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Dossier: Porzus
Porzus, una Yalta giuliana
Il saggio storico di Giovanni Gozzer
La resistenza al fascismo in Friuli non aveva atteso l'8 settembre. Da vari mesi la
rete clandestina comunista aveva stretto legami con i partigiani dell'Armata di
liberazione jugoslava (Novj). Dar vita alle formazioni garibaldine in Friuli e farne lo
strumento militare di sabotaggio e di attacco alle retrovie tedesche, fu cosa immediata.
Clandestini friulani che già negli anni dell'occupazione nazi-italiana della Slovenia
erano affluiti alle schiere del Novj passarono facilmente sul versante italiano, con la
loro esperienza di guerriglia. Il nome Osoppo viene dal piccolo borgo di fronte a Gemona,
dove nacquero i "corpi franchi" delle insurrezioni risorgimentali
quarantottesche; nome e fazzoletto verde in luogo di quello rosso dei garibaldini fanno
già simbolo. La "Brigata Osoppo" nasceva dalla convergenza tra aderenti al
Partito d'azione (Pda) intellettualmente agguerrito ma privo di base popolare, cattolici,
presenti come DC nel Comitato di liberazione CLN, e indipendenti. Guidati in un primo
tempo dai due capitani Grassi-Verdi e Cencig-Manlio, e da DeLuca - Aurelio
(in corsivo i nomi di battaglia), scelsero come base per il reclutamento e le prime azioni
l'eccentrico e disabitato castello Ceconi a Pielungo, nella val d'Arzino. E formarono i
primi reparti, rifornendosi di armi attraverso i lanci aerei organizzati dalle missioni
alleate.
Si presentò subito la questione dei rapporti con le formazioni garibaldine. Se comune
appariva la guerra all'occupante tedesco, diverse erano le posizioni relative al
"dopo" e cioè alla sistemazione dei confini a conflitto concluso. I trattati
del 1924 avevano inserito nel territorio italiano ampie regioni miste o a dominanza slava;
correzioni e rettifiche apparivano ovvie; ma le rivendicazioni slave erano inaccettabili
per gli osovani.
La resistenza friulana agiva entro una specie di quadrilatero. Ad uno dei vertici, sopra
il CLN udinese, il Comitato regionale veneto (CRV) e il CLN - Alta Italia. Al secondo e al
terzo vertice, in posizione collaborativa per la lotta antigermanica ma nettamente opposta
sulla linea politica, gli osovani e i garibaldini. I periodici tentativi (ve ne furono per
lo meno una ventina) di creare un comando unificato finirono quasi sempre per arenarsi.
Gli osovani, dietro ai garibaldini vedevano le forze del IX Corpus sloveno. Al quarto
vertice, le missioni militari alleate. Quelle americane facevano capo all'OSS (Overseas
Special Service), quelle inglesi allo Special Executive, OSE. Esclusivamente militari
quelle britanniche (citiamo la più nota, anche per la documentazione lasciata agli
archivi Osoppo, la Nicholson-Bergenfield). Diversa la composizione delle missioni
americane che potevano avere carattere militare come quelle inglesi (la missione Lloyd
Smith - Eagle) ma potevano anche essere missioni di vera e propria
"intelligence" operativa, come le missioni Michelagnoli-Texas e Franco-Chicago.
E qui il discorso si fa più complesso. Che tra le varie missioni ci fossero, nei
confronti delle formazioni osovane e garibaldine, valutazioni diverse e spesso
contrastanti è un fatto. Ed altresì che le missioni inglesi operassero con maggior
prudenza delle missioni americane nei confronti delle formazioni comuniste. Le missioni
OSS consentirono talvolta ai loro membri italiani di assumere dirette responsabilità
militari. Sul comportamento di queste missioni e dello stesso OSS vi furono successive
polemiche, anche fra gli storici. Talvolta membri di queste missioni erano sospettati di
essere ideologicamente corrivi alle posizioni slavo-comuniste. Spesso con accuse
reciproche all'interno delle stesse missioni, con strascichi successivi in libri di
memorie. Anche questi aspetti influirono sui comportamenti della Osoppo, e sulla
"diffidente alleanza tra le due resistenze". E hanno avuto seguito in ricerche
storiche. E in strani documenti dell'intelligence italiana (il SIM operante durante il
governo Bonomi), nei quali vengono avanzati, nei confronti di uno o l'altro contingente
operativo nelle missioni americane, "sospetti" di comunismo o di slavofilia.
Qualcuno di tali poco attendibili documenti è stato riscoperto recentemente nel corso
delle indagini sulla genesi della cosiddetta "Gladio" (vedi l'articolo di G. A.
Stella, "Porzûs, la grande trappola", Corsera, 27 agosto 1997).
