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I giornali della Resistenza

La Nostra Lotta (1943-1945)
a cura di Massimiliano Tenconi
"La Nostra Lotta" fu il principale organo a stampa del Pci
nell’Italia settentrionale ed ebbe, fra i suoi maggiori estensori, Pietro Secchia,
Luigi Longo ed Eugenio Curiel. Il giornale dedicò un’attenzione costante alle
agitazioni condotte dal proletariato, pubblicando puntualmente i resoconti delle proteste
e riflettendo attentamente sulle stesse nel tentativo di trarre validi insegnamenti per
meglio indirizzare la continuazione della lotta in corso. La fabbrica e il proletariato,
ritenuti l’avanguardia dell’intero popolo italiano, furono sempre al centro
della riflessione della "Nostra Lotta" che, se da un lato indicava la necessità
di << creare un’atmosfera di guerra >>
in ogni stabilimento per alimentare continuamente lo scontro, dall’altro invitava ad
allargare anche a tecnici e impiegati il movimento d’agitazione in modo da compattare
in un unico fronte le << forze più sane, più vive, più
sinceramente democratiche del paese >>. Queste tematiche
furono accompagnate da un’incessante critica all’attesismo e da un continuo
invito all’azione affinché fossero create le condizioni favorevoli allo scoppio
dello sciopero generale insurrezionale. Attraverso il periodico è possibile seguire tutte
le diversi fasi della guerra partigiana, dal momento della nascita delle prime formazioni,
fino a quello dell’offensiva finale, prospettata nel marzo del 1945.
In tale sede saranno affrontati solo alcuni di questi temi: il rapporto
con il governo Badoglio e il ruolo assegnato ai Comitati di liberazione nazionale,
l’attenzione prestata alla collaborazione con i socialisti e i cattolici, le
strategie tracciate per coinvolgere nella lotta le donne e le campagne e, infine,
l’atteggiamento assunto nei confronti del nascente Stato jugoslavo.
Il giudizio formulato sul governo Badoglio fu negativo fin da subito.
Se era riconosciuta la necessità di un ministero << energico,
forte e attivo >>, si contestava che questo ruolo potesse
essere ricoperto da quanti avevano avuto responsabilità nel regime passato e che,
nonostante il crollo del fascismo, continuavano a rimanere i principali referenti di quei
gruppi sociali che avevano costituito la base del consenso alla dittatura. Al nuovo
governo era mossa la critica di procedere verso la "sfascistizzazione" dello
Stato come se si trattasse di una << semplice questione
burocratica >> mentre, per una decisa e reale opposizione ai
tedeschi, era necessario assumere un altrettanto deciso comportamento sia nei riguardi
della Rsi sia nei confronti di chi aveva sostenuto attivamente il regime passato. Anziché
costituire un passo avanti nella conduzione della lotta, il nuovo governo appariva quindi
come un elemento di << disgregazione e di demoralizzazione >> di quelle forze che erano disposte a << battersi
senza esclusione di colpi >> con il nemico. Solo i Cln, in
quanto diretta espressione da un lato delle forze popolari dall’altro delle parti
politiche che sempre si erano opposte al fascismo, potevano creare un governo in grado di << unire il popolo >> e di trascinarlo << alla lotta e alla vittoria >>. Al
regime monarchico badogliano, che sopravviveva << con uno
pseudo governo senza autorità e senza prestigio >>, doveva
sostituirsi il potere di questi nuovi organismi, l’unico ritenuto in grado di << saldare il movimento popolare dell’Italia occupata con
quello dell’Italia liberata >> e di indirizzarlo << verso un solo obiettivo: lotta contro tedeschi e fascisti >>. Quello che il giornale auspicava era un governo straordinario
capace di assumere tutti i poteri costituzionali, di dirigere la lotta in corso e di
assumersi l’impegno, una volta cessate le ostilità, di convocare il popolo per la
decisione in merito alla forma costituzionale da adottare in futuro. Tali posizioni, che
contrapponevano il governo delle zone libere ai Cln, furono superate solo nell’aprile
del 1944 in seguito alla cosiddetta "svolta di Salerno" che permise la
formazione di un governo d’unione nazionale. Quest’ultimo fu salutato alla
stregua di un vero passo avanti verso la libertà e verso la creazione di un paese libero,
democratico e progressivo che permetteva, essendo espressione di <<
tutti i partiti democratici, antifascisti >>, il pieno
concretizzarsi della volontà e delle aspirazioni d’ogni patriota. Ogni vecchio
contrasto, di fronte al nuovo rapporto di reciprocità che si era creato, veniva pertanto
a cadere. Il ruolo dei Cln continuava però a rimanere di vitale e fondamentale importanza
poiché, tramite essi, si otteneva la sintesi di tutti i quadri e gli organismi formatisi
in quei mesi; una realtà non ancora pienamente definita e che appariva destinata ad
allargarsi ulteriormente col proseguire della lotta, accogliendo in sé ogni esperienza
che fosse diretta espressione della volontà popolare. Questa capacità di arricchirsi
assorbendo gli istituti e le idee sorte nella lotta di liberazione, costituiva
l’elemento fondamentale per l’affermazione di una vera democrazia aperta a tutti
<< i progressi politici sociali >>
in quanto diretta << creazione del popolo stesso >>.
