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la Resistenza romana
Il ferroviere Michele
Bolgia, langelo del Tiburtino
di
Massimo Taborri
Il saggio del Capitano della Guardia di
Finanza Gerardo Severino (Michele Bolgia, langelo
del Tiburtino, edizioni Chillemi, 2011), è uno di quei lavori che non solo
contribuiscono ad arricchire la memoria della Resistenza romana di una pagina biografica
fino ad oggi scarsamente conosciuta, come quella del ferroviere Michele Bolgia, ma che
aiutano a fare luce sulla complessa trama di collegamenti, percorsi e motivazioni che la
sottendono, non sempre opportunamente conosciuti e valorizzati.
Al centro del libro vi è infatti la
ricostruzione dellattività di opposizione alloccupazione nazifascista svolta nellambito della stazione Tiburtina da
Michele Bolgia e da altri ferrovieri di quellimpianto, grazie alla collaborazione
stabilitasi con il locale corpo di guardia delle Fiamme Gialle. Unattività che si
concretizzò (in varie e documentate circostanze) nellapertura dei carri piombati
dei treni merci carichi di uomini razziati per il lavoro coatto, ebrei o renitenti alla
leva, in transito o in partenza da quella stazione e destinati al Nord: atti
rischiosissimi e operativamente non facili da eseguire, attuati nonostante la vigilanza di
soldati della Wermacht che presidiavano gli impianti ferroviari, ma capaci di restituire
la libertà e spesso anche la vita a centinaia e centinaia di persone.
Che una collaborazione
del genere tra ferrovieri e finanzieri potesse avere avuto luogo proprio a Tiburtina,
epicentro della Resistenza dei ferrovieri romani (da cui si dipanava una rete di
collegamenti con le squadre che si costituirono anche in altri impianti) poteva essere
immaginabile, ma è grazie al lavoro del Capitano Severino, direttore del Museo storico
del Corpo, che questa trama è stata oggi ricostruita.
Daltra parte era
ben nota la scelta di schieramento operata dalle Fiamme Gialle e dal loro Generale Filippo
Crimi, aderente al Fronte Militare Clandestino di Resistenza di cui era capo il Colonnello
Montezemolo. Fu in attuazione delle direttive del generale Crimi che il nucleo di
finanzieri della stazione Tiburtina, comandati dal Tenente Aladyn Korça (ventiseienne
albanese in servizio sin dal 39 presso la Legione Allievi di Roma), allindomani
dell 8 settembre del 43, si attivarono per colpire come potevano i piani delloccupante
nazista. Trovando in Michele Bolgia, un uomo pieno dumanità e di coraggio, il loro
principale riferimento grazie anche alle funzioni di guarda-merci a cui fu adibito.
Michele Bolgia non era
giovanissimo. Essendo nato a Roma nel 1894 aveva combattuto nella prima guerra mondiale.
Un esperienza comune al molti altri ferrovieri che presero parte alla Resistenza romana
(Armando Bussi, ad esempio). Figlio di un ferroviere toscano e padre di due bambini aveva
drammaticamente perduto la moglie Maria Cristina sotto il bombardamento aereo di S.
Lorenzo. Di simpatie socialiste, il suo nome non risulta però tra i 140 effettivi che
componevano le squadre di ferrovieri promosse dal PSIUP e che a Tiburtina facevano
riferimento al Capo stazione Elviso De Bernardis e a Guido Patini (cfr. Relazione sullattività di lotta armata dei
socialisti romani redatta allindomani della Liberazione da Peppino Gracceva -
comandante della organizzazione militare socialista delle Brigate Matteotti - e
controfirmato da Pietro Nenni). Lennesima riprova che lattività di Resistenza
romana andò ben al di là dei confini rappresentati dai partiti e che fu assai più ricca
delle ricostruzioni che se ne fecero a posteriori. Un dedalo complesso di fili che si
materializzarono assai spesso grazie alliniziativa di singoli o di gruppi di
cittadini mossi da spirito di solidarietà e che, quando escono dalloblìo,
riservano non poche sorprese.
