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Il sacrificio dell'Ucraina pianificato da Stalin

di Gabriele De Rosa

La mano spietata del leader sovietico colpì, esattamente settant'anni fa, il popolo ucraino. Attraverso una terribile carestia architettata ad arte costrinse all'esodo di massa i contadini di quella regione. E quegli eventi erano noti a Mussolini.

Due Paesi, Polonia e Ucraina, che hanno conosciuto per mezzo secolo le manomissioni ideologiche della loro coscienza nazionale, hanno avviato da alcuni anni un grande progetto di ricostruzione della loro storia, del loro passato, teso ad individuare la loro identità anche nel rapporto con l'Europa, sino a rivedere, in uno spirito di conciliazione, i conflitti, talvolta assai violenti, che hanno caratterizzato i rapporti tra la Polonia e i Paesi vicini dell'Est, nell'età moderna. Pensiamo a certi luoghi comuni, ancora oggi diffusi tra persone istruite, che - come osserva lo storico Ettore Cinnella - «continuano a parlare dell'Ucraina come di una vasta provincia della Russia, staccatasi da Mosca chissà per quali ragioni». D'altra parte, l'ignoranza dell'ucraina, Atlantide sommersa, che mostrano politici, studiosi e uomini di cultura anche del nostro tempo, ha ascendenze lontane nei secoli, quando l'Ucraina aveva perso il suo Stato ed era stata incorporata dai due potenti vicini: sotto lo Stato polacco-lituano era diventata una provincia di questo Stato, sotto lo zar era diventata una provincia dell'impero-russo.
Uno dei più intricati, drammatici e affascinanti problemi della storia e della cultura europea dell'ultimo millennio rimane ancora avvolto «nella fittissima nebbia di fole secolari». Esiste al centro dell'Europa dell'Est una terra che si chiama Ucraina: ma quanto ne sappiamo della sua storia religiosa, civile, economica, politica? Che ci sia stato, ad esempio, un movimento nazionale ucraino già sotto lo zar russo, prima quindi della Rivoluzione bolscevica, è storicamente certo, tuttavia non pare noto ai più. La nascita della Repubblica ucraina avvenne nel novembre 1917. Il 9 febbraio 1918, con il “trattato del pane”, l'Ucraina riuscì ad ottenere il riconoscimento delle potenze centrali in cambio dei rifornimenti del pane. In breve, quella distinzione fondamentale che a noi oggi sembra ovvia, pacifica, fra la “Russia”, “l'Impero”, la “Russia sovietica” e “l'Unione Sovietica” (URSS) fino a Gorbaciov, non si affacciò nemmeno alla lontana nei discorsi che si fecero attorno al tavolo della pace alla fine dell'ultima guerra mondiale. Eppure, c'erano uomini politici, di cultura, intellettuali che ammonivano a non negoziare la pace secondo i «criteri delle sfere d'influenza».
Fra questi contiamo una figura a noi molto cara, Luigi Sturzo, che già nel corso del conflitto mondiale, nel 1942, durante il suo esilio negli USA, scrivendo all'amico Jacques Maritain (11 giugno 1942), polemizzava con la rivista cattolica “The Commonweal” in cui si sosteneva che alla fine della guerra i Paesi baltici avrebbero potuto accettare, per la loro stessa sicurezza, una forma di tutela da parte della Russia. Ma prima ancora, nel 1929, Sturzo aveva denunciato la politica di “assimilazione” dei grandi Stati verso le minoranze. «Se nell'avvenire una minoranza di oggi, per qualsiasi processo economico e politico, diviene relativamente self-sufficient, con proprio spirito culturale e propri attività, e sente il bisogno di rivendicare la propria autonomia, questo insieme diviene in fondo quel che si chiama diritto di nazionalità. Il caso Croazia, nello Stato iugoslavo, è uno di questi casi. Col tempo l'Ucraina potrebbe acquistare propria personalità economica e politica, e allora forse vorrà essere una nazione indipendente».
Per superare i criteri delle “sfere d'influenza” delle grandi potenze, quei criteri che furono applicati duramente anche negli anni della guerra fredda, c'è voluto il crollo del Muro di Berlino. Da allora è incominciato alla grande un processo di revisione storiografica nei Paesi del Centro est, una revisione che, come è stato detto, è ancora «in costruzione».
Quest'anno ricorrono i settanta anni da quando Stalin scatenò in ucraina e nei vicini territori dei cosacchi una carestia, provocata, costruita artificialmente «attraverso un'orgia di violenze», come è stato detto, che determinò l'esodo di massa dei contadini ucraini. Questi drammatici eventi che hanno profondamente segnato la storia dell'Ucraina (vedi Avvenire del 20.2) erano noti a Mussolini attraverso i rapporti diplomatici. Nel secondo dopoguerra il pubblico poté apprenderli attraverso le memorie di Kravcenko, uscite per Longanesi nel 1948. Ma i rapporti, le lettere dei diplomatici italiani in Ucraina, sono stati portati a conoscenza del nostro pubblico solo nel 1991, con il libro di Andrea Graziosi, Lettere da Kharkov.
Decisamente il secolo che lasciammo due anni fa, non può dirsi «un secolo breve», concluso e definito, esso in realtà si prolunga in quella memoria che abbraccia e avvolge il destino di un popolo. L'Europa di Bruxelles non può dimenticare, occorre capire che l'entità di questa storia di genocidi, ucraino, armeno, ebraico, zingaresco, è un obbligo morale, culturale, in senso lato, religioso (diritti umani), è il titolo più alto, starei per dire, “riparatore”, in nome dell'umanità, per accedere nell'Europa più larga, civile, democratica e umana.

(Copyright L'Avvenire, 5 marzo 2003)


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