Tale linea, fondata sul desiderio e la volontà di dar vita ad un vasto
movimento popolare unitario, diede luogo ad alcune polemiche soprattutto con quanti,
all’interno del movimento comunista, concepivano la guerra come uno scontro fra due
identici imperialismi e contro coloro che rivendicavano un’azione dai caratteri più
marcati in senso classista. Nei confronti dei primi è emblematico, nel dicembre del 1943,
l’attacco mosso da Pietro Secchia ai fogli "Bandiera rossa",
"Prometeo" e "Stella rossa" il cui radicalismo, che sfociava di fatto
nell’inazione, era giudicato come una maschera sotto la quale si scorgeva << il bieco sanguinario volto del nazifascismo>>.
Verso i secondi, invece, la diatriba raggiunse il suo apice con la condanna del gruppo
Legnanese gravitante attorno ai fratelli Venegoni e al giornale "Il Lavoratore".
Nel marzo, alla vigilia quindi della svolta, l’intera direzione del Partito assunse
una decisa posizione nei confronti delle proposte formulate dal foglio comunista di
Legnano definendolo l’<<organo dei rottami del putrido
sinistrismo italiano e delle canaglie trotschiste >> e
sconfessandolo con l’epiteto di << giornale
controrivoluzionario >>.
Un contrasto acceso cui si sommarono, come si è già accennato, gli
energici e ripetuti interventi contro l’attendismo. Alla "Nostra Lotta", il
tergiversare e gli inviti alla prudenza, apparivano il frutto della strategia dei << grandi industriali >> preoccupati
solo di accumulare guadagni e intenzionati a dividere le forze dei Cln per poter, in tal
modo, dare vita ad un blocco reazionario. A quanti non ritenevano ancora giunto il momento
opportuno per prendere una chiara e inequivocabile posizione, il giornale contrappose
l’invito incessante all’azione a tutto campo poiché, solo tramite questa,
sarebbe stato possibile << convogliare tutte le forze sane
della nazione sulla via del progresso >>. Un richiamo ripetuto
ininterrottamente e rivolto anche gli stessi membri del Partito cui era indicato
l’obiettivo di << passare all’offensiva per
preparare nella lotta le condizioni dell’insurrezione popolare nazionale >>: imbracciare le armi, sabotare la produzione, ostacolare il
nemico con ogni mezzo possibile era il << dovere supremo >> con lo scopo di forzare la situazione e di accelerare il processo
di liberazione.
Sul versante politico "La Nostra Lotta" prestò attenzione ai
rapporti che si venivano delineando sia con i socialisti sia con i cattolici. Il patto
d’unità d’azione, siglato con il Partito socialista, fu visto come la felice
conclusione del contrasto apertosi negli anni venti e gli fu conferito il significato di
un primo passo in direzione dell’unità politica della classe operaia. Questo primo
risultato aveva il merito di trasformare il proletariato nel difensore degli interessi
della nazione consentendogli, nel medesimo tempo, di <<
promuovere e cementare l’unione di tutte le forze della democrazia italiana >>. Una democrazia che aveva il suo principale referente
nell’Unione Sovietica riconosciuta dai due partiti come <<
l’avanguardia del movimento operaio e la più sicura alleata dei popoli nella lotta
contro le forze reazionarie ed imperialistiche, per l’indipendenza e la libertà >>. Positivo fu anche il riconoscimento dell’azione condotta
dalle forze cattoliche che, con il loro comportamento, avevano permesso
l’approfondimento dei legami fra partigiani e popolazioni del contado, avevano dato
maggior compattezza ai grandi scioperi, avevano contribuito al fallimento dei progetti di
reclutamento forzato avanzati dalla Rsi e, infine, pagavano direttamente con i propri
morti il prezzo di un tale impegno.
Per via di questi indubbi meriti, e per non cadere negli errori del
passato, il Partito comunista si mostrava favorevole nel condurre con i cattolici una
politica unitaria che era valutata come l’espressione e la condizione di ogni
libertà futura. Al fine di promuovere la collaborazione, pertanto, si pronunciava contro
ogni politica anticlericale e si esprimeva in favore della libertà religiosa e di tutte
le convinzioni di fede; riconosceva inoltre alla Chiesa la libertà di esercitare le
funzioni che le erano assegnate dai cittadini. La partecipazione della Democrazia
cristiana e delle diverse organizzazioni cattoliche era ritenuta, inoltre, un presupposto
indispensabile per la costruzione di un qualsiasi governo connotato in senso democratico.
