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Peggio Stalin o Hitler?
di Arrigo Petacco
L'anniversario della morte di Giuseppe Stalin 50 anni fa, il 5
marzo 1953, quando il dittatore aveva 73 anni oltre a consentire ai pochi e
malinconici nostalgici del culto della personalità di levare suffragi alla memoria del
«grande e amato capo del popolo lavoratore» come lo definivano con reverenza Togliatti e
i suoi seguaci, ha anche riaperto il gioco della comparazione. Chi era più criminale, chi
ne ha ammazzati di più, chi si merita di finire più in giù dell'altro nelle profondità
dell'inferno: Hitler o Stalin? Io me ne guarderò bene dal dare una risposta perché non
sarà certo la cinica conta dei milioni di cadaveri, a stabilire il primato fra i due
principali protagonisti negativi del secolo scorso.
Non ho invece la minima esitazione a indicare il più ipocrita: l'Oscar della doppiezza
spetta a Giuseppe Stalin. Hitler, a modo suo, era sincero. Non ha mai tenuto nascosta la
sua volontà di sopraffare, il suo razzismo sanguinario. Da quando pubblicò il Mein Kampf
nel 1921, il futuro Fuhrer non ha mai fatto mistero dei suoi infernali progetti e chi
aderì al suo movimento sapeva di entrare a far parte di una congrega di malfattori.
Stalin invece ingannò per decenni il suo e altri popoli promettendo il Paradiso in terra
per i lavoratori di tutto il mondo e realizzando invece un sistema infernale che dovunque
è stato applicato ha prodotto soltanto miseria, fame, ingiustizia e morte.
Ancora oggi a 50 anni dalla morte di Stalin e a 10 dall'implosione epocale dell'Unione
Sovietica, c'è qualcuno (soprattutto sui libri di scuola, purtroppo) che si ostina a
«salvare» la memoria di Stalin ammettendo certi suoi errori più o meno gravi ma
sottolineando che a lui si deve l'industrializzazione dell'Unione Sovietica e soprattutto
la vittoria delle democrazie occidentali nella seconda guerra mondiale. Ora, a parte il
fatto che lo sviluppo industriale dell'Unione Sovietica costò un tale prezzo di sangue
che fa ancora inorridire, è sullo Stalin salvatore delle democrazie che vorrei
soffermarmi. Stalin infatti non salvò affatto le democrazie occidentali dalla minaccia
nazista ma al contrario ne fu salvato. Molti ancora oggi non sanno o non amano ricordare
che nei primi due anni del secondo conflitto mondiale l'Unione Sovietica fu alleata e
complice della Germania nazista. Dall'agosto del 1939, quando firmò il patto di amicizia
con Hitler, al giugno del 1941 quando con l'«operazione Barbarossa» le armate naziste
aggredirono l'Unione Sovietica a tradimento, Stalin aveva sempre aiutato l'«amico» di
Berlino a realizzare i suoi piani di conquista. Con Hitler Stalin si spartì la sventurata
Polonia, d'accordo con Hitler si impadronì della Bessarabia, dei tre paesi baltici
(Estonia, Lituania, Lettonia) e cercò infine di piegare la resistenza degli eroici
finlandesi. Non solo: anche quando la svastica sventolava ormai su tutte le capitali
europee e l'Inghilterra sembrava ridotta al lumicino, Stalin continuò volenterosamente a
rifornire di materie prime le industrie belliche tedesche e continuò anche quando, alla
vigilia dell'aggressione, la Germania aveva improvvisamente congelato i propri
rifornimenti verso l'Urss. Il 21 giugno 1941, l'inizio
di «Barbarossa» fu ritardato di alcune ore per consentire a un treno sovietico carico di
preziosa gomma, di oltrepassare il confine russo-tedesco. Poi come è noto le divisioni
corazzate germaniche penetrarono in Russia «come una baionetta in un pane di burro». Se
Hitler non avesse calcolato male i tempi e se le democrazie occidentali e soprattutto gli
Stati Uniti con i loro convogli artici non avessero rimpinguato di armi e di mezzi
l'esauste risorse sovietiche, difficilmente l'Armata rossa avrebbe trovato la forza di
reagire.
L'imputazione quasi giudiziaria che oggi grava su Stalin è quella della smisurata
falcidia di vite umane. In questo, milione più milione meno egli eguaglia certamente
Hitler ma con una differenza. Salvo il colonnello Roehm, che fece uccidere nella famosa
«notte dei lunghi coltelli» perché gli insidiava il potere, Hitler fu leale e
collaborativo con tutti i suoi principali gerarchi. Stalin invece, tutto istinto,
rozzezza, crudeltà, passionalità vendicativa, in nome di un idilliaco paradiso
socialista che non arrivava mai, portò milioni di individui a morte, comprese schiere di
comunisti sinceri che credevano ciecamente in lui. L'immane carneficina cominciò subito
dopo la sua conquista del potere. Liquidò per primi gli altri membri della «cinquina»
dei possibili eredi nominati nel famoso testamento di Lenin fra i quali forse non a caso
lui era collocato all'ultimo posto (Trotzcky, Bucharin, Kamenev, Zinoviev e Stalin) poi
liquidò il 95% dei componenti del comitato centrale, quindi il 90% dello stato maggiore
dell'Armata rossa con in testa il famoso maresciallo Tukacewsky; e il tragico balletto
delle cifre potrebbe continuare a lungo. Ancora alla vigilia della sua morte, Stalin aveva
appena avviato «il caso dei medici» prologo di una nuova purga che puntava a eliminare
tutti i suoi possibili concorrenti e in particolare l'altro genio del male Laurenti Beria
il quale, secondo alcune ipotesi, avrebbe giocato d'anticipo affrettando la fine del
dittatore.
Oggi il mito di Stalin è ancora vivo e sopravviverà a lungo. Non c'è dubbio infatti che
l'uomo ha lasciato una profonda impronta nella storia del mondo. Ancora a lungo storici e
studiosi si affanneranno per studiare la complessa psiche di questo personaggio che fu
certamente l'uomo più amato e più odiato della storia. Continueranno anche a cercare di
individuare la molla segreta che fece scattare nel rozzo ex-seminarista di Tbilisi la sua
inarrestabile volontà di potenza. Fra le ipotesi finora avanzate ne sono emerse anche di
singolari. L'ultima, più curiosa, addebita il temperamento di Stalin alla sua statura. Il
«piccolo padre» era infatti piccolo di nome e di fatto. Misurava appena un metro e
cinquantotto.
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