Si pensi ad esempio che
gli atti darchivio custoditi presso il Museo Storico della Guardia di Finanza,
rivelano che allattività di tale gruppo
si unirono anche tre ferrovieri austriaci (Franz Pomosete, Karl Brimer e Rudolf Aureamirz,
tre autentici eroi, come ha scritto giustamente lautore), appartenenti al numeroso
corpo di ferrovieri militarizzati che il comando tedesco aveva trasferito presso gli
impianti e le stazioni del nodo di Roma, col proposito di assicurarsi il pieno controllo
della circolazione ferroviaria, soprattutto per quanto riguardava i collegamenti col
fronte di Cassino.
La Resistenza dei
ferrovieri romani fu unattività organizzata che potrebbe rientrare nella nozione di
Resistenza civile. Una serie incessante di atti di sabotaggio più o meno rilevanti che,
sommandosi ai bombardamenti alleati di linee e strutture ferroviarie, determinavano
interruzioni anche prolungate della circolazione dei treni o la necessità di ricorrere
alla circolazione su un unico binario: si andava dalla manomissione degli scambi o dei
fili dellalta tensione, al taglio dei tubi di gomma della condotta dei freni, dalla
ritardata esecuzione delle attività di manutenzione delle locomotive e delle vetture da
parte degli operai delle officine di S. Lorenzo, alla sottrazione ai tedeschi di materiale
e pezzi di ricambio destinati in Germania. Una Resistenza non armata, non a seguito di una
scelta ideologica, ma in quanto le circostanze in cui si dispiegò non richiedevano il
ricorso alle armi. Non per questo i ferrovieri romani furono meno esposti alla reazione e
alla repressione dei nazisti. Come dimostrano i sei ferrovieri che, insieme a Michele
Bolgia, furono uccisi alle Fosse Ardeatine o la vicenda del cantoniere Roberto Luzzitelli,
colpito a morte il 4 giugno del 44 mentre decideva di sminare il Ponte delle nove
luci, posto al Km. 10 della ferrovia per Viterbo, minato dai tedeschi in fuga.
Michele Bolgia fu
catturato il 14 marzo del 44 nel corso di una retata. Pochi giorni dopo lazione
gappista di Via Tomacelli, durante la quale furono lanciate delle bombe contro un corteo
di fascisti. Era appena salito sul Tram n. 8, avendo terminato il turno di notte alla
stazione Termini, dove talvolta, se necessario, veniva impiegato. La sua identità doveva
evidentemente essere ben nota ai nazisti se - diversamente da quanto accadde alla gran
parte di coloro che quel giorno vennero catturati - non fu portato nella caserma di S.
Croce in Gerusalemme, ma piuttosto a Via Tasso, nella sede della famigerata SD
(Sichereitdients) con la speranza di estorcergli qualche informazione. A Via Tasso lanziano
ferroviere rimase solo due giorni prima di essere
portato a Regina Coeli, durante i quali fece amicizia con uno dei pochi sopravvissuti alle
indicibili sevizie dei tedeschi, Pasquale Curatola, il quale nel suo diario ne ricorda la
profonda umanità (La morte ha bussato tre
volte, De
Luigi editore, Roma, 1944).
E stato grazie
allinfaticabile iniziativa del figlio Peppino Bolgia e alla relazione storica
realizzata dal capitano Gerardo Severino che è stato possibile addivenire nel luglio del
2010 alla concessione della Medaglia doro alla memoria con la seguente motivazione: Ferroviere, in servizio presso la stazione
Tiburtina, durante loccupazione tedesca contribuì con lapertura clandestina
dei vagoni piombati alla fuga e al salvataggio di molti deportati dai campi di
concentramento e venne successivamente ucciso alle Fosse Ardeatine. Mirabile esempio di
umana solidarietà ed elette virtù civiche, spinte fino allestremo sacrifico,
1943-1944. Roma.
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