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pallanimred.gif (323 byte) La Resistenza a Roma: donne e quotidiano

La situazione alimentare: la storia, il mercato nero, il pane nero

"Si nun era pel contrabbando / ce portavano al camposanto"

L’approvvigionamento di una città di quasi due milioni di abitanti come Roma si presentò soprattutto come un problema di trasporti, visto che i rifornimenti di viveri arrivavano non solo dal Lazio, ma anche da regioni molto più lontane; se fino al gennaio 1944 gli alimenti, nonostante gli attacchi aerei alle linee ferroviarie, erano ancora trasportati con i treni merci, dopo lo sbarco alleato a Nettuno e l’aggravarsi della situazione per tutte le ferrovie dell’Italia centrale, i trasporti avvenivano per mezzo di autocarri. Quotidianamente partivano 100 autocarri per il rifornimento della città. Ma i viveri che arrivavano non erano comunque sufficienti, tanto che l’Ufficio alimentare dell’Amministrazione militare vide nella parziale evacuazione della città l’unica possibile "soluzione", ma, prevedibilmente, il tentativo non venne mai fatto. Interi quartieri restavano senza pane. Poveri e ricchi erano ugualmente costretti a ricorrere al mercato nero.

"La situazione economica alimentare va sempre peggiorando e la popolazione trae motivo di ulteriore pessimismo dalle recenti disposizioni circa l’aumento del prezzo del pane e la ritardata distribuzione di parte della già modesta razione di pasta. Si vorrebbe una energica e fattiva azione da parte delle autorità per arrestare la corsa al rialzo dei prezzi che, se favorisce l’ingorda speculazione dei commercianti e dei cosiddetti borsari neri, pregiudica ed esaspera i consumatori ed in special modo quelli appartenenti alle classi meno abbienti o a quelle costrette a vivere del reddito fisso".

Furono le donne, con la loro atavica capacità di trasformare qualunque oggetto in cibo, costruendo reti di baratti e compravendite nei quartieri, a salvare la città dalla peggiore delle sorti: "Una città affamata non grida come un bimbo affamato. Si ripiega, sfiorisce in un disfacimento desolato privo di nobiltà e di amore."

" Il mercato nero a Roma è cresciuto grazie alla guerra. In Italia si è sviluppato dappertutto, ma quello romano ha sviluppato delle particolarità che impediscono il confronto con gli altri: è diventato un’espressione tipica della vita quotidiana."

La borsa nera comincia ad organizzarsi nell’inverno tra il 1941 e il ’42 come un mercato parallelo, illegale, ma al quale si ricorre regolarmente. All’inizio è un rapporto che si costruisce col fornitore abituale, che conosce le necessità e le possibilità economiche dei suoi clienti. È il fornaio, il salumiere, il lattaio sotto casa che provvede a fornire qualcosa in più, dentro un pacchetto, sussurrando il prezzo. Ma il mercato nero "ufficiale" era a Tor di Nona.

In ogni casa c’erano donne che conservavano sotto i letti sacchetti di farina o pasta, e bottiglie d’olio, sigarette e persino il formaggio:

"Quello che trovavi, compravi. Una volta a Tor di Nona mi offrirono una forma di ricotta fresca. Me la portai a casa e per tre giorni o quattro mangiammo solo ricotta. […] Avevamo sul nostro pianerottolo una famiglia molto per bene, ma ridotta proprio alla fame. Si vedeva che avevano tutti fame, e quel giorno che avevo comprato la forma di ricotta mia madre mi disse di andare a chiamare anche loro. Il padre era un vecchio professore, e disse di no. Ma i ragazzi vennero tutti e ce la spartimmo. Un giorno mia madre mi disse di portargli anche la carne. Io non capivo bene perché. Poi seppi che aveva comprato le loro lenzuola. Mi sembrò una cosa brutta, ma allora era così".