Tale considerazione varcava i limiti della semplice collaborazione dettata dalle
contingenze. L’adesione comune alla lotta in corso costituiva, infatti, la base sulla
quale edificare un nuovo ordine capace di esprimere le esigenze delle masse popolari, di
migliorarne le condizioni di vita, di difendere l’istituto della famiglia e di
affermare la democrazia in maniera completa. Una collaborazione, quella con socialisti e
cattolici, che, maturata sul terreno comune dell’opposizione al nazifascismo, era
inquadrata in un progetto più ampio destinato a sfociare nella creazione di una
democrazia progressiva.
Se la fabbrica era individuata come il fulcro della lotta e la classe
operaia italiana l’avanguardia dell’intero popolo italiano, una particolare
attenzione fu dedicata anche alle campagne. Partendo dal presupposto che era
indispensabile saldare la sua attività con quella della città poiché, senza il supporto
della prima la seconda non avrebbe potuto da sola giungere alla vittoria finale, "La
Nostra Lotta" cercò di delineare le strategie atte a coinvolgere il più possibile
la popolazione del contado. Il giornale reputava innanzitutto indispensabile dissolvere il
clima di sfiducia e di accuse mosse dalla Rsi al mondo rurale per ciò che riguardava il
proliferare del mercato nero che causava l’aumento indiscriminato dei prezzi di tutti
i generi alimentari. I profittatori, a differenza di quanto sostenevano i vertici della
Repubblica di Mussolini, non dovevano essere cercati né fra i lavoratori delle campagne
né fra i piccoli commercianti, ma erano << gli armatori, i
grandi gruppi siderurgici, le industrie belliche […] i grandi proprietari terrieri, i
grandi capitalisti agrari >> e, per finire, <<
i grandi dirigenti e i manipolatori dei consorzi agrari >>.
Era un’immagine che corrispondeva alla realtà solo in minima parte. Il mercato nero
costituì, infatti, la fortuna di persone appartenenti ad ogni classe sociale. Oltre ad
individuare i presunti responsabili seguendo un percorso ideologico chiaramente classista,
il giornale non mancava di indicare nell’intensificazione della lotta, al fine di
ottenere gli aumenti delle razioni alimentari e una loro regolare distribuzione, la via
maestra per dare una soluzione concreta al problema .
La chiave di volta per far breccia nelle campagne era individuata nella
creazione dei Comitati contadini che, attraverso i contatti con i fiduciari del Partito,
avrebbero dovuto controllare e indirizzare tutta la vita dei propri villaggi . A questi
Comitati erano affidati diversi compiti. Costruiti sulla base di tre uomini, che dovevano
godere la fiducia della maggioranza di ogni frazione di villaggio, avrebbero dovuto agire
come << governo di fatto>> con lo
scopo di unire tutti i contadini in un unico blocco e di supportare in ogni modo la lotta
partigiana. Ai Comitati spettava inoltre il compito di organizzare le Sap e di procedere
con azioni di difesa e di offesa che spaziavano dalla costituzione della polizia di
villaggio, al boicottaggio delle imposte, dalla sottrazione di viveri e di bestiame alle
requisizioni, al farsi carico del corretto funzionamento delle cooperative. <<
Ogni cascinale – scrisse Longo – deve diventare una base di aiuti e
d’appoggio per i patrioti ed i partigiani […] una fortezza, una ridotta contro i
nazifascisti >>. Per raggiungere tale risultato era però
necessario ottenere per i contadini precise conquiste di carattere economico volte a
migliorarne sensibilmente le condizioni di vita. Ai piccoli proprietari e ai fittavoli
doveva perciò essere data la possibilità di conservare i prodotti quando indispensabili
al mantenimento della propria famiglia ed essere riforniti di merci industriali; per i
braccianti, invece, appariva essenziale garantire loro un sufficiente pagamento in natura.
La mancanza di organizzazione, tipica del ceto rurale, e la sua scarsa recettività ai
Comitati contadini e ai Consigli di cascina, imponeva ai comunisti il compito di
promuovere l’unità d’azione e di interessarsi ai problemi della popolazione
contadina in modo da giungere ad una soluzione che incontrasse le loro reali esigenze. La
penetrazione nel mondo rurale fu però lenta e stentata tanto da indurre il giornale ad
invitare gli stessi operai a marciare verso la campagna per svolgervi
l’indispensabile compito educativo. Nonostante le carenze dell’azione svolta e i
non soddisfacenti risultati ottenuti, il contadino, rispetto a quanto fatto in passato,
doveva in ogni caso essere guardato sotto una nuova luce perché, riconosceva il giornale,
non era rimasto <estraneo alla lotta, ma aveva partecipato ad
essa e continuava a prenderne parte attivamente >> .
