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Dibattito Salò

Due o tre cose che conosco di Salò

di Antonio Tabucchi

Caro Direttore,
vedo con soddisfazione che sul tuo giornale, dopo il mio articolo sulle parole del Presidente Ciampi sulla Repubblica di Salò, si è aperto un ampio dibattito. Esso palesa un disagio diffuso nell’opinione pubblica e allo stesso tempo la voglia di discutere i giudizi che vengono pronunciati con solennità ma che spesso prescindono dalla realtà storica che il nostro Paese ha vissuto.
La discussione è l’ossigeno della democrazia, perché come diceva uno che se ne intendeva nessuna democrazia è perfetta ma sempre perfettibile. In Italia, poi, essa mi sembra più perfettibile che altrove. E poiché sono convinto che la Storia non si fa con asserzioni astratte ma con documenti, credo che se essa oggi, in alcuni casi, si può prestare a una riscrittura, significa che gli inequivocabili documenti che essa ci ha lasciato non sono stati sufficientemente difesi dalla memoria nazionale che avrebbe dovuto farne patrimonio di libertà, di democrazia, di sentimento dell’unità del Paese e di insegnamento per i giovani.
Credo che un giornale come il tuo, in questo momento di apnea storica che l’Italia sta vivendo potrebbe dare il suo modesto contributo per illustrare agli italiani alcuni momenti, alcuni episodi e alcune figure della nostra storia recente che le giovani generazioni ignorano perché la scuola italiana, nel licenziarli, li lascia senza informazione sul nostro passato prossimo.
Ti faccio perciò una proposta: quella di intraprendere dei servizi informativi di carattere storiografico che credo possano essere assai utili. E per esempio, proprio sulla repubblica di Salò, potresti partire dalla Toscana, che è la mia regione e pubblicare documenti e testimonianze sulla banda di repubblichini che imperversava negli anni di Salò a Firenze, la cosiddetta «Banda Carità». A Firenze, sulla via Bolognese, all’angolo con viale Trieste, c’è un brutto edificio dove una lapide, con le parole di Piero Calamandrei, ricorda le nefandezze che i repubblichini della Banda Carità compivano in quel loro quartier generale: torture sistematiche, assassini, violenze di ogni genere. Certo che un bravo giornalista che abbia voglia di documentarsi negli archivi fiorentini unito a un volenteroso cronista che rintracci i sopravvissuti di quelle torture (ci sono molti fiorentini ancora viventi che passarono in quelle famigerate stanze: devono avere all’incirca l’età del presidente della Repubblica), potrebbero efficacemente illustrare ai lettori le imprese di quei «ragazzi di Salò». Poi alla fine dei servizi, che possono essere estesi ad altre regioni, saranno gli stessi lettori a decidere se costoro avevano come ideali l’onore della patria e l’unità d’Italia. La verità è concreta, diceva Bertold Brecht. Vogliamo provare a verificarla? Un cordiale saluto.

(L'Unità, 26 ottobre 2001)

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