Che tra Osovani e Garibaldini le cose non procedessero perfettamente e che Porzûs sia
stata la conclusione di un serrato conflitto, in parte mascherato, in parte costellato da
reciproci sospetti, è fuori dubbio. Un primo incidente era avvenuto a Piancicco: una
"rapina" di armi, sottratte agli osovani dai garibaldini. La vera crisi scoppiò
poco tempo dopo con i fatti di Pielungo. Nel vecchio maniero gli osovani avevano stabilito
il loro comando e organizzato le prime azioni. Reparti tedeschi, entrati nel castello con
improvviso (e sospetto) attacco, vi liberarono alcuni loro prigionieri. La questione ebbe
conseguenze immediate: CLN udinese e regionale veneto (CRV) intervennero destituendo i due
principali responsabili dell'Osoppo, Grassi-Verdi e De Luca - Aurelio,
affidando al maggiore Manzin-Abba il comando provvisorio. Per i due capi osovani
arresto "sulla parola", in attesa di decisioni. Cosa per nulla gradita a quelli
dell'Osoppo, anzi. Peggio ancora fu quando a metà agosto, in un incontro
CLN-garibaldini-osovani a San Francesco, sopra Pielungo, fu stabilito il nuovo
organigramma dell'Osoppo. Al comando militare Abba, del P.d'A., suo vice il
comunista Bocchi-Ninci, capo delle Garibaldi. Commissario il comunista Lizzero-Andrea,
vice-commissario l'azionista Comessatti-Spartaco. In pratica il "comando
unificato" era posto in mano ai comunisti e agli azionisti, considerati loro
paravento. Le formazioni osovane, popolari, moderate, cristiane e diffidenti della
componente slava nelle Garibaldi, reagirono con una specie di golpe, al quale CLN e
garibaldini dovettero arrendersi. Destituiti gli azionisti Abba e Spartaco, i vecchi
comandanti tornarono ai loro posti. Ribaltamento incruento per fortuna, ma che la diceva
lunga, se gli uni e gli altri si fronteggiavano mitra in spalla. Da allora, come scrive
Giampaolo Gallo, la componente politica DC ebbe netto sopravvento su quella azionista
nelle formazioni osovane.
Nei mesi successivi a quel "luglio armato" maturò la spedizione punitiva
tedesca. Irruppero da Tarvisio 30 mila uomini, in gran parte cosacchi reclutati dai
tedeschi tra i loro prigionieri russi, a capo l'ex-principe zarista Krassnoff. E fu terra
bruciata. Aggredirono per prima la piccola "Zona libera di Carnia", una breve
gloriosa autonomia durata 15 giorni. Dilagando prima nel Friuli del versante bellunese poi
verso la piccola "Zona libera del Friuli orientale", sopra Cividale, rapinarono
e massacrarono un po' dovunque. Ma intanto altri eventi maturavano. Attenzione alle date.
Il 6 settembre le truppe sovietiche, occupata la Romania, si erano congiunte all'armata
popolare di Broz-Tito. Con grande delusione degli alleati (che al futuro
maresciallo avevano sacrificato il generale Mihailovic, leader della resistenza
monarchica) Tito attuò la "svolta stalinista". Fu un momento cruciale per
osovani e alleati. La pressione per definire la famosa linea di frontiera lungo il
Tagliamento si fece via via più accentuata. Risale al 9 settembre il messaggio di
Kardelj, capo delle forze di liberazione slovene e luogotenente di Tito, ai capi
comunisti dell'Alta Italia. Tedeschi e sloveni facevano a gara nel diffondere falsi
manifestini sulle mire reciproche. Ma Kardelj parlava in chiaro "di una comune presa
di potere nella regione Giulia di comunisti italiani e sloveni". Ad una prima
missione segreta, a giugno, del plenipotenziario sloveno prof. Urban (Anton Vratusa) al
CLNAI di Milano aveva fatto seguito una seconda trasferta a settembre, con precise
richieste sulla delimitazione dei confini. Contrario Cadorna, d'accordo Longo. Deciso un
rinvio a guerra conclusa.
Diffidenze e sospetti garibaldini avevano avuto ulteriori accentuazioni a seguito del
cosiddetto caso "Piave". Ecco i fatti. Il tenente italiano Boccazzi-Piave,
paracadutato con la missione inglese Nicholson, catturato (o "fattosi"
catturare, nuovi sospetti) dai brigatisti repubblichini della X Mas di Borghese, era
riapparso a gennaio in quel di Udine. Proponeva al suo capo-missione e agli osovani un
accordo con gli uomini di Borghese per contrastare, a guerra finita, l'avanzata degli
sloveni nell'intera Venezia Giulia. Qualcosa di vero doveva pur esserci. E la tensione
cresceva.
