Una brutta pagina di storia
        rimossa: il massacro di Bari del 28 luglio 1943
        Bari, mattina del 28 luglio 1943: diffusasi la notizia che sarebbero stati liberati i
        detenuti politici, un gruppo di giovani si muove per andare loro incontro. Strada facendo
        si forma un corteo di circa duecento persone, tra cui molti studenti, che si ferma davanti
        alla sede della Federazione fascista, presidiata dallesercito, per chiedere la
        rimozione dei simboli del regime. Improvvisamente parte il fuoco contro i manifestanti:
        alla fine si contano venti morti, trentotto feriti. 
        «Ma il loro numero non è stato mai definitivamente accertato» ricorda Vito Antonio
        Leuzzi nell«Introduzione» a «Memoria di una strage», un libro recentemente
        pubblicato a Bari dalle Edizioni dal Sud (pp. 168,  10,00), curato da Giulio
        Esposito e dallo stesso Leuzzi, dellIstituto pugliese per la Storia
        dellantifascismo e dellItalia contemporanea. Realizzato con il contributo
        dellUniversità di Bari, il testo raccoglie una serie di testimonianze e di
        documenti che riguardano, direttamente o indirettamente, leccidio avvenuto nel
        capoluogo pugliese. Ancora Leuzzi sottolinea che questa strage rappresenta «il segno
        palese della politica di violenta restaurazione imposta dalle forze
        monarchico-badogliane». 
        Lepisodio non è stato mai dimenticato a Bari: un altro lavoro sulla vicenda
         «Qui radio Bari» (Dedalo, Bari, 1993, pp. 160, lire 25.000), infatti, era stato
        pubblicato tempo fa da Antonio Rossano. 
         
        La ricostruzione attraverso i materiali più vari 
        La ricerca di Leuzzi ed Esposito ha inizio con gli avvenimenti del 2 aprile 1942,
        quando un rapporto dellOvra segnala lesistenza di un «occulto movimento
        liberal-socialista» che fa capo in Puglia a Tommaso Fiore. 
        Informative della polizia e dei carabinieri, disposizioni, relazioni del prefetto di
        Bari, verbali, segnalazioni, lettere dal carcere, resoconti apparsi sulla stampa del
        Comitato di liberazione nazionale, memorie e scritti di protagonisti: tutta questa
        documentazione offre un quadro ampio e dettagliato della vicenda. Né mancano i documenti
        processuali e la sentenza del Tribunale militare territoriale di Taranto che, il 7 gennaio
        1944, assolse, per insufficienza di prove, un sergente, accusato di essere intervenuto nel
        corso della manifestazione e di aver cominciato a sparare. 
        Si può anche rileggere, a tal proposito, un editoriale apparso in quei giorni su «La
        Gazzetta del Mezzogiorno», lunico quotidiano che non sospese le pubblicazioni
        durante la guerra, neppure per un giorno, e che fu accusato di aver scatenato la
        manifestazione. Leditoriale era a firma di Luigi de Secly, allora redattore capo del
        giornale, vicino a Benedetto Croce. 
         
        Il ruolo di Tommaso Fiore 
        Dalle carte darchivio e dalle testimonianze, emerge il ruolo di primo piano
        svolto da Tommaso Fiore  già collaboratore della «Rivoluzione liberale» di Piero
        Gobetti prima, del «Quarto Stato» di Carlo Rosselli poi  che proprio in
        quelloccasione perdette il figlio liceale. Egli sarà tra i protagonisti del
        Congresso del Cln di Bari del 28-29 gennaio 1944 e, nel Dopoguerra, avrà tra i suoi
        interlocutori personaggi quali Norberto Bobbio, Guido Dorso e lattuale presidente
        della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. 
        La documentazione rivela, inoltre, il coinvolgimento, tra gli altri, di Guido Calogero,
        Aldo Capitini, Ernesto De Martino, Guido De Ruggero, Carlo Ludovico Ragghianti e della
        casa editrice Laterza. In uno dei documenti disponibili, infatti, è possibile leggere che
        «[si] lascia allapprezzamento degli Organi Superiori di considerare se non convenga
        promuovere lintervento governativo ai fini di un adeguato controllo,
        nellinteresse politico dello Stato sulle aziende dipendenti dalla Casa Editrice
        "Giuseppe Laterza e figli in Bari", la quale è da troppo tempo ricettacolo di
        fermati intellettuali antifascisti». 
        Questi ultimi facevano parte del gruppo che si riuniva intorno a Croce. 
         
        Gianni Custodero