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Dossier: La strage di Marzabotto

Ciampi: delitti indescrivibili vogliamo che siano puniti

E’ mai possibile che alcune nostre «alte autorità» abbiano potuto coprire per quasi sessant’anni i responsabili delle stragi naziste in Italia? E’ serio che nessuno abbia mai perseguito le «iene in divisa nera» che hanno fatto massacro di tanti civili innocenti? No, secondo Ciampi non è possibile né serio: nessuna «ragion di Stato» (per non imbarazzare la Germania divenuta un alleato chiave contro l’Urss) vale come alibi per non aver reso giustizia ai morti. E nessuno deve quindi credere che a Roma ci si sia rassegnati a considerare archiviato quel capitolo. Il presidente lo dice tra Marzabotto e il vicino paese di Vergato - al quale consegna la medaglia d’oro per gli oltre cento bombardamenti -, nel giorno in cui il collega tedesco chiede scusa a nome della Germania. «Venne lasciata mano libera a criminali», rievoca il nostro capo dello Stato, «per delitti che oggi si fatica perfino a descrivere con le parole». «E che tutti», sillaba, «vogliamo ancora puniti dalla giustizia».
Ecco: è in questa chiave di una riconciliazione che comunque non esclude la verifica delle responsabilità dei nazisti superstiti, il bilanciamento di Carlo Azeglio Ciampi alla missione di Johannes Rau a Marzabotto. Una doppia svolta, accolta con gratitudine dai reduci che affollano il pianoro sul Monte Sole. Come Franco Lazzarini, che in quell’autunno del ’44 aveva sette anni, e che fu messo al muro una dozzina di volte in tre giorni, sempre scampando alla morte: è da allora che ha i capelli bianchi. O come Fernando Piretti, scampato ai mitra nell’oratorio di Carpiano, per il quale «era ora che arrivasse questo momento, anche se è tardi», ma che più in là di questo non si spinge: «Non mi chiedano di perdonare quelli che hanno massacrato mia madre e mia sorella, questo non lo posso fare».
Ciampi e Rau annuiscono con comprensione. Stringono mani. Baciano i due bimbi undicenni, Maria Elena Girolami e il mezzo tedesco (per parte di madre) Daniele Vecchi, chiamati a far da testimonial della cerimonia davanti alle rovine della chiesa. Ma non è facile chiudere con questo «passato che non passa»: nelle stesse ore, a Roma, il vicepresidente dell’associazione partigiani Tino Casali, elogiando il gesto di Rau, polemizza a distanza con il ministro di An, Mirko Tremaglia. E recrimina che la «stessa sensibilità non sia stata dimostrata» da quanti, come lui, hanno militato nella Repubblica di Salò, ed «hanno quindi le loro vittime da farsi perdonare». Quindicimila vittime, precisa Casali, mettendo SS, brigate nere, fascisti e repubblichini fra i carnefici.

(Corriere della Sera, 18 aprile 2002)

 

 

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