
A Giovanni Gentile, che aveva redatto il manifesto degli intellettuali fascisti, il
meglio della cultura italiana rispose con questo testo redatto da Benedetto Croce su
invito di Giovanni Amendola, che fu pubblicato su «Il Mondo» del 1° maggio 1925,
corredato da numerose adesioni.
:
"Gl'intellettuali fascistici, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un
manifesto agl'intellettuali di tutte le nazioni per spiegare e difendere innanzi ad essi
la politica del partito fascista. Nell'accingersi a tanta impresa, quei volenterosi
signori non debbono essersi rammentati di un consimile famoso manifesto, che, agli inizi
della guerra europea, fu bandito al mondo dagl'intellettuali tedeschi; un manifesto che
raccolse, allora, la riprovazione universale, e più tardi dai tedeschi stessi fu
considerato un errore. E, veramente, gl'intellettuali, ossia i cultori della scienza e
dell'arte, se, come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con
l'iscriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno il solo dovere
di attendere, con l'opera dell'indagine e della critica e le creazioni dell'arte, a
innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale
affinché con effetti sempre più benefici, combattano le lotte necessarie. Varcare questi
limiti dell'ufficio a loro assegnato, contaminare politica e letteratura, politica e
scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare
deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può
dirsi nemmeno errore generoso. E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascistici, un
atto che risplende di molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è lecito
sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di
guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie nazioni. Nella
sostanza, quella scrittura è un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si
notano confusioni dottrinali e mal filati raziocinamenti; come dove si prende in scambio
l'atomismo di certe costruzioni della scienza politica del secolo decimottavo col
liberalismo del secolo decimonono, cioè l'antistorico e astratto e matematico democratico
con la concezione sommamente storica della libera gara e dell'avvicendarsi dei partiti al
potere, onde, mercé l'opposizione, si attua quasi graduandolo, il progresso; o come dove,
con facile riscaldamento retorico, si celebra la doverosa sottomissione degl'individui al
tutto, quasi che sia in questione ciò, e non invece la capacità delle forme autoritarie
a garantire il più efficace elevamento morale; o, ancora, dove si perfidia nel pericoloso
indiscernimento tra istituti economici, quali sono i sindacati, ed istituti etici, quali
sono le assemblee legislative, e si vagheggia l'unione o piuttosto la commistione dei due
ordini, che riuscirebbe alla reciproca corruttela, o quanto meno, al reciproco impedirsi.
E lasciamo da parte le ormai note e arbitrarie interpretazioni e manipolazioni storiche.
Ma il maltrattamento delle dottrine e della storia è cosa di poco conto, in quella
scrittura, a paragone dell'abuso che si fa della parola "religione"; perché, a
senso dei signori intellettuali fascistici, noi ora in Italia saremmo allietati da una
guerra di religione, dalle gesta di un nuovo evangelo e di un nuovo apostolato contro una
vecchia superstizione, che rilutta alla morte la quale le sta sopra e alla quale dovrà
pur piegarsi; e ne recano a prova l'odio e il rancore che ardono, ora come non mai, tra
italiani e italiani. Chiamare contrasto di religione l'odio e il rancore che si accendono
contro un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere di italiani e li
ingiuria stranieri, e in quell'atto stesso si pone esso agli occhi di quelli come
straniero e oppressore, e introduce così nella vita della patria i sentimenti e gli abiti
che sono propri di tali conflitti; nobilitare col nome di religione il sospetto e
l'animosità sparsi dappertutto, che hanno tolto persino ai giovani delle università
l'antica e fidente fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro
gli altri in sembianti ostili; è cosa che suona, a dir vero, come un'assai lugubre
facezia. In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede,
non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e, d'altra parte, il fatto
pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore un incoerente e
bizzarro miscuglio di appelli all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle
leggi e di violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di
atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamenti
alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati sterili verso una cultura
priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo. E se anche taluni
plausibili provvedimenti sono stati attuati o avviati dal governo presente, non è in essi
nulla che possa vantarsi di un'originale impronta, tale da dare indizio di nuovo sistema
politico che si denomini dal fascismo. Per questa caotica e inafferrabile
"religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede:
la fede che da due secoli e mezzo è stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia
moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia,
di generoso senso umano e civile, di zelo per l'educazione intellettuale e morale, di
sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento. Noi rivolgiamo gli
occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l'Italia operarono,
patirono e morirono; e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si
pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri avversari, e gravi e ammonitori a noi
perché teniamo salda la loro bandiera. La nostra fede non è un'escogitazione artificiosa
ed astratta o un invasamento di cervello cagionato da mal certe o mal comprese teorie; ma
è il possesso di una tradizione, diventata disposizione del sentimento, conformazione
mentale o morale. Ripetono gli intellettuali fascistici, nel loro manifesto, la trita
frase che il Risorgimento d'Italia fu l'opera di una minoranza; ma non avvertono che in
ciò appunto fu la debolezza della nostra costituzione politica e sociale; e anzi par
quasi che si compiacciano della odierna per lo meno apparente indifferenza di gran parte
dei cittadini d'Italia innanzi ai contrasti fra il fascismo e i suoi oppositori. I
liberali di tal cosa non si compiacquero mai, e si studiarono a tutto potere di venire
chiamando sempre maggior numero di italiani alla vita pubblica; e in questo fu la precipua
origine anche di qualcuno dei più disputati loro atti, come la largizione del suffragio
universale. Perfino il favore col quale venne accolto da molti liberali, nei primi tempi,
il movimento fascistico, ebbe tra i suoi sottintesi la speranza che, mercé di esso, nuove
e fresche forze sarebbero entrate nella vita politica, forze di rinnovamento e (perché
no?) anche forze conservatrici. Ma non fu mai nei loro pensieri di mantenere nell'inerzia
e nell'indifferenza il grosso della nazione, appoggiandone taluni bisogni materiali,
perché sapevano che, a questo modo, avrebbero tradito le ragioni del Risorgimento
italiano e ripigliato le male arti dei governi assolutistici o quetistici. Anche oggi, né
quell'asserita indifferenza e inerzia, né gl'inadempimenti che si frappongono alla
libertà, c'inducono a disperare o a rassegnarci. Quel che importa è che si sappia ciò
che si vuole e che si voglia cosa d'intrinseca bontà. La presente lotta politica in
Italia varrà, per ragioni di contrasto, a ravvivare e a fare intendere in modo più
profondo e più concreto al nostro popolo il pregio degli ordinamenti e dei metodi
liberali, e a farli amare con più consapevole affetto. E forse un giorno, guardando
serenamente al passato, si giudicherà che la prova che ora sosteniamo, aspra e dolorosa a
noi, era uno stadio che l'Italia doveva percorrere per ringiovanire la sua vita nazionale,
per compiere la sua educazione politica, per sentire in modo più severo i suoi doveri di
popolo civile". |