Una certa attenzione fu dedicata anche alle donne, viste come coloro
che da sempre avevano manifestato un sentimento d’avversione al regime e che non
avevano esitato a lottare apertamente sia nelle fabbriche sia nelle campagne. Il giornale
riteneva però che la loro partecipazione avrebbe dovuto essere ulteriormente ampliata e,
a tal fine, incitava a moltiplicare la formazione dei "Gruppi di difesa della
donna". Attraverso questi nuclei, le donne avrebbero dovuto fornire ogni forma di
assistenza ai partigiani e, in secondo luogo, supportare il loro impegno bellico con
un’intensa azione rivendicativa sotto il profilo economico. L’invito della
"Nostra Lotta" era quello di prendere esempio dall’atteggiamento tenuto
dalle donne in tutti i paesi occupati e, in modo particolare, da quello assunto dalle
donne russe capaci di occupare un ruolo preminente nella conduzione della stessa lotta
militare. Gli imponenti scioperi del marzo imposero, come per altre questioni,
un’importante occasione di riflessione in merito al lavoro svolto fino ad allora. Se
le agitazioni di protesta avevano mostrato in tutte le località in cui si erano svolte la
combattività e la maturità delle masse femminili, il giornale non mancava di cogliere
alcuni aspetti negativi. Raramente, si segnalava, le donne erano riuscite ad avanzare
rivendicazioni specifiche e assente appariva anche un’adeguata struttura organizzata
presso le massaie; nelle commissioni di fabbrica, infine, il coinvolgimento femminile era
ancora lontano dall’essere soddisfacente. Nonostante l’impegno profuso il
giudizio finale era quindi assai drastico: << i nostri sforzi
sono stati insufficienti >> e, gli stessi risultati raggiunti,
apparivano nel complesso contrassegnati da << scadente
qualità >>. I limiti individuati nell’insieme del
movimento femminile non risparmiavano neppure le stesse donne di orientamento comunista.
Se queste avevano assunto un ruolo di primo piano ponendosi alla testa delle masse
femminili, il loro numero in posizioni direttive non era ritenuto ancora adeguato. Era
perciò necessario inserirle nel modo più organico nei partiti aderenti ai Cln e
conferire una maggiore unità a tutti i "Gruppi di difesa". Inoltre, per dare
un’appropriata soluzione ai problemi peculiari delle donne, appariva di fondamentale
importanza costituire dei comitati di partito che affrontassero la questione femminile in
tutte le sue pieghe e in tutte le sue implicazioni .
Con un occhio di riguardo fu osservata anche l’esperienza della
Jugoslavia il cui modello poteva costituire un ponte verso l’ideale Stato
rappresentato dall’Unione Sovietica. Dopo aver riportato l’intervento di un
militante juogoslavo che illustrava la nascita del fronte popolare e il suo progressivo
rafforzamento durante la lotta contro il nazifascismo, in occasione del 25° anniversario
della nascita del Partito comunista jugoslavo e terzo anno della costituzione del fronte
di liberazione sloveno, "La Nostra Lotta" ripercorreva le tappe di questo
cammino sottolineando il merito dei seguaci di Tito capaci di aver creato un’<< unità politica e di lotta di tutti i popoli, di tutte le classi
e di tutti i ceti sociali >> che assumeva il volto di un << movimento nazionale integrale >>: un
esempio per tutti i popoli coinvolti in quel momento nella lotta di liberazione. Ma per i
comunisti italiani la Jugoslavia rappresentava qualcosa di più: era per mezzo delle genti
balcaniche, infatti, che il popolo italiano si sarebbe collegato all’Urss. Per cui, i
soldati guidati da Tito, non solo dovevano essere accolti alla stregua delle forze anglo
americane presenti nell’Italia liberata, ma dovevano essere guardati come << fratelli maggiori >> che erano stati
in grado di indicare la via della rivolta contro l’oppressione e di creare << nuovi rapporti di convivenza e di fratellanza >>
che sfociavano in una nuova democrazia sorta nel fuoco della lotta di liberazione. Queste
premesse portavano "La Nostra Lotta" ad invitare i comunisti italiani ad unire
tutte le forze antifasciste in modo che fosse pienamente appoggiata ogni iniziativa in
campo militare intrapresa dal fronte di liberazione sloveno, cui spettavano, nelle zone
dove le competenze si giustapponevano, anche la direzione politica e la definizione degli
obiettivi da conseguire.
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