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Dossier: le Foibe e la questione di Trieste
Giù
le mani dalle foibe
di Enzo Collotti
I fatti ci hanno dato ragione. I timori che avevamo espresso fin da
quando fu istituito il giorno del ricordo si sono puntualmente avverati. Anche dalle più
alte cariche dello Stato si è sentito il dovere di enfatizzare una retorica che non
contribuisce ad alcuna lettura critica del nostro passato, l'unica che possa servire ad
elevare il nostro senso civile, ma che alimenta ulteriormente il vittimismo nazionale. Per
questo vogliamo ribadire quanto scrivevamo già due anni fa con la prima Giornata del
Ricordo per onorare le vittime delle foibe.
Non era difficile prevedere che collocare la celebrazione a due settimane dal Giorno della
Memoria in ricordo della Shoah, avrebbe significato dare ai fascisti e ai postfascisti la
possibilità di urlare la loro menzogna-verità per oscurare la risonanza dei crimini
nazisti e fascisti e omologare in una indecente e impudica par condicio della storia
tragedie incomparabili, che hanno l'unico denominatore comune di appartenere tutte
all'esplosione sino allora inedita di violenze e sopraffazioni che hanno fatto del secondo
conflitto mondiale un vero e proprio mattatoio della storia. Nella canea, soprattutto
mediatica, suscitata intorno alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i
massimi responsabili la cosa più sorprendente è l'incapacità dei politici della
sinistra di dire con autorevolezza ed energia: giù le mani dalle foibe! Come purtroppo è
già avvenuto in altre circostanze, l'incapacità di rileggere la propria storia,
ammettendo responsabilità ed errori compiuti senza per questo confondersi di fatto con le
ragioni degli avversari e degli accusatori di comodo, cadendo in un facile e ambiguo
pentitismo, non contribuisce - come fa il discorso del presidente Napolitano - a fare
chiarezza intorno a un nodo reale della nostra storia che viene brandito come manganello
per relativizzare altri e più radicali crimini.
La vicenda delle foibe ha molte ascendenze, ma certamente la più rilevante è quella che
ci riporta alle origini del fascismo nella Venezia Giulia. Sin quando si continuerà a
voler parlare della Venezia Giulia, di una regione italiana, senza accettarne la realtà
di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto
interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla
compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna
dell'italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell'italianità
sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere
quando parliamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il
discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l'Europa e
il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro
paese.
Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del
fascismo contro le minoranze slovena e croata (senza parlare dei sudtirolesi o dei
francofoni della Valle d'Aosta) addirittura da prima dell'avvento al potere; della brutale
snazionalizzazione (proibizione della propria lingua, chiusura di scuole e amministrazioni
locali, boicottaggio del culto, imposizione di cognomi italianizzati, toponimi cambiati)
come parte di un progetto di distruzione dell'identità nazionale e culturale delle
minoranze e della distruzione della loro memoria storica?
I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a
rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della
superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un
complottardo in ogni straniero, che volevano impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi per
conservare all'Italia il monopolio strategico ed economico dell'Adriatico. Che cosa sanno
dell'occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della
provincia di Lubiana al regno d'Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che
poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti
italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel
Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega?
Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni
cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni
politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più
acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe,
dell'esodo dall'Istria.
Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità,
estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di
molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più grandi di lui, può anche non importare
capire l'origine delle sue disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o
anche più modestamente quello dell'educatore deve avere la consapevolezza dei messaggi
che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un messaggio dimezzato,
unilaterale. Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il
Movimento sociale (Msi) un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma
delle foibe e dell'esodo per rinfocolare l'odio antislavo; rintuzzare questo approccio
può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l'unico modo serio per
non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello
scontro nazionalistico e della guerra fredda.
I profughi dall'Istria hanno pagato per tutti la sconfitta dell'Italia (da qui bisogna
partire ma anche da chi ne è stato responsabile), ma come ci ha esortato Guido Crainz (in
un prezioso libretto: Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa,
Donzelli, 2005) bisogna sapere guardare alle tragedie di casa nostra nel vissuto delle
tragedie dell'Europa. Non esiste alcuna legge di compensazione di crimini e di
ingiustizie, ma non possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie
di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall'Istria, ma l'Italia del dopoguerra non fu
sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero dire coloro che tornavano (i più
fortunati) dai campi di concentramento - di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui
racconti non venivano ascoltati? E gli ex internati militari - centinaia di migliaia - che
tornavano da una prigionia in Germania al limite della deportazione?
La storia della società italiana dopo il fascismo non è fatta soltanto del silenzio
(vero o supposto) sulle foibe, è fatta di molti silenzi e di molte rimozioni. Soltanto
uno sforzo di riflessione complessivo, mentre tutti si riempiono la bocca d'Europa, potrà
farci uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.
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