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Dibattito Salò
Quella lettera che ha ispirato le
parole di Ciampi su Salò
Gratitudine da destra, qualche
polemica da sinistra, ma soprattutto un rumoroso silenzio: il risarcimento morale concesso
domenica da Carlo Azeglio Ciampi ai combattenti del fascismo repubblichino, ha scosso la
politica più di quanto non rivelino le reazioni che ne sono venute. Infatti, sentire che
il presidente della Repubblica riconosce a molti «ragazzi di Salò» daver agito
«credendo di servire lonore della patria», «animati dal sentimento dellunità»,
è stato percepito come uno strappo eccessivo, rispetto alle letture storiche ortodosse.
Insomma: un atto di comprensione troppo azzardato, quasi una voce dal sen fuggita. E
invece quelle frasi sono nate da una riflessione durata mesi, dopo che al Quirinale era
giunta una lettera che raccontava una drammatica storia familiare. A scriverla, nel marzo
scorso, è il senatore di An Piero Pellicini, che domanda al capo dello Stato «una parola
pubblica di pace e di rispetto anche per coloro che ritennero di fare il proprio dovere
combattendo dallaltra parte». Una richiesta che il parlamentare avanza dopo aver
letto i resoconti del viaggio presidenziale a Cefalonia, e certi commenti sul controverso
tema della «morte della Patria» dopo l8 settembre 1943. Per Pellicini quel giorno
di disinganni e inettitudini segnò invece una «voglia di Patria» che «si concretò
anche nel sacrificio dei ragazzi che andarono a Salò», spinti appunto «dal concetto di
Patria e Onore».
Uomini come il nonno, il padre, uno zio, un cugino, dei quali racconta le traversie, prima
di sollecitare a Ciampi un intervento in modo che «i grandi valori della Nazione si
ricompongano».
Il presidente ci pensa sopra per qualche giorno, e poi risponde, dichiarandosi vicino al
senatore di An nel «desiderio di concorrere a rafforzare la coesione nazionale». Sì a
una sutura, ma senza revisioni e avendo chiaro «il giudizio storico» sulla Repubblica di
Salò. Sottolinea: fu «creata in antitesi allo Stato legittimo, il Regno dItalia,
che non cessò di esistere fino al referendum del 2 giugno 46». Il che certifica,
secondo lui, la continuità istituzionale del governo Badoglio. Poi, dopo aver ricostruito
le tante facce della Resistenza, aggiunge: «Non si può dimenticare» che quel fascismo
agonizzante «appoggiò la causa del nazismo», «anche se scelte individuali di adesione
furono ispirate al convincimento di fare in tal modo il proprio dovere». Ecco il
passaggio che, «in spirito di riconciliazione», attribuisce onore ai vinti. Ecco il
ragionamento che dà una patente di moralità pure a tanti «ragazzi di Salò».
(Corriere della Sera, 17 ottobre 2001)
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