Chi ha argenteria, ori, lenzuola, biancheria ricamata, orologi, oggetti antichi, li vende per comprare generi alimentari. Le transazioni sono complesse, in un tempo in cui non c’è cibo, il valore delle merci può cambiare di giorno in giorno. A complicare ulteriormente una situazione già inquietante, da una parte gli Alleati, che mitragliavano i convogli di viveri diretti in città, dall’altra gli occupanti che sequestravano per il loro uso, ma soprattutto per una sorta di deontologia dell’occupazione, intere partite di generi alimentari.

"L’idea che i tedeschi tenessero tutti i depositi sequestrati per il loro uso e consumo, era molto diffusa. Allora iniziarono letteralmente tutti a fare ricorso al mercato nero"

Il burro che a Natale costava 250 lire al chilo, a fine gennaio ne costava quasi 400, lo zucchero era salito da 90 a 200 lire. Il carbone era finito. Un diplomatico inglese presso il Vaticano fece giungere al suo governo un messaggio in cui chiedeva di alleggerire la pressione sulla città, evitando almeno di impedire l’arrivo dei rifornimenti. "Roma deve patire la fame" rispose Churchill, "fino a quando non sarà liberata".

E la fame si pativa davvero. Ecco uno schema che Gunther Amonn, corrispondente per la Polizia Tedesca, compilò nel dicembre 1943, nel pieno dell’occupazione:

QUANTO SI SPENDE AL MESE PER IL SOSTENTAMENTO

Per la merce sottoposta a tesseramento:

    • Spesa completa per 4 persone

(uomo, donna, 2 bambini) £ 329,15

    • Per la stessa merce al mercato nero £ 1500/1600
    • Per la merce non sottoposta a tesseramento (verdura, vino, spezie, surrogato di caffè, e simili) £ 600/700

 

È realmente significativo soprattutto se si mettono a confronto queste cifre con quelle dello schema relativo agli stipendi e ai salari che nello stesso documento sono indicati:

GUADAGNI LORDI AL MESE.

BUROCRATE

 

OPERAIO

 

Paga

£ 1400

Salario

£ 907

Premio costanza

£ 200

---------------

------------

Sussidi di guerra

£ 390

Sussidi di guerra

£ 260

Sussidi familiari:

moglie

2 bambini

£ 114

£ 213

Sussidi familiari:

moglie

2 bambini

£ 74

£ 134

TOTALE LORDO

£ 2317

TOTALE LORDO

£ 1375

 

 

Fonte: ACS, Uffici di Polizia e Comandi Tedeschi in Italia,

 

Il mercato nero diventa, dunque, un elemento irrinunciabile per l’approvvigionamento della città; inoltre a Roma la situazione assume una caratteristica particolare se si tiene conto della miriade di piccoli produttori della periferia, agricoltori e commercianti che si spostano quotidianamente per vendere i loro prodotti.

"contro queste centinaia di migliaia di piccole infrazioni ci sarebbe voluto un apparato di polizia spaventoso, e soprattutto incorruttibile; e non era il caso della polizia annonaria italiana, che era la prima a rifornirsi [impunemente] di viveri. Allora tutti volevano lavorare all’Annona, primo perché si riceveva uno stipendio decente, poi perché ci si poteva arricchire col denaro della corruzione. "

Anche in documenti ufficiali si esplicita questa malcelata tendenza dell’alta burocrazia:

"E’ oltremodo significativo che le autorità stesse, a Roma, si trovino nella sede del partito in Piazza Colonna, perché qui si può ancora mangiare come durante la pace, con vero caffè alla fine del pranzo, che naturalmente, come tutto il resto, può venire solo dal mercato nero, dato che il vero caffè non si trova più nel mercato libero da quasi tre anni."