Ma c'è soprattutto un'altra data rilevante collegata ai fatti di Porzûs: l'eccidio del 7
febbraio avveniva a tre giorni dall'inizio degli "accordi-spartizione" di Yalta.
Pura coincidenza? Difficile stabilire connessioni; ma che si sia tentato di mettere fuori
gioco gli osovani per impedire il "ribaltamento" (la congiunzione Alleati -
Osoppo - magari i patriottardi saloini della X Mas) non sia solo fare ipotesi fantasiose
lo prova quanto lo stesso maggiore Nicholson lasciò scritto nelle sue annotazioni
intitolate "Personal field message book", ora negli archivi Osoppo. Che l'ordine
sia partito tramite Kardelj, e forse col placet di Tito (o di chi, da Mosca,
guardava allo sbocco adriatico-triestino) non è solo gioco alla Le Carré.
Torniamo a Porzûs. Dove quel 7 febbraio si trovavano i capi dell'Osoppo De Gregori - Bolla
e Bricco-Centina, che di lì a poco avrebbe dovuto subentrargli nel comando. Con
loro una ventina e più di osovani. C'era stata il 18 gennaio precedente una riunione di
responsabili dell'Osoppo in cui si era discussa la "questione slovena".
Impossibile sapere che cosa sia stato detto. Quel che è certo è che la sera del 6
febbraio il responsabile dei GAP udinesi Toffanin-Giacca aveva convocato a Ronchi
di Spessa circa 150 garibaldini. Salirono a Porzûs e di qui alle malghe la mattina
seguente. Ai due osovani di guardia che li videro arrivare alla casera bassa dissero di
esser partigiani sbandati che intendevano recarsi in Carnia. Con un biglietto scritto lì
per lì da uno dei due, i capi osovani furono informati e si apprestarono a scendere alla
baita di sotto. E cominciò un eccidio protrattosi drammaticamente per 13 giorni. Nel
primo, il 7 febbraio furono quasi sommariamente trucidati sul posto De Gregori - Bolla,
Valente-Enea, e una, fosse o no presunta, spia fascista, Elda Turchetti. Bricco,
pur inseguito a colpi di mitra e ferito, riuscì a fuggire e scampò al massacro. Non vi
riuscì invece l'osovano Comin-Gruaro, colpito a morte mentre cercava di fuggire.
Gli altri 20 prigionieri, tra cui uno studente arrivato la sera prima, furono condotti al
Bosco Romagno, sopra Ronchi di Spessa, una ventina di km più a valle. Cominciarono gli
interrogatori (e si capisce che cosa volevano sapere gli uomini di Giacca). Due dei
prigionieri si dichiararono, o si finsero, disposti a passare tra i garibaldini. Gli
altri, sempre dopo sommari interrogatori, vennero trucidati in luoghi e con modalità
diverse. Della cosa si cercò di non far trapelare nulla. Ancora un mese dopo c'era chi
assicurava che i capi Bolla ed Enea erano tenuti prigionieri dai garibaldini o dagli
sloveni. Tra gli uccisi del Bosco Romagno, Pasolini-Ermes, fratello di Pier Paolo.
Ma la "decapitazione" non ci fu. Il comando osovano si ricompose e volle subito
procedere ad una inchiesta sulle responsabilità, accettata dal CLN il 18 aprile. Ma il 25
scoppiava l'insurrezione al Nord. Tutto fu rimandato ai futuri interventi giudiziari. A
far luce sulle responsabilità si impegnarono i due processi di Lucca e di Firenze. Dei
circa 50 imputati alcuni erano latitanti. Il principale esecutore, Toffanin-Giacca,
aveva preferito l'asilo in Slovenia. La sentenza di primo grado irrogò tre ergastoli
(Toffanin, Iuri, Tambosso), portati dalla stessa Corte a 30 anni. Analoga pena, poi
ridotta a 22 e 14 anni, ebbero Modesti e Plaino, del PC, ritenuti responsabili di aver
impartito l'ordine. Padoan (Vanni) commissario politico della Garibaldi-Natisone,
assolto a Lucca, fu condannato a 30 anni a Firenze. Un indulto del '53 ridusse a 10 anni
le pene dei tre principali imputati, a due quelle di Padoan, Modesti, Plaino. Nel '57
l'amnistia. E Giacca venne graziato da Pertini.
Padoan-Vanni, tuttora vivente, in una lettera a Panorama (4.9.97) difende Giacca.
La responsabilità vera, egli dice, fu di Modesti e Tambosso, i due responsabili udinesi
del Partito comunista. La piccola Yalta giuliana aveva ben altri protagonisti che quelli
del PC udinese o del traballante governo Bonomi. E a mezzo secolo di distanza è inutile
cercar di far luce su ciò che avrà sempre contrastanti e indimostrabili versioni. Ormai
materia di film e romanzi.
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