Ulteriori problemi provoca un vertiginoso ma invisibile (perché clandestino, non ufficiale) aumento della popolazione: dai Castelli, da Genzano, da Albano, dalle campagne intorno ad Anzio e Nettuno, arrivano a Roma intere famiglie di disastrati che cercano alloggio nelle scuole, nelle caserme o nell’ala abbandonata di qualche ospedale, un incremento silenzioso che va ad accelerare un andamento già crescente della popolazione romana, prima del ventennio fascista. Si calcola che oltre 200.000 persone vivessero in alloggi di fortuna in condizioni inumane e senza lavoro. E trovare cibo diventa ancora più difficile. Ma non è solo il cibo a creare una continua sofferenza. Manca praticamente tutto il necessario; ogni piccolo, naturale, cambiamento quotidiano porta con sé nuovi problemi da risolvere: l’inverno è freddo e c’è bisogno di carbone per scaldarsi. Per procurarsene un chilo bisogna alzarsi all’alba e mettersi in fila, davanti ai carbonai; se si riesce ad arrivare al banco prima che sia terminato bisogna caricarsi il cesto o il sacco in testa e portarselo fino a casa. Le donne da sole, perché gli uomini, anche se ci sono, è meglio che non si facciano vedere.

"Gli ospedali erano pieni di bambini denutriti, e si contavano numerosi casi di piccoli deceduti per fame e malattie da denutrizione: forse erano più di trecento, una strage, altre vittime innocenti da inserire nell’elenco di atrocità commesse dai nazifascisti a Roma e in Italia."

La situazione nel settore del pane peggiorò in modo drammatico con l’approssimarsi del fronte. Il 26 marzo l’ordinanza di Maeltzer aveva ridotto di 50gr. la razione giornaliera di pane, a metà aprile, a causa delle difficoltà dei trasporti e dei disordini creati dalla lotta partigiana, la distribuzione ufficiale subì un’ulteriore diminuzione; a quel punto ci si rese conto che non solo circolavano 50.000 carte per il pane falsificate, ma anche che ingenti quantitativi di farina erano stati venduti di contrabbando dagli organi addetti alla distribuzione.

"Sabato primo aprile, al forno Tosti, quartiere Appio, la fila era interminabile: le donne attendevano da più di due ore l’arrivo dell’ordine di distribuzione e non si capiva perché tardassero tanto ad aprire. Esasperate le donne protestavano ad alta voce, erano furibonde, e c’era tra loro chi temeva che non ci fossero neppure quei cento grammi per tutti. […] aveva cominciato una in prima fila in faccia ai militi [che vigilavano alla porta]: "Ci ho quattro creature che me se magnano puro a me se je porto ‘sta crioletta de cento grammi! Ve volete da’ ‘na mossa! Buffoni!". Un milite la prese per il braccio e la portò fuori dalla fila, le donne cedettero che la volessero arrestare e cercarono di strapparla dalle mani della GNR: seguì un parapiglia, tutte strillavano, insultavano; poi d’improvviso, rotta la fila, si ammassarono tutte davanti alla porta del forno. La porta forzata cedette e tutte entrarono […] le donne trovarono, oltre al pane nero, anche sacchi di farina bianca, forse pronti per la panificazione per le alte gerarchie fasciste o per le truppe di occupazione tedesche".

Nei giorni a seguire e per tutto il mese di aprile, furono attaccati camion carichi di pane, come a Borgo Pio, e forni in tutti i quartieri, costringendo i tedeschi a scortare ogni convoglio e a presidiare ogni punto di distribuzione.

L’episodio più tragico si verificò il sette aprile al ponte dell’Industria, dove c’era un deposito di pane per le truppe di occupazione; le donne dei quartieri limitrofi (Ostiense, Portuense e Garbatella) avevano scoperto che il forno panificava pane bianco e che probabilmente aveva grossi depositi di farina. Il direttore del forno, forse d’accordo con quelle disperate, lasciò che entrassero e che si rifornissero di pane e farina, ma qualcuno avvertì la polizia tedesca che arrivò quando le donne erano ancora sul posto. Qualcuna riuscì a scappare ma dieci di loro furono prese e fucilate lì, in fila, contro la ringhiera. Una lapide, oggi, ricorda i loro nomi: Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiornetino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistolesi, Silvia Loggreolo. Ultima vittima di queste proteste fu Caterina Martinelli, uccisa il tre maggio a Tiburtino III:

"aveva sette figli. Il giorno dopo, sul marciapiede dove era stata uccisa la donna, qualcuno depone un cartello con la scritta: "Qui i fascisti hanno ammazzato / Caterina Martinelli / una madre che non poteva / sentir piangere dalla fame / tutti insieme / i suoi figli"."

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